Alta Terra di Lavoro

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1861. Il regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte. Inizia la resistenza (quarta e ultima parte)

Posted by on Set 26, 2019

1861. Il regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte. Inizia la resistenza (quarta e ultima parte)

Settembre II 1 ° vi sono numerose scaramucce fra truppe e insorti tra Airola e Piano Maggiore. Aspri scontri si verificano nel Sannio, sul Matese e nel Beneventano, dove si combatte a Circello, Campochiaro e Roccamandolfi. Pietrelcina, dopo una feroce resistenza, è occupata dal 61° fanteria che massacra 40 abitanti. Il giorno dopo una sommossa di contadini a Forenza, in Basilicata, è repressa dalle guardie nazionali. Il ministro degli Interni Minghetti si dimette e il ministero è assunto ad interim da Ricasoli. Il 3 anche a Milano si hanno violente sommosse.

I risparmi della popolazione si sono volatilizzati dall’imposizione della moneta piemontese, che è tra le più svalutate d’Europa. Fino a qualche mese prima in Lombardia le poche attività economiche riuscivano a sopravvivere perché favorite dal cambio con valute estere. A S. Marco dei Cavoti e a S. Giorgio La Molara, le guardie nazionali di Benevento, guidati dal collaborazionista Gallerini, il 4, uccidono numerosi contadini. Sui monti di Somma è sgominato il gruppo di Vincenzo Barone. Tra il 5 ed il 7, nella penisola sorrentina e a Castellammare, i guerriglieri di Pilone, infliggono con velocissimi attacchi a sorpresa numerose perdite a reparti del 61 ° fanteria e guardie nazionali. Nell’avellinese, numerosi sostenitori del passato governo sono imprigionati. Ad Agerola un gruppo d’insorti, guidati da Antonio Apuzzo, assalta il carcere e libera una decina di prigionieri. L’8, Chiavone, in Val Roseto, attacca Ischitella e Rendinara, occupa Castelluccio e cattura l’intero bagaglio del 43° di linea. I fanti perdono negli scontri una cinquantina di soldati. Allo scopo di catturare Cozzitto, il generale Villay ordina l’arresto della moglie nonostante fosse al quarto mese di gravidanza: due bambini sono incarcerati con la madre. È posto a comandare la missione di rastrellamento di Cerreto Sannita il maggiore Zittiri, il quale, il 12, fa compilare un elenco di gente sospetta e fa fucilare centinaia di contadini e centinaia di soldati sbandati. Tra i fucilati vi sono Enrico Giordano, fratello di Cosimo, accusato d’essere attivo provveditore di briganti, e un certo Santangelo, accusato d’aver partecipato al massacro dei soldati del tenente Bracci. Il 12, gli insorti subiscono dure perdite a Vetruscelli in uno scontro. Il gruppo di La Gala, braccato dal 40° fanteria, si ritira sul Taburno. Anche a Rimini, Cesena e Bologna vi sono manifestazioni contro il carovita. La notte fra il 13 ed il 14 sbarcano sulla spiaggia di Gerace, nei pressi di Capo Sparti vento, diciotto uomini provenienti da Malta, dove si sono riforniti d’armi e munizioni. Sono legittimisti spagnoli accompagnati da due ufficiali duosiciliani, il tenente Camillo Caracciolo di Girifalco ed un certo Marra, incaricati di organizzare un’insurrezione. Il capo di quella spedizione è il generale catalano José Borjès, arruolato per quell’impresa il 5 luglio a Marsiglia dal principe di Scilla a seguito delle disposizioni impartitogli dal generale Clary. Il Borjès è, infatti, reduce dalle lotte dei carlisti in Spagna contro i liberali. Sembra il capo ideale per una guerriglia di liberazione, ma è giunto troppo tardi e senza un’adeguata organizzazione. Il 14, Borjès arriva nella cittadina di Precaore, dove è accolto favorevolmente dalle gente e dal parroco. Arruola anche una ventina di contadini e si dirige verso Sant’Agata, dove è assalito da una sessantina di guardie nazionali che sono messe in fuga. Il generale si dirige verso Natile e a Cirella dove s’incontra con un gruppo di 120 insorti comandati da un certo Mittica. Questi, diffidente, decide di metterlo alla prova, assaltando con loro il 17 Piatì. Il presidio, rinforzato proprio in quei giorni, costringe gli aggressori a desistere. Alla notizia che era in arrivo un rinforzo di quattrocento piemontesi, si danno alla fuga sotto una pioggia scrosciante. Incappano ancora in due imboscate, il gruppo si disunisce e si allontanano dal Borjès sia il Mittica che i due ufficiali duosiciliani. Il tenente Caracciolo è catturato il 23 ed è imprigionato. Quest’ultimo al processo dirà dignitosamente: «Mi sono battuto perla mia bandiera, quella dell’Esercito Napoletano». Intanto Borjès, disperato, affamato e continuamente braccato, vaga tra