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“1799: Le tre giornate di Napoli” intervento di Erminio De Biase

Posted by on Lug 29, 2023

“1799: Le tre giornate di Napoli” intervento di Erminio De Biase

Abbiamo già pubblicato il video integrale dello storico convegno del 10 di giugno 2023 tenutosi al “Convento delle 33” agli Incurabili sulle “Le Tre giornate di Napoli 1799” dove abbiamo avuto il piacere di ascoltare 4 relatori di altissimo livello che hanno parlato di vari aspetti di quella complessa e articolata fase storica di portata epocale ed oggi cominciamo a divulgare le singole relazioni.

Partiamo con il Prof. Erminio De Biase a cui va anche il merito di aver voluto e organizzato il convegno dopo quello di qualche anno fa dedicato a Michele Arcangelo Pezza alias Fra Diavolo, che ha aperto la giornata parlando dei fatti di quelle tre giornate mettendo in risalto la grandezza e il coraggio del popolo napoletano. Erminio dopo essersi tolto delle “grosse pietre dalle scarpe”, ha perfettamente inquadrato il momento storico spiegando con chiarezza la drammatica cronaca di quei giorni nel suo stile figlio delle sue origini sannite e dimostrando, altresì, di essere un fedele suddito di S.A.R. Maria Sofia di Borbone a cui si sente molto legato e a cui dedica parte importante dei suoi studi. Di seguito relazione integrale e video del suo intervento

1799: Le tre giornate di Napoli

Ideando questo evento, auspicavo che si fossero potuti illustrare punti di vista diversificati, anche antitetici tra loro, con cui inquadrare gli eventi del 1799; un confronto tra visioni storiche differenti che avrebbe poi generato un dibattito vivace ed interessante, tale da coinvolgere anche il pubblico in sala. Purtroppo, però, non è andata così. Gli “ideologi” schierati a favore della sedicente Repubblica Partenopea, invitati anche con una certa, ma comunque sempre discreta, insistenza, hanno tutti rifiutato, quando non si sono dileguati. Tutti, nessuno escluso.

In primis, il dottor Gennaro Rispoli, direttore del Museo delle Arti Sanitarie, col cui beneplacito – esattamente un anno fa – si sarebbe dovuta tenere, in altra sede, questa manifestazione, ma che annullò solamente tre giorni prima perché l’elevata temperatura “sconsigliava” gli assembramenti… (almeno questa fu la versione ufficiale).

Secondo “invito”. La direttrice dell’Istituto di Storia Patria, professoressa Renata de Lorenzo, degnandomi con lo stesso tono di una divinità che risponde ad un comune mortale mi fece sapere che la cosa non era di suo interesse, né poteva prenderla in considerazione. Mi consigliò, però, di girare l’invito alla professoressa Anna Maria Rao che, pur mostrando un apparente interesse per l’iniziativa, non poteva parteciparvi perché la data coincideva con altri suoi impegni. La mail con cui le proposi di indicare una data alternativa a lei più comoda, non ebbe mai risposta.

Ho chiesto, poi, ad un altro emerito docente di storia della Federico II la disponibilità ad intervenire, il professor Paolo Macry, il quale, pur confessando che ormai non “frequentava” più il 1799, fece intendere che comunque ne avremmo potuto discutere nella seconda metà di aprile. Ricontattato, non ha dato più riscontri.

Ho cercato Infine, di avvicinare una scrittrice in profonda simbiosi con la Repubblica Napoletana, la dottoressa Antonella Orefice, che, però, ha drasticamente rifiutato perché “allergica” ai relatori filoborbonici…

La fazione “giacobina” è quindi assente, anzi, si può senz’altro affermare che sia scappata, motivo per cui oggi avrete solo una visione unilaterale degli eventi. E non per colpa nostra.

Ciò premesso, entriamo in argomento. Proprio in questi stessi giorni di 224 anni fa, cessava di esistere l’effimera Repubblica Napoletana, una repubblica di borghesi, di nobili, di massoni, sorta su principi della Rivoluzione Francese che si volevano imporre al popolo. Solo che al popolo questi ideali non interessavano minimamente: esso era fedele al suo re ed al suo Dio e tale rimase anche dopo l’invasione dei transalpini che erano venuti a portare Fraternité, Egalité e, soprattutto, tanta di quella Liberté che, chi libero non voleva essere, doveva esserlo per forza. Naturalmente, i francesi, sostenuti dai giacobini nostrani (per molti aspetti, peggiori di quelli originali) mica esportavano gratis i loro ideali; in cambio chiedevano oro, argento, suppellettili, generi alimentari e quant’altro erano in grado di razziare: spogliarono case, palazzi, conventi, Monti di Pietà; a Napoli, prima di andarsene, ebbero perfino il tempo di raschiare il rivestimento d’oro che copriva la statua dell’Immacolata che svetta sulla guglia di Piazza del Gesù…

