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Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (III)

Posted by on Set 15, 2022

Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (III)

Gaetano Arcieri, Storia del diritto nel Regno di Napoli
A cura di Gianandrea de Antonellis
Edizione originale:Storia del Dritto per servire d’introduzione allo studio delle leggi civili e del dritto amministrativo con la successione dei giureconsulti ed interpetri [sic] del dritto romano, seguita da comentario [sic] delle leggi regie, pontificali e decemvirali del Dottor Gaetano Arcieri, Accademico Florimontano, Socio Corrispondente della Società Economica di Basilicata, dell’Accademia Cosentina, di Aci-Reale, ec. ec.Stabilimento Tipografico Perrotti, Napoli 1853

Continuità e discontinuità dell’ordinamento e del diritto patrio: intorno a questo dilemma ruotano le questioni fondamentali della storia del Regno, di cui la principale, messa a fuoco da de Antonellis nella Introduzione, riguarda la legittimazione del potere. Qual è il fondamento del Regno: una Dinastia o un diritto? Si potrebbe anche dire: qual è il fondamento della sovranità nel Regno napoletano? E che cosa ha consentito al Regno di non perdere mai la sua identità, pur negli inevitabili adattamenti connessi ai mutamenti, in primo luogo dinastici, che ne hanno attraversato la storia? Che cosa, invece, ne ha travolto le strutture?

«I popoli non sono nazioni ma tradizioni» scriveva Francisco Elías de Tejada: dove “tradizione” non è affatto sinonimo di immobilismo, ma di progresso che accompagna con gradualità la storia di un popolo, trasmettendo alle generazioni future l’eredità di valori su cui si è costruita la sua identità. Il diritto è espressione di quella identità e garantisce la conservazione della sua fisionomia: quella del Regno è caratterizzata dall’essere da sempre dotato di autonomia. Così lo aveva voluto il fondatore, Ruggero II ed a quel trono si richiamava l’ultimo sovrano napoletano, Francesco II di Borbone per rivendicare la legittimità del potere di cui era investito. Ruggero II e Francesco II: in mezzo, otto secoli di storia durante i quali mutano le case regnanti, ma non muta la struttura statale nelle sue articolazioni perché non mutano le leggi fondamentali che ne reggono l’impalcatura, sorrette dal consensum gentium. È una continuità che oltrepassa le dinastie, segnando pochi punti di rottura nell’ordinamento e nel diritto del Regno.

Persino durante i secoli in cui viene attratto nell’orbita imperiale spagnola, considerati (a torto) di asservimento alla Corona ed alla Corte di Madrid, il Regno di Napoli non abdica alle sue prerogative, che anzi difende con forza, in virtù del suo diritto. È per questo motivo che a Napoli non fu mai introdotta l’Inquisizione, né furono attuate le grandi riforme volute dal viceré Toledo (espressione di massima fermezza e rigore) che andavano ad incidere sull’autonomia del Regno.

Nel ’500 Marino Freccia dimostrava nel trattato De subfeudis Baronum et investituris feudorum come le istituzioni napoletane seguissero da sempre una propria traiettoria, autonoma rispetto al diritto giustinianeo: «apud Neapolitanos omnes habentes iurisdictionem in suis oppidis et castellis, secundum ipsorum usantiam dicuntur Barones».

Secundum ipsorum usantiam: il diritto proprio, consolidato dal tempo ed indicativo di una legittimità di origine del potere sovrano rendeva il Regno indipendente da qualunque altra autorità terrena e sostanzialmente autonomo, così che – evidenziava il Freccia – neanche il pagamento del censo alla Santa Sede, il tradizionale omaggio della chinea, implicava alcuna investitura, dal momento che la costituzione della monarchia ereditaria la rendeva assolutamente inutile.

Ciò che qualificava come legittimo il potere del sovrano napoletano riposava dunque nella “tradizione”, ossia nella trasmissione del trono ai successori in virtù delle leggi fondamentali del Regno; e la monarchia ereditaria rappresentava una sorta di garanzia di quella “costituzione pattizia” che da sempre era a base dell’ordinamento: un pactum che Ruggero II aveva “codificato” nelle Assise di Ariano e Federico II confermato nelle Costituzioni di Melfi. Idue atti fondativi dello Stato napoletano evidenziavano come esso fosse partecipe dell’im­pero universale senza esserne assorbito, poiché la legittimità di quel potere derivava direttamente da Dio e si trasmetteva ai sovrani che sedevano sull’antico trono degli Altavilla osservando la regolarità della successione e le fondamentali leggi dello Stato.