la Calabria e la Basilicata, aiutato spesso dalla popolazione. Il 21 Borjès è sulla montagna della Nocella e il giorno dopo arriva a Serrastretta. A Napoli sono destituiti 42 magistrati napoletani ed al loro posto messi magistrati piemontesi o loro collaborazionisti. Il 15 Vittorio Emanuele II si reca a Firenze per inaugurare l’Esposizione Nazionale dell’Industria e dell’Artigianato. Il 20, nel parlamento di Torino il presidente impedisce al deputato Giuseppe Ferrari di usare l’espressione guerra civile per gli avvenimenti delle Due Sicilie affermando: «Non deve confondere il brigantaggio con la guerra civile». Al che Ferrari rispose: «Ma i rappresentanti del Governo hanno intrapreso nelle provincie meridionali dei gravissimi atti, i quali mettono in dubbio la Costituzione stessa. Vi furono dodici villaggi incendiati », ma le parole sono coperte dal rumoroso dissenso degli altri parlamentari che gli impediscono di continuare. Il 22 alcuni reparti del 39° disperdono nei boschi di Calitri i cavalleggeri di Giuseppe Caruso, catturando 49 cavalli. Il 25 le truppe del 61° fanteria catturano numerosi insorti nei boschi di Bella. Il 25 a Pontelandolfo sono arrestati altri quaranta reazionari. Sono processati da un tribunale di guerra appositamente costituito e dodici di loro sono fucilati: Donato Luciano, Gregorio Perugino, Saverio Barbieri, Domenico Guerrieri detto Mango, Nicola Sforza, Domenico Fusco. Sul posto dell’esecuzione è graziato Vincenzo Barbieri di Pasquale. Il comandante Cozzitto si consegna al generale Villary allo scopo di far liberare la moglie e i figli incarcerati. Ad Isernia, il 27, si ha un’altra forte sollevazione popolare contro gli invasori, ma Cialdini dà ordine di soffocare inesorabilmente la rivolta con la fucilazione di molte centinaia di incolpevoli cittadini. Nell’avellinese, il 30, in uno scontro con le truppe, appoggiati dalle guardie nazionali di Monteforte e di Mercogliano, i guerriglieri dei La Gala subiscono un altro rovescio e si disperdono inseguiti dalle truppe di Pinelli. Pilone occupa Boscoreale requisendo le armi e ottenendo 6.000 ducati in cambio della liberazione di un ostaggio liberale. Il Papa Pio IX, nell’allocuzione al concistoro del 30, pronuncia dure parole di condanna: «Non è poi che non vegga quale luttuosa serie di calamità, di delitti e di rovine sia ridondata specialmente alla povera Italia, da questo vasto incendio. Perocché, per usare la parola del profeta, “la maledizione e la menzogna, l’omicidio e il furto e l’adulterio hanno straripato e il sangue incalza il sangue “. Inorridisce davvero e rifugge l’animo per il dolore, né può senza fremito rammentarsi molti villaggi del Regno di Napoli incendiati e spianati al suolo e innumerevoli sacerdoti, e religiosi, e cittadini d’ogni condizione, età e sesso e finanche gli stessi infermi, indegnamente oltraggiati e, senza neppur dirne la ragione, incarcerati e, nel più barbaro dei modi, uccisi… Queste cose si fanno da coloro che non arrossiscono di asserire con e-strema impudenza… voler essi restituire il senso morale all’Italia». Ottobre Si riuniscono a Malta numerosi legittimisti reclutati dal comitato di liberazione duosiciliano di Marsiglia. La maggior parte di loro è spagnola e ha in programma di sbarcare in Calabria per ricongiungersi con Borjès. Oltre agli sbarchi da Malta sono previsti sbarchi da Tunisi e dalle isole Ionie verso la Sicilia. Un banchiere di Marsiglia avrebbe sovvenzionato la spedizione con 5.000 franchi raccolti in Francia. II 4 un distaccamento circonda a sorpresa il convento di Trisulti, dove s’è rifugiato il gruppo combattente di Chiavone, ma la sorpresa l’hanno i soldati, contrattaccati e sbaragliati, subendo molte perdite. Gli insorti, che riescono a rifugiarsi nel territorio pontificio, perdono due prigionieri che sono fucilati a Sora. II raggruppamento di Chiavone è formato da 8 compagnie di oltre 50 uomini ciascuna, comandati da ufficiali svizzeri, spagnoli, francesi e irlandesi. II 5 Borjès s’incontra a Serra Pedace con Leonardo Baccaro che si rifiuta di unire le proprie forze a quelle del generale catalano. Ed è significativo quanto dice al Borjès: «Se il Re venisse in mezzo a noi tutto il popolo si solleverebbe. Questa gente vuole la sua autonomia e il suo Re, ina il timore di vedere bruciate le loro case, imprigionare le donne e i fanciulli, li trattiene». Borjès, per l’esperienza che aveva avuto, considera giustamente, come si legge nel suo diario, che il comando duosiciliano aveva colposamente rinunciato a puntare nel momento buono sull’appoggio popolare e cioè quando ancora