Alla fine, dopo aver estorto quanto di più prezioso e utile si poteva trovare, dopo aver bagnato di sangue le nostre terre, resisi conto che gli alberi della libertà che avevano piantato non sarebbero mai fioriti per il semplice fatto che non avevano radici, i francesi se ne andranno lasciando i loro “confratelli” partenopei nelle rogne. Il loro comandante, Étienne Jacques Joseph Alexandre Macdonald, infatti, annusato il pericolo della minaccia che la travolgente avanzata del cardinale Ruffo rappresentava per lui, smontò baracca e burattini e se ne partì, confermando, così, che la Repubblica Partenopea esisteva solo grazie alla protezione dei francesi che, peraltro, non la riconobbero mai: addirittura, una sua delegazione, recatasi a Parigi, non fu neppure ricevuta dal Direttorio![1]

Ciò nonostante, ancora oggi, ad oltre due secoli di distanza, c’è chi, a causa di incancreniti paraocchi ideologici, ostinandosi a leggere la storia in maniera manichea, esalta gli invasori e odia i legittimi sovrani dell’epoca; distingue le fucilate giuste da quelle ingiuste e designa eroi da una parte e briganti dall’altra… Anni fa, estremo paradosso, un consigliere comunale di un Comune della Basilicata, presentò una mozione di sfiducia sol perché si era osato commemorare i tanti suoi concittadini trucidati dai francesi e dai giacobini locali![2]Non sia mai: da esecrare devono essere solo i sanfedisti, i borbonici i cui nomi vanno scritti nella colonna di destra della lavagna della storia, laddove, un tempo, a scuola, si segnavano i cattivi!

Io ho sempre sostenuto che il bene e il male siano inscindibili perché sono insiti nell’uomo e nelle sue cose, ma c’è chi ancora insiste nell’affermare che i giacobini siano tutti dottor Jekyll, mentre i loro antagonisti altrettanti mister Hyde, anche negando l’evidenza e solo per partito preso. Non è così. Ragioni e torti stanno sia da una parte che dall’altra e, se ci sfrondassimo da una certa boriosa arroganza, troveremmo finalmente una convergenza ma, fino a quando si discriminano gli insorgenti a favore degli invasori, ci sarà sempre scontro.

Proprio in questa sala, qualche anno fa, in occasione della presentazione di un libro, un tronfio oratore sentenziò che – cito letteralmente – c’è una profonda differenza tra la plebe francese e quella napoletana, tra sanculotti e lazzari: la plebe francese era motivata, quella napoletana, no. Benché da me sollecitato non seppe, però, spiegare quale fosse questa “profonda” differenza. Evidentemente, per lui era più importante affermarlo che dimostrarlo.

Purtroppo, non ne conosco il nome, ma mi avrebbe fatto piacere invitarlo per sbattergli in faccia, come avrebbe meritato, le “motivazioni” della plebe napoletana. Gli avrei svelato che, proprio nel momento di massima espansione del potere francese in Italia, fu proprio quella plebe napoletana, quella “senza motivazioni”, a dare il via alla Controrivoluzione[3]  e quella fu la prima volta in assoluto nella storia che in Italia si insorse in massa contro un invasore[4] e non fu un’insurrezione “risorgimentale” nel significato liberal-massonico del termine, ma fu una Crociata![5]

Come nelle varie province si erano rivoltate le masse che fecero vedere i sorci verdi ai francesi, così insorse il popolo di Napoli. Un popolo minuto, numeroso, prolifico, inquieto, eccessivo nel bene e nel male, religioso, superstizioso, per tanti aspetti esecrabile ed incorreggibile ma che, comunque e nonostante tutto, amava il suo re e si oppose ad una borghesia molle, liberaleggiante, imbevuta di ideali francesi, fatta di cosiddetti patrioti repubblicani. Un popolo che la storiografia ufficiale, con un vero e proprio abuso ideologizzato[6], non esita a definire “Briganti”.

Contrariamente a chi, senza alcun ritegno, ha scritto che l’esercito della Santa Fede era formato da truppe mercenarie reclutate in Calabria,[7]quel pugno di uomini al seguito di Fabrizio Ruffo aumentò sempre di più, come una inesorabile, colossale valanga umana che si sarebbe abbattuta sui francesi e sui loro utili idioti: era l’armata della Santa Fede. Un’armata di contadini, di popolani e (perché no?) pure di Briganti. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare una tale partecipazione popolare ed un tale odio antigiacobino in tutto il Regno; partecipazione pressoché totale, sia per il numero di coloro che si unirono all’esercito, sia per le decine di città e paesi che insorsero spontaneamente per cacciare francesi e giacobini.[8]

Erano, dunque, truppe mercenarie?