È per questo motivo che, nel corso dei secoli e nel cambio di case regnanti, le istituzioni napoletane mutano il nome ma non la sostanza: l’impianto ordinamentale ricalca sempre quello normanno-svevo, le consuetudines neapolitanae prevalgono sul diritto comune.

La Storia analizza compiutamente i principali istituti giuridici che caratterizzano il diritto napoletano, evidenziando la duttilità di un ordinamento capace di ritenere ed adattare ciò che ritiene conforme all’indole della popolazione e di respinge ciò che non lo è.

Se l’analisi parte dall’antica Roma è per dimostrare che a Napoli non fu mai attribuita la condizione giuridica di provincia, ma fu trattata come città confederata, «onde ritenne le sue proprie leggi ed i suoi magistrati», poiché le città confederate erano libere e non obbligate ad altro che a corrispondere alla repubblica ciò che si erano obbligate a prestare in forza dei trattati di alleanza.

Questa condizione di relativa autonomia ha accompagnato tutta la sua storia, sia pure con alcune oscillazioni, condizionandone il diritto e le leggi. Con la costituzione Scire volumus Ruggero II, che pure introdusse sostanziali novità rispetto al diritto longobardo affermatosi nei territori del futuro Stato normanno, fissava le basi della monarchia napoletana configurandola come una unità politica caratterizzata dalle istituzioni giudiziarie ed amministrative, di cui egli stesso provvide a dotarla; tale impianto non fu mai più modificato nella sostanza ed, in ogni caso, pur nelle riforme introdotte successivamente, rese sempre evidente l’autonomia del Regno e la compiutezza del suo potere politico.

Arcieri passa in rassegna le istituzioni napoletane durante gli otto secoli della sua storia, ma si sofferma poi in maniera puntuale nel descrivere il quadro dell’amministrazione centrale e periferica del Regno sotto i Borbone, le cui pagine occupano circa la metà dell’opera. Le prime cento, infatti, sono dedicate alla descrizione dello stato politico del nostro Regno sotto le diverse “dominazioni” e dinastie (dai Romani ai Longobardi, e poi Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Austriaci, Francesi): è una descrizione non succinta, ma essenziale poiché è superfluo entrare nei dettagli di un ordinamento che non vive nell’attualità, ma è sufficiente comprenderne le linee entro le quali si muove. Le rimanenti pagine analizzano invece lo stato attuale del nostro Regno, passando in rassegna le principali istituzioni: dalla Consulta generale del Regno ai Tribunali, dal contenzioso amministrativo all’amministrazione civile, Debito pubblico, Banco di Sicilia, Borsa dei Cambi, Camere di Commercio, Carceri, Archivi, Organi preposti alla salute pubblica, Teatri e Spettacoli, Accademie, Corpi speciali di polizia (vigili del fuoco), Istituti di incoraggiamento, Istruzione pubblica, Ordini cavallereschi e così via.

Per ciascuno degli ambiti summenzionati Arcieri fornisce elementi preziosi ed una dettagliata descrizione della storia che li ha accompagnati fino al momento in cui scrive: è evidente che trattandosi dell’ordi­namento e del diritto vigenti, l’inte­resse del pubblico alla conoscenza è maggiore, la descrizione diventa quindi più analitica.

Lungi dall’essere un compendio di storia del diritto e delle istituzioni, in cui gli argomenti siano esposti sommariamente ed in maniera elementare, la Storia di Gaetano Arcierièuna riuscita operazione di sintesi storico-giuridica in grado di comunicare al lettore un quadro sufficientemente chiaro e completo del percorso che ha accompagnato la complessa vicenda istituzionale del Regno di Napoli nel corso della sua quasi millenaria esistenza.

Carmela Maria Spadaro

Docente di Diritto comune e di Storia delle costituzioni e codificazioni moderne presso l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli.

2022 – D’Amico Editore di Vincenzo D’Amico
Via Pizzone, 50 – 84015 Nocera Superiore
libri@damicoeditore.it-www.damicoeditore.it +39 349 8108119

Finito di stampare
nel mese di aprile 2022
presso Infolio srls
via Alfonso Albanese 26
84010 Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno)

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