resistevano le fortezze di Gaeta, Messina eCivitella del Tronto, non approfittando sin dall’inizio dell’insurrezione popolare contro i garibaldini e piemontesi. Il percorso compiuto da Borjes è molto difficoltoso e molto rischioso, ma intanto egli ha modo di valutare la situazione militare e politica in quelle regioni e si rende conto che alla sua azione dovrà seguire un solido aiuto esterno di uomini e armi. Nel suo giornale riporterà una frase che evidenzierà l’isolamento in cui si trovano i rivoltosi: «I proprietari della Sila sono antirealisti, perché quando il Re fosse sul trono non potrebbero comandare dispoticamente ai loro vassalli». Il giorno 8 è a Rossano. Il 9, abolita la Luogotenenza, Cialdini lascia Napoli, che diventa una prefettura del Regno d’Italia. Borjès entra in Basilicata V II e, braccato dalla guardia nazionale di S. Giorgio, nonostante le spiate di alcuni contadini, riesce a sfuggire al loro inseguimento. Il 15, è sulla montagna Ferravante e si rifugia nella masseria Provenzano. Sempre il 15, presso Lavello, i lancieri uccidono una ventina di contadini solo perché sospetti. Tra i boschi di S. Pietro (Trevico) e quelli di Castiglione si riuniscono centinaia di ex soldati duosiciliani, che si aggregano ai gruppi di Antonio Boschi e Ciriaco Cerrone. La formazione, dirigendosi verso Baronia, entra poi a far parte della banda di Crocco e del suo luogotenente Agostino Sacchetiello, di Bisaccia, già caporale dell’esercito napoletano. Il 16, il generale Alfonso La Marmora è nominato prefetto di Napoli con l’incarico anche di comandante del VI Gran Comando Militare delle truppe mobilitate in Italia meridionale con un assegno di rappresentanza di ben 120.000 lire annue. Nella relazione ufficiale di Cialdini sono riportati i seguenti dati: 9.810 fucilati, 10.604 feriti, 918 case bruciate, 6 paesi rasi al suolo, 12 chiese saccheggiate, 40 donne e 60 ragazzi uccisi, 13.629 deportati, 1.428 comuni insorti in armi e posti in stato d’assedio. Il ministro dell’Interno invia una circolare a tutti i governatori delle province meridionali con l’ordine di trattenere in ogni modo in carcere i detenuti che sono assolti dalla magistratura. Tra il 16 e il 17, a Casalduni e Campolattaro sono catturati e uccisi trentasette uomini della resistenza, altri sei sono fucilati a Pontelandolfo il 18: sono Gennaro Di Michele, Angelo Frangiosa e Nicola Magioli di Campolattaro e Sigismondo Cifaldi, Angelo Cifaldi e Simone Nardone di Casalduni. Borjès raggiunge il bosco di Lagopesole il 19. La mattina del 21 una staffetta annuncia a Crocco che è venuto ad incontrarlo il generale inviato da Roma. L’incontro avviene il giorno dopo, ma fra i due vi sono incomprensioni e diffidenze. Crocco, oltre a non voler combattere sotto il comando di uno straniero, non ritiene realizzabili le proposte del Borjès. Il 25 vi è uno scontro a Lagopesole e Borjès, grazie alla sua esperienza militare ed al suo coraggio, riesce a salvarsi senza l’aiuto degli uomini di Crocco. Lo stesso giorno, vi è un lungo combattimento a S. Ciglio (Avellino) tra il gruppo di La Gala e truppe mobili. Il 27 un gruppo di guerriglieri occupa S. Marco in Lamis mettendo in fuga le guardie nazionali. Il 28, numerosi insorti sostengono duri scontri con il 49° fanteria nella foresta Umbra sul Gargano. Il Comitato centrale della resistenza di Napoli il 28 diffonde un proclama al popolo delle Due Sicilie nel quale elenca le malefatte commesse dai “/ predoni sabaudi”, e incita alle armi per scacciare l’invasore e rimettere sul trono della Patria il legittimo re Francesco II. Il 29, in uno scontro con un gruppo della resistenza pugliese sono uccisi, presso la cappella dell’Incoronata vicino Foggia, il capitano Oddone, il cappellano militare e il medico dei Lancieri di Milano. Messina, dopo due bombardamenti e tre alluvioni, entra in crisi quando, il 29, su pressione degli inglesi, è privata del porto franco da cui gli abitanti traevano di che vivere. Da quel giorno tutto il commercio fa capo a Malta che ha un porto franco ed è governata dall’Inghilterra. A Messina 30.000 persone non hanno più lavoro. Un distaccamento di guardie nazionali è assalito dai guerriglieri irpini, presso S. Martino Vallecaudina, dove è giustiziano un ufficiale e quattro uomini di truppa. Tra le due rive del Fortore formazioni di partigiani a cavallo assaltano in più riprese, infliggendo notevoli perdite, l’8° reggimento di cavalleria. Nel campo di concentramento di S. Maurizio risultano essere stati deportati circa 12.450 soldati duosiciliani. Novembre L’ 1 il generale La Marmora si insedia a