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1861: I decreti legislativi di occupazione del governo piemontese unitario

Posted by on Nov 12, 2022

1861: I decreti legislativi di occupazione del governo piemontese unitario

Nel 1861, allorquando ancora si combatteva nel regno delle Due Sicilile contro gli occupanti sabaudo-garibaldini, il ministro Cavour si accingeva ad esternare la leggendaria frase: “l’Italia è fatta! Facciamo ora gli italiani”.

Tale processo di italianizzazione si attuò già dai primi mesi del suddetto anno, cioè già sotto la Luogotenenza del generale Garibaldi, anche attraverso una variegata legislazione, ispirata al modello in essere nel regno di Sardegna. Difatti, i nuovi “architetti” del nascituro “suolo italico” emanarono un elenco fitto di leggi, tralasciando la secolare tradizione giuridica duosiciliana e conformandosi con il nuovo processo razziale di “piemontizzazione” di Lombrosiana memoria. Numerosi decreti, pertanto, deliberati nei mesi in cui si bombardava dal mare la roccaforte di Gaeta,  risultano decisamente ideati sullo stereotipo del modello giuridico-culturale sabaudo, presentando, tra l’altro, quale unica finalità intrinseca quella di garantire lo “stato di occupazione” nelle province meridionali. Nei primi mesi del 1861 risultano, così, pubblicati decine di decreti di soppressione di antichi enti o apparati istituzionali locali, in auge nell’ex regno delle Due Sicilie, nonché di nomina di nuove configurazioni organizzative con i rispettivi responsabili, legati al Piemonte. Tra le prime delibere troviamo il “decreto di consegna delle armi”(6 genn.1861), con il quale l’autorità comunale invitava i detentori di armi da fuoco alla loro consegna,  previo rimborso di una modesta somma in ducati. Simile ordinanza intendeva pianificare l’azione preventiva e cautelativa verso eventuali focolai d’insorgenza contro il governo torinese. Con la medesima finalità fu pensato il decreto di “adeguamento del servizio delle Poste alle leggi delle Province dell’Alta Italia”, in cui si ordinava (art.6) agli ufficiali delle Poste di vigilare sul “trasporto clandestino delle lettere e pieghi, di giornali e gazzette”, cioè su tutto l’eventuale materiale propagandistico in uso presso i legittimisti. Tale obbligo veniva esteso anche agli agenti di polizia e finanza, autorizzati ad effettuare perquisizioni presso “vetturieri, mulattieri, conducenti, pedoni, barcajuoli”. In sostanza, simile decreto istituì la regolamentazione di un pubblico servizio, sottoponendolo al rigido controllo governativo, di contro al funzionante e meno vincolante ente postale borbonico. Seguì, il 6 gennaio, altro significativo decreto di abolizione dell’antico Consiglio di Stato con prepensionamento dei rispettivi consiglieri, sostituiti da esponenti (F.Gamboa, R.Batti, G.Vignale, A.Cimino etc) scelti dalla Luogotenenza. Agli esodanti in “ritiro” spettò modesta pensione, pari ad un terzo della remunerazione goduta. Invece, il decreto di abolizione delle “decime sacramentali”, che venivano normalmente erogate dai Comuni a favore della Chiesa, in particolare delle parrocchie non autosufficienti  e bisognose di fondi di sostentamento, fu altro tentativo politico di laicizzare le terre meridionali secondo l’occulta cultura liberista-massonica del Piemonte, a discapito di un’antica tradizione risalente alla dominazione normanna. Questo programma di “italianizzazione”, mediante l’attività legislativa si ampliò, poi, con la Luogotenenza generale del principe Eugenio di Savoia Carignano, cugino del re Vittorio Emanuele II, nelle province napoletane. Il nuovo reggente, salito con pieni poteri nell’esecutivo (dai decreti, regolamenti, alle concessioni di grazia e pena etc), capo militare (comandante delle forze di terra e mare)e di polizia -cariche per le quali gli venne conferito un annuo assegno di due milioni di lire (per“spese di rappresentanza”)-, favorì maggiormente il citato processo di soppressione del passato regime amministrativo borbonico per un sistema normativo, gradito alla casa Savoia. Avvenne, per tale motivo, la decisione di deliberare il decreto di “revisione delle pensioni di grazia”(7 gennaio), con cui non solo si intese colpire indiscriminatamente, attraverso la cessata erogazione della pensione, i rappresentanti del precedente reame duosiciliano, colpevoli di essersi “prestati nella distruzione delle istituzioni Costituzionali e nelle persecuzioni politiche della parte liberale” , ma si introdusse anche la possibilità di un monitoraggio delle posizioni godute dai soggetti in quiescenza, basandosi su un criterio soggettivo e politicizzato. Tappa successiva del suddetto processo “d’integrazione razziale” fu, poi, l’introduzione