Occupando Napoli, nel gennaio 1799, i francesi avevano trovato la capitale del Regno praticamente sguarnita, in quanto il re, molto tempestivamente e molto poco opportunamente era in Sicilia già da un mese, nonostante le esortazioni a rimanere da parte dei suoi uomini migliori, tra cui l’ammiraglio Francesco Caracciolo, che lo scongiuravano di restare. Pareva anche che avesse deciso in tal senso, ma la volontà della regina a sua volta spinta dall’Acton, dagli Hamilton e da Nelson fu più forte della sua.

C’è da aggiungere che, appena Ferdinando ebbe lasciato Napoli e il suo popolo, la flotta – la migliore d’Italia – fu data alle fiamme, apparentemente per volontà della regina, ma di fatto per ordine del guercio ammiraglio albionico. Questo evento accrebbe la già profonda amarezza del Caracciolo ene determinò il successivo atteggiamento. Profondamente deluso, dichiarò: “Non io ho abbandonato la causa del Re; è stato il Re che ha abbandonato noi!” Come dargli torto e non onorarne la memoria come unico, vero martire di quella fazione?

A noi tutti sono ben note le “Quattro Giornate di Napoli”, ma non conosciamo affatto quelle che furono le Tre Giornate che si vissero a Napoli nel gennaio del 1799. Giornate, forse, ancor più pregnanti di gloria, di tragica gloria. Chi non ricorda il film di Nanni Loy sugli avvenimenti del 1943? A chi non sono rimasti impressi nella memoria i volti, gli occhi pieni di rabbia e disperazione dei personaggi del film mentre affrontavano i tedeschi? A chi non è rimasta nelle orecchie quella travolgente colonna sonora che trasportava lo spettatore nell’azione e nella foga del popolo contro lo straniero? Bene, riportiamo indietro di oltre due secoli quelle drammatiche scene di rabbiosa determinazione e, probabilmente, rivivremo ciò che allora vissero i napoletani.

Qua, proprio nella zona in cui ci troviamo, i Lazzari, colpiti dall’alto, da Sant’Elmo, di fronte dal fuoco e dalle baionette francesi, dal fianco dalle fucilate degli studenti di medicina dell’ospedale degli Incurabili, raddoppiarono il loro furore e combatterono ancor più strenuamente: alla fine, ne rimasero ottomila sul terreno. Tanti ne erano morti in tre giorni per difendere ogni angolo di Napoli. Privi di un re, accerchiati dai traditori locali, senza armi regolari, condussero una lotta di resistenza all’armata francese forte di 15.000 uomini. La storia, purtroppo, non dà il minimo rilievo a questa meravigliosa resistenza dei popolani raccogliticci contro i soldati d’oltralpe.

Ottomila morti nella sola città di Napoli, sessantamila in tutto il Regno, ma non contano. Per la inderogabile, assillante e stantia cultura ufficiale ha sempre e solo valore il sangue di una Luisa Sanfelice, di una Pimentel Fonseca, di un Mario Pagano e di pochi altri rappresentanti dell’intellighenzia giacobina dell’epoca, i cui nomi si replicano ossessivamente nella toponomastica delle nostre città e nelle intestazioni di tante scuole… Nomi ai quali i nostri giornalisti radiotelevisivi non dimenticano mai di aggiungere sempre, puntualmente, quello di Gennaro Serra di Cassano che, insieme col portone chiuso di casa sua, viene citato in ogni occasione, anche quando trasmettono servizi ed immagini sul numero dei turisti in visita a Napoli. Tacendo, però, non so se per ignoranza o per malafede, su tutte le altre migliaia di caduti del 1799, come se quest’ultimi fossero figli di un dio minore…

I Lazzari non erano militari, non erano coscritti, ma gente del popolo che combatteva incitandosi a vicenda con una generosità unica; i Lazzari furono il primo e più concreto esempio di coesione popolare contro un nemico invasore. Che cosa non si sarebbe potuto fare con questi uomini, se i capi fossero stati al loro livello…

Pur con tutti i suoi difetti, questo popolo napoletano, così spesso calunniato e disprezzato, ebbe un intimo senso di dignità e di onore, che non avevano avuto i loro sovrani e i loro tristi consiglieri. Questo popolo napoletano, guidato solo da notevole istinto e da furioso sdegno, al grido di Morte ai giacobini! oppose, con armi procurate in tutti i modi, una disperata difesa contro l’esercito francese. Questo popolo napoletano, incredibilmente coraggioso, senza aver mai fatto la guerra, si gettò in massa contro un esercito collaudato[9] a combattere per la libertà, per quella libertà ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta…[10]

Questilazzari, “uomini meravigliosi, sorprendenti si difendono come leoni! Si battono per le strade, contendono il terreno palmo a palmo… Sant’Elmo li fulmina, le baionette li scannano, ma essi ripiegano in ordine, tornano alla carica, avanzano con audacia, riguadagnano terreno. Sono respinti, ma non sono domati…  Appostati nelle case, dietro i muri, sui tetti, ovunque fosse un riparo, si battono tenacemente, retrocedono per raggrupparsi, cessano il fuoco per ricominciarlo pochi metri più in là, usano fucili, sassi, cannoni e arma bianca. Spuntano da ogni casa, da ogni via, da ogni piazza…[11]  La loro azione farà epoca nella storia…” Chi così li descrisse fu il generale francese Jean Etienne Championnet, comandante in capo delle truppe nemiche.