Napoli. Vi sono duri scontri alla masseria Cane-strelli, presso 1 ‘Ofanto, e alla masseria Gaudiano, presso Lavello, tra i lancieri del “Milano” e folti gruppi cavalleggeri di Vaschetta: una cinquantina i morti. Il comandante Caschetta è fatto prigioniero e il 2 è fucilato a Melfi. A Roma Pio IX riceve il 2 Francesco II e Maria Sofia, che hanno assistito ad una messa funebre a ricordo dei soldati duosiciliani caduti in loro difesa a Gaeta. A Somma Vesuviana, presso Napoli, un ufficiale piemontese, Bosco di Ruffino, fa arrestare il negoziante di vini Scatena, un certo Mauro e il nipote, il sacerdote Francesco Persico, un proprietario certo Romano e un ragazzo di 14 anni accusandoli di avere corrispondenza con gli uomini della resistenza. Li fa fucilare nella piazza del paese, fa gettare i cadaveri su un carro di letame e li fa interrare. Borjès convince Crocco ad accettare il suo piano che ha innanzitutto lo scopo di compiere un’azione tale da provocare una forte risonanza politica: la conquista di una grande città come Potenza. Il 3, con circa 1.200 uomini, divisi in centurie comandate da ufficiali spagnoli e dai luogotenenti di Crocco, vi è la prima operazione con l’assalto a Trivigno, dove Borjès disapprova il comportamento criminale di alcuni uomini delle truppe di Crocco. Su altri fronti: il 4 gli insorti di Salerno assaltano la stazione ferroviaria dove eliminano tre ingegneri francesi. A S. Martino di Benevento giustiziano un ufficiale e sei militi della guardia nazionale. La guardia nazionale di Vallata arresta un contadino, Angelo Antonio Lo Russo, di Trevi co, solo perché è trovato con una bisaccia piena di pane che si “suppone destinato ai briganti”. Nei giorni 4 e 5 si tengono i plebisciti nelle Marche e nell’Umbria con la seguente domanda: “Volete far parte della monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele II?” Il gruppo di Chiavone assalta e mette in fuga in Castelluccio (Castelliri) un drappello comandato dal tenente Lepomaré, uccidendo numerosi soldati e catturando una parte del bagaglio del 43° fanteria. Chiavone procede anche ad arruolamenti secondo le istruzioni impartite dal Comitato di liberazione di Roma diretto dal generale Statella. In una scorreria i combattenti di Crocco conquistano il 5 Calciano e Garaguso, il 6 Salandra, il 7 e l’8 liberano Castelmezzano, Craco ed Aliano, posta sulla sponda destra del Sauro. Nelle cittadine conquistate sono saccheggiate le case dei liberali. Seicento soldati provenienti da Stigliano, sono attaccati il 10 da 400 insorti mentre si accingono a guadare il Sauro: due battaglioni del 62° fanteria sono travolti dalla cavalleria di Nicola Summa al grido di «Viva ‘o Rre!». Le acque del Sauro diventano rosse del sangue dei militari, che fuggono verso Stigliano, raccogliendosi poi a S. Mauro Forte. Qui subiscono un altro assalto e sono decimati dalla cavalleria insorgente proveniente da Gorgoglione. In quest’occasione cinque prigionieri, facenti parte della guardia mobile, si arruolano nelle bande guerrigliere. Dopo questa disfatta, con 350 morti, lo Stato Maggiore sostituisce il generale Dalla Chiesa che è deferito al Consiglio di Disciplina. Crocco e Borjès sono accolti a Stigliano con grandi festeggiamenti. Alla notizia della vittoria altri 300 volontari si arruolano tra i guerriglie, che sono ora 2.180. A Napoli le truppe entrano negli uffici e nelle tipografie dei giornali “la Settimana”, “Gazzetta del Mezzodì”, “Esperienza” e “Unità” e distruggono tutte le attrezzature e bruciano i numeri esposti in vendita. In Basilicata, in diversi paesi, la guardia nazionale si rinchiude nelle caserme perché la resistenza domina vastissime zone e interviene rapidamente con la cavalleria. AS. Giovanni Incarico, l’I 1, Chiavone attacca vittoriosamente con 400 uomini un presidio del 43° di linea piemontese, poi occupa anche Isoletta di S. Giovanni Incarico. Reagiscono reparti dell’ 11° e 43° reggimento, con il 29° bersaglieri e una sezione d’artiglieria da montagna, che costringono alla fuga il gruppo. Tra i 53 catturati il marchese belga Alfredo de Trazégnies de Namour che è fucilato con tutti gli altri. Chiavone, ferito, riesce a malapena ad evitare la cattura, rifugiandosi con i suoi a Scifelli. A Napoli è aperta in Via Toledo la Banca Nazionale Italiana con funzionari piemontesi e con personale di esclusiva fiducia. La marcia di Crocco e Borjès non si ferma. Si prepara un attacco per conquistare Potenza. Sono conquistate il 13 Cirigliano, Gorgoglione, Accettura e Olivete. Il giorno dopo sono liberate Grassano e S. Chirico. L’arrivo di numerose truppe