nell’ex regno napoletano del Codice penale militare, in uso presso il regno di Sardegna dal 1859. Seguì la forzata adozione della “legge sull’ordinamento della Pubblica Sicurezza”, sempre improntata su modello piemontese in quanto si giustificò che “tale legge è il risultato di dodici anni di libertà e d’ordine”. Tale ordinamento previde la formazione gerarchica dei Governatori, Sotto-governatori, Questori, Ispettori, Segretari di Pubblica Sicurezza. Inoltre, fu istituito un ingente corpo di Agenti ed Ufficiali di P.S. per garantire il tanto agognato programma di osservanza delle leggi, nonché del mantenimento dell’ordine pubblico e della prevenzione dei reati in terre sempre più minacciate da briganti e ribelli. La legge introdusse un autoritario regime di polizia con controlli serrati e permessi autorizzati su persone ed attività anche attraverso la figura civica del Sindaco. Si giunse, ad esempio, a regolamentare e controllare attraverso il sistema delle licenze tutte le attività commerciali (dagli alberghi, osterie ai caffè etc), esercitando un’indiretta attività di sorveglianza su tutta l’economia locale, causa poi del susseguente affermarsi del fenomeno clientelare. Il clientelismo, inoltre, attecchì anche nel mercato del lavoro, grazie sempre alle normative piemontesi di regolamentare la forza lavoro attraverso l’uso del libretto e della certificazione di “buona condotta”, documentazione -questa- pur sottoposta alla vidimazione dell’autorità di P.S..La stessa autorità di pubblica sicurezza ebbe pure il compito di conciliare tutte le questioni di lavoro, pendenti tra il datore ed il prestatore d’opera. Analogo controllo degli organi di polizia fu esteso anche a tutte le categorie professionali e soprattutto al comparto editoriale, quest’ultimo sottoposto a ristrette misure “cautelative” onde scongiurare il proliferarsi di una stampa insurrezionale ostile al governo sabaudo. Furono costantemente vigilati attraverso periodici controlli amministrativi (dal cui esito dipendeva la conferma/revoca del permesso) tutti gli stampatori, i venditori di scritti, i giornalisti e gli incisori. La stessa legge di P.S. fu alquanto coercitiva ed autoritaria anche su altri aspetti societari, quale la regolamentazione del flusso dei viandanti nelle province per tramite delle “carte di passaggio”, l’obbligo di autorizzazione di eventuali assembramenti di persone, l’ammonimento contro gli “oziosi e vagabondi” potenziali sospetti di azioni criminose contro la collettività italiana. Il decreto, a firma del citato Savoia-Carignano, sulla concessione della pensione ai militari del cessato esercito delle Due Sicilie, invece, fu ideato probabilmente per rassicurare gli animi turbati degli ex soldati rientrati nella vita civile ed ancora nostalgici del deposto re Francesco II. Va, poi, annotato che nonostante la guerra in corso a Gaeta si pubblicarono ulteriori decreti di nomina nei ruoli amministrativi di esponenti politici e culturali, ferventi sostenitori dell’impresa unitaria garibaldina. Tra tali atti si menzionano quello relativo all’incarico affidato al cav.E.Fasciotti, già console del sovrano sabaudo, presso la sezione Affari Esteri della Luogotenenza; di nomina del “patriota” L.Settembrini ad Ispettore generale degli studi; di incarico del maggiore camicia rossa C. de Gaeta alla direzione del Dicastero dei lavori pubblici o di A. de Sterlich al Dicastero dell’Interno ed Agricoltura-Industria-Commercio e di E.Pessina alla direzione del Dicastero di Grazia e Giustizia. Con la caduta di Gaeta e sua capitolazione firmata il 13 febbraio 1861, il programma di trasformazione delle popolazioni napoletane in fedeli sudditi italiani si accentuò nel proseguo, come si evince dalla più articolata e frequente legislazione filo-sabauda. I decreti emanati successivamente a tale periodo riguardarono l’aspetto fiscale-economico delle Province meridionali. Le cinque principali tassazioni dell’ex regno delle Due Sicilie furono sostituite da una miriade di imposte più onerose, cui fece seguito l’azzeramento dell’economia napoletana che ebbe inizio con il decreto del 17 febbraio, cioè allorquando si autorizzò la zecca di Napoli a coniare la moneta italo-piemontese ritirando dalla circolazione la centenaria moneta in rame, il tornese. Successivamente cominciò l’elenco delle leggi sull’esecuzione delle grandi opere pubbliche (strade, rete ferroviaria, canalizzazione fluviale etc.), fatte eseguire per lo più da imprenditori non locali, come avvenne nel caso della grande stazione ferroviaria di Napoli, data in appalto al signor Talabot (4 aprile 1861).     

di Ettore d’Alessandro di Pescolanciano

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