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159 anni fa il massacro di Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento

Posted by on Ago 24, 2020

159 anni fa il massacro di Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento

Era il 14 agosto 1861

L’Italia era stata da poco conquistata e unificata, nel sangue dalla necessità colonialista della dinastia dei Savoia. L’Italia era fatta, ma non si poteva ancora dire lo stesso degli italiani.

I fatti

Il 7 agosto del 1871 un gruppo di briganti – capitanati dall’ex sergente borbonico Cosimo Giordano – reduci della resistenza contro l’invasione sabauda, si rifugiarono a Pontelandolfo, in provincia di Benevento. Qui aizzarono la popolazione affinché stracciasse le bandiere piemontesi, riportando al loro posto lo stemma dei Borbone. Vennero bruciati gli archivi e distrutte le porte del carcere, per liberare i detenuti politici.

Ma il neonato regno d’Italia non poteva permettersi di vedere indebolito l’ordinamento appena stabilito. Il lungotenente Cesare Augusto Bracci venne inviato a capo di quaranta uomini della Guardia Nazionale, alla quale si aggiunsero quattro carabinieri. Questi furono tempestivamente accerchiati e catturati nei pressi di Casalduni, dove vennero in seguito uccisi per ordine del brigante Angelo Pica.

La rappresaglia

«Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra.»

(il generale Cialdini al colonnello Negri)

Una volta ottenuti i dettagli sull’accaduto, le autorità di Benevento informarono il generale Enrico Cialdini. Quest’ultimo ordinò, senza esitazione, che i comuni di Pontelandolfo e Casalduni venissero rasi al suolo, incendiati. E che venissero fucilati tutti “meno i figli, le donne, gli infermi“.

All’alba del 14 agosto, due truppe raggiunsero i rispettivi paesi. Casalduni fu trovata quasi del tutto disabitata, dopo che una fuga di informazioni aveva fatto scoprire agli abitanti l’imminente arrivo dei militari.
A Pontelandolfo invece i cittadini vennero sorpresi nel sonno. Le loro case vennero saccheggiate ed incendiate. Chi fuggiva dalle fiamme veniva fucilato all’istante. Le donne furono vittime di stupri e sevizie, a dispetto dell’ordine impartito ai soldati di riparmiare loro, i bambini e i malati.

Ma questa è la guerra, si dice. E cosi venne ristabilito l’ordine nel Beneventano, dove ha preso forma il primo massacro civile, avvisaglia dei soprusi che verranno perpetrati in seguito.

Le vittime

A causa delle imprecisioni e della scarsità dei resoconti dell’epoca, il conteggio delle vittime della rappresaglia di Pontelandolfo e Casalduni varia a seconda delle ricerche svolte. Con certezza, almeno 13 persone perirono quel giorno. Ma altri autori affermano che le vittime fossero più di un migliaio, tra morti e feriti. Così commentò il colonnello Negri la notizia dell’avvenuto massacro: «Ieri mattina, all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora.»

Il contesto

È doveroso ricordare che tumulti simili accaddero in diverse parti di un sud Italia che – appena colonizzato in nome di una presunta necessità di  civilizzazione – vedava un invasore sostituirsi al secolare governo della dinastia dei Borbone sul Regno delle Due Sicilie. Le differenze culturali e linguistiche erano profondissime, nonché differenti le condizioni di sviluppo (sebbene questo sia un tema tutt’oggi dibattuto).

Il Sud oggi

Quel che è certo è che quanto accaduto in quella notte nel 1861, all’alba dell’unificazione della penisola italiana, rimarrà una traccia indelebile dei soprusi ai danni delle popolazioni del meridione, da sempre relegate a ruoli minori e aspettative ridimensionate. È quella questione meridionale, che ci mantiene ancora immobilizzati dalla mancanza di infrastrutture e di lavoro, da più di un secolo di mala gestione e gravati dai peggiori stereotipi.

Solo nel 2011, un secolo e mezzo dopo i fatti, Giuliano Amato – l’allora presidente del comitato per le celebrazioni del 150esimo anno dall’Unità d’Italia – definì la città come «martire d’Italia, porgendo le scuse della nazione ai suoi abitanti.»

Davide Benedetto

fonte

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