costringe Crocco ad abbandonare i paesi conquistati, dove si scatena la reazione sugli abitanti. A Trivigno un bando promette il perdono ai rivoltosi che si fossero presentati, ma i 28 che si presentano sono fucilati. Borjès e Crocco inizialmente si dirigono verso il bosco di Lagopesole, poi deviano verso settentrione, facendo tappa ad Accettura e ancora a Grassano. Da qui Borjès fa diffondere la falsa notizia di una sua disfatta e nella notte tra il 14 e 15 punta su Potenza. Il 15, a seguito di una delazione di Cerrone, sono catturati otto guerriglieri dal capitano del 6° di linea Gaetano Negri, che poi diventerà sindaco di Milano. I prigionieri, senza processo, il giorno dopo sono fucilati a Vallata: sono Alfonso Cerullo, 27 anni, Vito Marino, 27 anni, Antonio Cardinale, 25 anni, Euplio Laeza, 35 anni, Francesco Pagliarulo, 34 anni, Antonio La Ferrara, 27 anni, Giovanni Ragazzo, 27 anni. Cerrone, per premio della sua collaborazione, è lasciato libero. Il 16 la vallata prospiciente Potenza accoglie le brigate di Borjès e Crocco. Secondo i piani, dovrebbero verificarsi disordini fomentati dal clandestino comitato di resistenza. Crocco nelle sue memorie scrive: «Presiede il comitato il sig. …, liberale della sola fascia tricolore, che non avendo potuto arricchire nella rivoluzione, cambiò bandiera e si rifece borbonico. Ma questo camaleonte ancora una volta cambiò colore, avvertì il comandante della piazza, indicò dove erano deposte le armi, e, dopo aver intascato i ducati del Borbone, si vantò di a-ver salvato la Basilicata». Fallita la prevista insurrezione interna nella città, vi è uno scontro a Vaglio con le guardie nazionali che danno l’allarme alle truppe poste a difesa. Borjès e Crocco, privi d’artiglieria, sono costretti a deviare verso Pietragalla. I guerriglieri s’impadroniscono della cittadina, ma l’arrivo di preponderanti forze militari li costringe a ritirarsi a Lagopesole. Si aggravano i contrasti tra Crocco e Borjès. Il 17 sono arrestati “per corrispondenza criminosa con i briganti”, a Vallata, dal capitano Aiello del 6° Reggimento di linea, i sacerdoti don Leopoldo Paglia e don Alfonso Armino: nel gennaio del 1862, saranno assolti dalla Gran Corte Criminale di Avellino. Il 18 Chiavone occupa Civita d’Antino. Il 19 Francesco II nomina a Roma il catalano Rafael Tristany di Barrerà comandante delle truppe insorgenti negli Abruzzi con il compito di coordinare le azioni di Chiavone, che incontra il 21 a Scifelli. L’incontro non è molto positivo e il Tristany se ne ritorna a Roma. A Torino, il 20, il deputato di Casoria, il duca di Maddaloni Marzio Francesco Proto, propone il distacco dell’ex Regno delle Due Sicilie dal Regno d’Italia e accusa apertamente il governo di avere invaso e depredato il Napoletano e la Sicilia: «Gli uomini di Stato del Piemonte e i partigiani loro – afferma nella sua mozione – hanno corrotto nel Regno di Napoli quanto vi rimaneva di morale. Hanno spoglio il popolo delle sue leggi, del suo pane, del suo onore… e lasciato cadere in discredito la giustizia… Hanno dato l’unità al paese, è vero, ma lo hanno reso servo, misero, cortigiano, vile. Contro questo stato di cose il paese ha reagito. Ma terribile ed inumana è stata la reazione di chi voleva far credere di avervi portato la libertà… Pensavano di poter vincere con il terrorismo l’insurrezione, ma con il terrorismo si crebbe l’insurrezione e la guerra civile spinge ad incrudelire e ad abbandonarsi a saccheggi e ad o-pere di vendetta. Si promise il perdono ai ribelli, agli sbandati, ai renitenti. Chi si presentò fu fucilato senza processo. I più feroci briganti non furono certo da meno di Pine Ili e di Cialdini». Tra l’altro così aggiunge: «Intere famiglie veggonsi accattar l’elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. A’mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagatisi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a camerieri, a birri vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le provincie meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala». La Presidenza della Camera invita il deputato di Casoria a ritirare la sua mozione e ne vieta la pubblicazione negli Atti Parlamentari perché espressione della più bieca reazione. Nella stessa seduta è impedito al deputato di interpretare ancora una volta le insurrezioni nelle Due Sicilie come una guerra civile e dopo questo rifiuto, il deputato Giuseppe Ricciardi preannunzia una sua interpellanza sulle condizioni delle province meridionali. Il Governo non intende, tuttavia, discutere assolutamente su questo argomento. La stesso