Storici di spessore di Fiorentino Bevilacqua
Dallo studio dei documenti riguardanti le vicende del Risorgimento, alcuni storici ed appassionati sono giunti a conclusioni ben diverse da quelle a cui erano giunti altri storici. Le conclusioni di questi ultimi hanno costituito, ed ancora costituiscono, la base sia della formazione scolastica in materia, sia della divulgazione mediatica. I primi vengono detti “revisionisti”, perché è come se avessero operato una revisione dei fatti di quel periodo.
La revisione ha consentito di giungere a conclusioni nuove, anche opposte rispetto a quanto finora dato per consolidato, sia sugli scopi di coloro che operarono attivamente per ottenere l’unificazione, sia sui metodi e i mezzi da essi usati.
Il primo risultato di questa rilettura degli eventi risorgimentali è il dubbio: chi viene a conoscenza dei resoconti e dei documenti dai revisionisti portati alla luce (e che mai, prima, avevano trovato spazio nei libri di testo e sui mezzi di divulgazione) mette in dubbio quanto finora aveva dato per certo.
Nasce qui una dicotomia: c’è chi, accettando il dubbio, rigetta le vecchie conclusioni e chi, rigettando il dubbio, si abbarbica alle conclusioni “consolidate” da anni di insegnamento scolastico e mediatico.
Uno dei modi, dei meccanismi per rigettare il dubbio fatto nascere dai revisionisti sulle conclusioni consolidate, è quello di … mettere in dubbio, in qualsiasi modo, le conclusioni nuove, quelle frutto di revisione.
Non voglio entrare nel merito delle controversie sorte fra storici revisionisti e storici che operano nel solco della “tradizione” interpretativa.
Tutti ci accorgiamo, però, che i secondi, i non revisionisti, mettono sempre pubblicamente in discussione le conclusioni revisioniste; mai che accettassero, almeno come spunto, come punto di partenza, i documenti nuovi dai revisionisti portati e rivolgessero, partendo da questi, i loro studi sugli attori attivi del periodo risorgimentale, su quelli, cioè, che vollero ed operarono affinché l’unificazione divenisse un fatto.
Ma, forse, come vedremo, non ne hanno bisogno. C’è bisogno, però, di altro.
Alcuni anni fa, parlando con un Professore di Storia di un’Università del Lazio, dissi della manipolazione del voto del Plebiscito del 21 ottobre 1860; feci riferimento a Caserta dove, 51 ufficiali, neanche tutti presenti, “diedero” … 167 voti (e visto che, oltretutto, si trattava dello stato maggiore di una divisione delle truppe occupanti, come narra il garibaldese Rustow1, essi non avevano nessun diritto di partecipare al voto plebiscitario, ma votarono lo stesso – come accadde ovunque nel Regno – perché pochissimi fra i pochi che questo diritto lo avevano, andavano ad esercitarlo; ovviamente, quei 167 voti non potevano essere che dei Sì all’annessione al Regno di Sardegna del Regno delle Due Sicilie che, così, cessava di esistere).
Il Professore non si mostrò stupito; rispose, infatti, rilanciando: in altre città campane (ne citò qualcuna) vi erano state discrepanze simili: i Sì all’unificazione col Piemonte, erano, pure in esse, superiori al numero degli aventi diritto al voto. La cosa, come sappiamo, si ripeté negli altri plebisciti che seguirono, su, per la Penisola!2
Non chiesi se, di questo, faceva menzione nelle sue lezioni qualora gliene fosse stata data l’opportunità didattica.
In un’altra occasione parlavo con un altro docente, questa volta dell’Università di Salerno.
Mi disse che loro, i professionisti del settore, le cose che gli storici revisionisti divulgano in convegni, libri e riviste, le conoscevano benissimo e, nei loro incontri ristretti, quando si incontravano tra loro, ne parlavano pure!
Di fatto, però, molti di loro, se non tutti, messi di fronte alla diffusione di queste verità a loro note (come dicono) ma su cui tacciono nella loro attività professionale (ufficiale, pubblica), le criticano o, tutt’al più, le ignorano glissando elegantemente su di esse.
E’ come se i fisici, pur sapendo che la forza gravitazionale che si esercita tra due masse dipende, tra l’altro, dalle masse stesse, pubblicamente dicessero il contrario!!!
Non sarebbe male, quindi, se questi professionisti, questi Professori, ortodossi pubblicamente, revisionisti in privato o in ristretti conciliaboli fra addetti ai lavori, avessero lo spessore caratteriale di dire a lezione, nei libri che scrivono, sulle riviste con le quali collaborano etc., quello che veramente sanno essere la verità completa.
E’ una situazione immutabile? Penso di no.
Grazie ai revisionisti, e a quanti contribuiscono alla diffusione delle conclusioni da essi raggiunte, aumenterà sempre di più il numero di quelli che conoscono le conclusioni oggi definibili “eretiche”, non canoniche, sbagliate, inaccettabili perché destabilizzanti un certo sistema.
Più queste nuove conclusioni, più complete e, perciò, più vere, si diffonderanno, più sarà facile propugnarle, affermarle, difenderle, ricercarle…da parte di chiunque.
Sarà una sostituzione graduale, un viraggio lento da una forma incompleta, mistificata, falsa (… è funzione del grado di incompiutezza) ad una più vera.
Avverrà, ma il lavoro duro, però, lo avranno fatto altri…
Fiorentino Bevilacqua
27.03.19
- Carlo Alianello, La conquista del sud, 1972
- “Consultando gli archivi di piccoli comuni, dalla Sicilia alla Toscana, ho scoperto cose curiose sui plebisciti per l’annessione all’Italia. In alcuni luoghi la percentuale dei “SÌ” era del 120 %”. (Denis Mack Smith, articolo su “La Stampa”)