Per cui, chiedo ancora una volta: “Erano truppe mercenarie?”

Magari fosse stato così nel 1860, quando si vivrà più o meno la stessa situazione, ma a ruoli invertiti! Questa volta, la Regina pregherà il marito non di abbandonare la città, ma di rimanervi, di mettersi alla testa dei suoi uomini, al posto di ufficiali imbelli e traditori, per ricacciare il nemico invasore. Ma, anche questa volta, purtroppo, il Re di Napoli prenderà la decisione peggiore…

Le invasioni francesi rappresentarono uno dei momenti più bui della storia di Napoli. Come, però, afferma il poeta tedesco Novalis (Friedrich von Ardenberg) è nel buio che la luce di una fiamma è più vivida; è nella notte più tetra, senza luna, che le stelle sono più luminose. E, nella notte, nel buio di quegli anni, nel firmamento della nostra storia brillerà un astro luminosissimo la cui vivida luce accecò i nemici ed esalta, ancora oggi, il nostro orgoglio: Michele Pezza da Itri, Fra Diavolo, la quintessenza dell’eroicità, del patriota, emblema di quel momento storico tragico e glorioso che, sempre quel qualcuno di cui sopra, si ostina a definire Brigante…

Durante i bestiali bombardamenti americani della Seconda Guerra Mondiale, un’insegnante di Napoli annotò nel suo registro queste parole che ben si adattano agli avvenimenti del 1799 e con le quali concludo: “La nostra cara e bella Napoli ha visto susseguirsi le offese nemiche che tanti lutti hanno arrecato a molte famiglie ed hanno distrutto patrimoni che erano il frutto del lavoro d’intere generazioni. Alla sistematica malvagità dei barbari che credono di piegare col terrorismo le popolazioni inermi, Napoli, danneggiata nelle sue chiese secolari, nei suoi edifici superbi, nei suoi ospedali è ora designata “Grande mutilata”. Mutilata, ma non nel suo animo, oppone la saldezza dei suoi nervi, la fierezza della sua volontà tutta tesa in un’inflessibile capacità di resistenza. Il popolo napoletano, fiero e calmo, ha seppellito i suoi Morti, ha curato con amore i suoi feriti, ha guardato con occhio asciutto le mutilazioni arrecate ai suoi palazzi, alle sue Chiese ed ha sofferto con dignità senza muovere mai un lamento, né piegarsi mai. Napoli non si piega…”[12]

Erminio de Biase


[1] Filippo Malaspina – Occupazione francese del Regno di Napoli dell’anno 1799… – Parigi 1846

[2] A Lauria (PZ) 2000 – Il consigliere comunale di Rifondazione Comunista, Valeria Scavo. Addirittura, fu vandalizzata una stele che ricordava queste vittime fino a quando, finalmente, il governatore della Regione Basilicata, nel 2016, ha dichiarato bene intangibile tale ricordo.

[3] Massimo Viglione – La Vandea italiana – Viterbo – 2013 – p. 108

[4] Idem – p.136

[5] Ibidem

[6] Idem – p.122

[7] Antonella Orefice – I giustiziati di Napoli dal 1556 al 1862 – Napoli 2015 – p. 35

[8] M. Viglione – op. cit. – p. 141

[9] Idem – p. 145

[10] Dante – Purgatorio – Canto I – vv.71-74

[11] Idem – p. 146

[12] E. de Biase – La guerra in classe – p. 147

3 Comments

  1. Ho appena letto l’intervento di Erminio De Biase…direi esaltante e sublime!…a fronte di tanti intellettuali guardinghi e timorosi che perfino oggi temono di esporsi, e fanno pandan con un re che purtroppo fuggi’, e’ ancora più fulgida l’esplosione dei Lazzari…sono loro il vero Popolo Napalitano… quello che ancor oggi esalta e riscatta il diritto di esistere! caterina

  2. in OCCASIONE di…

  3. Abbiamo dimenticato di aggiungere che – cosa mai successo prima in occasi di una conferenza di storia – abbiamo avuto il piacere di registrare la presenza di quattro agenti della DIGOS, appositamente mandati a controllare eventuali sedizioni…

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