Presidente del Consiglio, Ri-casoli, interviene ed invita la Camera a “non fare discussioni inutili: il promuovere la questione delle piaghe delle provincie meridionali sarà un perder tempo prezioso, sarà il ripetere una storia dolorosa di cose che purtroppo, sappiamo”. A queste parole di rifiuto, Proto presenta le dimissioni da deputato e si reca a Roma presso Francesco II. Dopo alcuni inutili assalti ad Avigliano, il 19, ed a Bella, il 22, contro il parere di Borjès, gli insorti di Crocco incappano a Muro Lucano in un grosso concentramento di truppe e devono allontanarsi. Il giorno successivo, dopo essersi di nuovo concentrati, entrano a Balvano, accolti festosamente dalla popolazione. Queste inutili azioni rendono ancora più difficili i rapporti tra Crocco e Borjès. Sul fuoco soffia l’ambizioso francese De Langlais, che esercita notevole influenza su Crocco. Sul suo diario Borjès annota che il Langlais “57 spaccia come generale ed agisce come un imbecille”. Il francese, Agustin Marie Olivier de Langlais, è in realtà un impiegato delle dogane francesi ed è misteriosa la sua presenza nella resistenza. Le cittadine di Rocca Rainola, Pioppa, Gargani, Sosso e Camposano sono minuziosamente rastrellate dai bersaglieri del generale Franzini. I guerriglieri occupano Corbara, nel Salernitano, e Luco de’ Marsi. Pontecorvo insorge, ma resiste solo pochi giorni. Il 21, in uno scontro contro gli insorti sui monti di Roccarainola, muoiono due ufficiali delle guardie nazionali. A Napoli, il 22, gli impiegati del Banco di Napoli si rivoltano contro il loro direttore, accoltellandolo. Nella discussione del progetto di legge per estendere l’imposta, il decimo di guerra, anche nelle Due Sicilie, il deputato Ricciardi dichiara che sarebbe sommamente inopportuno gravare con nuove tasse le province meridionali dove la situazione economica è disastrosa: «La miseria è grandissima a causa del ristagno delle industrie, e de ‘ traffichi; gli artigiani in molte località non hanno di che vivere. Si aggiunga il caro viveri, che non è mai stato così grande. Nel tempo de ‘ Borboni il governo impediva, che il prezzo del pane salisse oltre una certa misura, ed appena prevedeva la carestia, incettava il grano; cosicché il prezzo del pane era sempre discreto … questo decreto ha fatto salire il prezzo del pane …sotto i Borbone noi mangiavamo, ed ora mangiamo molto meno bene di quello che mangiavamo una volta». Il 23 è introdotta nell’ex regno la nuova tassa, il decimo di guerra. Il 24 a Gallipoli, un centinaio di popolani, assalta con una nutrita sassaiola la guardia nazionale al grido di “Viva la libertà”, ma è dispersa a fucilate, che causano la morte di due persone e fanno numerosi feriti. Nei giorni successivi, in tutta la provincia, sono aggredite le guardie nazionali e prelevate le loro armi e munizioni. A Roma, i piemontesi fanno circolare fotomontaggi della regina Maria Sofia nuda al fine di screditare i sovrani duosiciliani. A Palermo, il 25, i lavoranti in sartoria fanno uno sciopero per la morte misteriosa di un loro collega avvenuta nella notte: ne sono arrestate una cinquantina. Il 26, nel Tramano, sono arrestati 9 insorgenti, tra i quali il comandante Felice Andrea Arzelini. Borjès, il 27, si allontana definitivamente da Crocco e così annota nel suo diario: Crocco “riunisce i suoi antichi capi di ladri e dà loro i suoi antichi accoliti. Gli altri soldati sono disarmati violentemente; prendono loro in specie i fucili rigati e quelli a percussione”. Il 28, dopo aver superato il presidio di Pescopagano, i combattenti di Crocco si rifugiano nel bosco di Monticchio, dove il comandante, per meglio sfuggire agli inseguitori, divide la formazioni in gruppi indicati dal nome dei loro capi: Giuseppe Caruso, Coppa, Ninco Nanco, Totaro, Tortora, Gioseffi, Volonnino, Schiavone ed altre minori. Borjès, insieme ai suoi fidati spagnoli, il 29, s’incammina in un freddissimo inverno verso Roma, attraversando l’Alto Molise e l’altipiano delle Cinque Miglia. Alla Camera di Torino il deputato Mancini presenta un progetto di legge per l’assegnazione di una pensione annua di lire 1000 a ciascuno dei “mille” sbarcati a Marsala con Garibaldi. Il 30 un grosso raggruppamento comandato da Crocco circonda il paese di Pescopagano dove sono eliminati i più noti liberali e distrutta la casermetta delle guardie nazionali Dicembre A Torino, il 2, alla Camera sono discusse le interpellanze sulla questione romana e sulla questione duosiciliana. Prende la parola il deputato Giuseppe Ferrari che denuncia le efferatezze commesse dalle truppe piemontesi e tutte le scene d’orrore cui lui stesso aveva assistito visitando Pontelandolfo, Casalduni e Montefalcione. La denuncia del parlamentare è accolta dall’assemblea con un senso di fastidio e non vi è alcun riscontro da parte del governo. Nella seduta successiva il deputato Brofferio dice: «Come volete che a Napoli non regni il brigantaggio; che non vi sieno ogni giorno ladri su le piazze; che non via sia gente pugnalata, se la polizia non sa mai nulla; se quando si traduce un colpevole innanzi a ‘ tribunali, questi ne sanno meno della polizia? Tutti i giorni si arresta gran quantità di persone a Napoli, a Palermo, e non abbiamo mai notizia alcuna de ‘processi, e delle sentenze. La sola cosa che sappiamo è il rilascio a Napoli del Duca di Cajaniello dopo sei mesi di detenzione. Ma se costui era innocente, come si è potuto custodire sei mesi in carcere sotto i dolori di una lunga istruzione processuale? Se era colpevole, perché venne rilasciato senza giudizio, e per semplice forma dì procedimento? In 24 ore il Duca di Cajaniello, se era innocente, doveva essere rilasciato!». A Napoli il 3 vi sono nuove manifestazioni contro il governo. A Palermo sono effettuati altri arresti di persone accusate di voler organizzare una rivolta contro lo Stato unitario. Il generale La Marmora, non potendo più nascondere le ruberie compiute dagli ufficiali piemontesi, decide di denunciarne tre “per abuso di potere” allo scopo di dare un esempio. Borjès arriva con i suoi uomini a Pescasseroli il 4 . Alla Camera continuano le discussioni su Roma e Napoli. Il 5, in un discorso in Parlamento, Garibaldi definisce i suoi Mille: «…Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra ; tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto», provocando molta agitazione tra i parlamentari. Prima del suo intervento Garibaldi si è intrattenuto a colloquio con il re e con Rattazzi. Il 6 i bersaglieri prelevano dalle carceri di Potenza un gruppo di detenuti, tra i quali due luogotenenti di Crocco, Vincenzo D’Amato, detto Stancone, e Luigi Romaniello, e, invece di tradurli a Salerno com’era stato dichiarato, li uccidono lungo il tragitto. A Palermo, a seguito di una delazione, è sventata una sommossa popolare con l’arresto di numerosi congiurati. Alla Camera, a Torino, il 7, è rivelato che la polizia a Napoli apre e controlla tutta la posta privata in violazione della legge. L’8 avviene un violento terremoto a Napoli e, mentre il suolo si solleva, il Vesuvio emette fiumi di lava da bocche apertesi a circa 250 metri d’altezza. La lava si ferma all’inizio dell’abitato di Torre del Greco che tuttavia subisce il crollo di numerosi edifici per effetto di una frattura che dal Vesuvio si propaga fino al mare per circa un chilometro. Le acque che rifornivano gli acquedotti diventano non più potabili. Sempre I’8, Borjès, tradito da un francese che lo ha riconosciuto, è circondato insieme ai suoi uomini a dieci chilometri dalla frontiera pontificia nei pressi di Tagliacozzo, nella cascina Mastroddi in località La Lupa. Dopo una sparatoria, vinti dal fumo per il fuoco appiccato dai nemici alla cascina, gli spagnoli sono costretti ad arrendersi. I prigionieri sono portati a Tagliacozzo, sono interrogati e fucilati. Il Franchini s’impossessa di nascosto di tutte le monete d’oro trovate addosso agli spagnoli, mentre consegna alcuni documenti compromettenti e un diario quasi giornaliero scritto da Borjès. Il Franchini è Io stesso ufficiale che l’anno prima aveva fucilato, con l’accusa di detenzione d’armi, un cittadino di Pizzoli che gli forniva vitto e alloggio. La notizia della fucilazione senza processo di Borjès provoca negative impressioni all’estero. Lo stesso giorno, a Torre del Greco, mentre i camorristi festeggiano la Madonna Immacolata, addobbandola con insegne massoniche, vi è un ripetersi di violente scosse di terremoto. Sul Vesuvio si aprono cinque crateri che vomitano lava fino all’11 gennaio. La lava arriva anche a Napoli fino alla strada di S. Teresa e sul Purgatorio. Torre del Greco è completamente distrutta. Re Francesco, da Roma, invia alla città mille ducati per aiutare le famiglie colpite dal cataclisma. Corbara, nel salernitano, è occupata dagli insorti che scacciano le guardie nazionali. Nei territori di Sarno è attivissima la banda di Orazio Cioffi, che, pur essendo subordinato a Pilone, domina da padrone in tutta l’area, tanto che è inviato a Sarno l’intero 53° fanteria per contrastarlo, ma negli scontri avvenuti al Malopasso, al Pizzo Alvano e a Prato i militari sono sempre sconfitti e subiscono numerose perdite. Capo carismatico di tutti i legittimisti sarnesi è il vecchio duca Capece-Minutolo, principe di Canosa, che coordina tutte le azioni degli insorti che operano nella zona. In questo periodo tutta la popolazione dà il suo consenso ed ogni genere di aiuto agli insorti che attuano le loro azioni apertamente. I guerriglieri di Cioffi hanno anche un distintivo con sopra incisi una corona e una mano che impugna uno stiletto con il motto “Fac et spera” (Esegui e spera). Tra i gruppi di resistenza che operano nell’entroterra napoletano, oltre a quelli di Cioffi e Pilone, vi sono quelli di Vincenzo Barone, dei fratelli La Gala, di Crescenzo Gravina, di Giordano e di Cavallaro. A Genova, ad Acqui, a Lodi e ad Alessandria, nei campi di concentramento dei prigionieri duosiciliani, quasi tutti rifiutano l’arruolamento nuovamente proposto. La sera del 15 a Lercara in Sicilia si ha una violenta manifestazione di una trentina di giovani contro l’imposizione della leva obbligatoria. I carabinieri disperdono a sciabolate i manifestanti e arrestano 5 persone. La Sicilia che era il granaio di tutto il Sud deve importare grano dall’Ungheria, mentre i prodotti interni quale cotone, lino, canapa, lana, mandorle, restano invenduti. Il 16 un plotone dell’8° reggimento di cavalleria è accerchiato alla masseria De Matteis presso Roteilo, ma è salvati dall’arrivo del reggimento. Il 17 i lancieri assaltano a sorpresa una masseria a Fracandolo (Ascoli), dove fucilano nove guerriglieri. Nel villaggio di S. Mercurio i lancieri subiscono alcune perdite. Il presidente del consiglio, Bettino Ricasoli, dopo gli accertamenti avvenuti nella seduta pubblica della Camera di Torino, è costretto ad emanare una circolare ai prefetti per arginare la dilagante corruzione dei funzionari piemontesi che, con artifizi e raggiri, pretendono tangenti per avviare istanze e pratiche presso i vari ministeri di Torino. Il 18 il gruppo di resistenza dei fratelli La Gala è sorpreso e quasi distrutto dall’improvviso attacco di due battaglioni bersaglieri del generale Franzini sui monti di Cervinara, nell’avellinese: 163 uomini tra morti e prigionieri. I fratelli La Gala riescono a rifugiarsi a Roma. Per rappresaglia sono incarcerati i parenti dei legittimisti, tra cui anche bambini di nove anni. ACicciano, nei pressi di Napoli, è fucilato Francesco Parisi, appartenente al gruppo di Ci- priani, per ordine del gen. Franzini, che a Nola fa fucilare anche Tommaso Sortino e a Palma appartenente al gruppo di Crescenzio. Per atterrire ancor più la popolazione fa arrestare la sorella di quest’ultimo e il fratello di 14 anni. Il 20 gli insorti di Napoli s’impossessano di 20.000 franchi in oro che una pattuglia militare aveva appena prelevato dal Banco di Napoli. Nelle campagne di Auletta le truppe del 61° fanteria, in un assalto di sorpresa, uccidono numerosi componenti della banda di Gesummaria. Alla Camera, il 21, il ministro delle finanze Bastogi dichiara che vi è un deficit di 159 milioni, senza calcolare nel passivo l’ultimo prestito. Propone di aumentare le imposte. Il governo Ricasoli, dato il numero notevole di prigionieri, esamina la possibilità di deportarli. A tale scopo il ministro degli esteri, Giacomo Durando, contatta i diplomatici portoghesi per un invio nelle colonie di Goa, Macao, Timor e Mozambico. Napoli è coperta, il 24, da una fitta coltre di cenere eruttata dal Vesuvio. Il gruppo di Pilone entra a Scafati e disarma la guardia nazionale, dirigendosi poi a Terzigno, dove nella notte assale la casermetta della guardia nazionale, s’impossessa d’armi e munizioni e distrugge carteggi e suppellettili. Il giorno di Natale i bersaglieri arrestano ad Ascoli Perni di Berna, detto lo svizzero, e Izzi Luigi, detto sartorello, che sono uccisi perché “avevano tentato di fuggire”‘. Nel Vulture il generale Franzini ordina di fucilare immediatamente i sospetti insorti prima che intervenga la magistratura. Nelle province napoletane vi sono 37 Tribunali ripartiti tra le Corti di Appello di Napoli, Catanzaro, Aquila, Trani e la sezione staccata di Potenza. A Napoli vi è anche la Corte di Cassazione, ma tra i magistrati in servizio solo il 40% appartiene alla magistratura duosiciliana, perché “benemeriti”, il resto dei magistrati è o piemontese o “arruolato per ineriti particolari”. Crocco divide le sue truppe in sei distaccamenti comandati dai suoi migliori luogotenenti e le fa accampare lungo i boschi sulla dorsale che da Potenza porta a Monticchio. Riprende poi il cammino dirigendosi ad ovest lungo il medio Ofanto fino al territorio di Calitri. Nessuno o-sa disturbare la banda acquartierata, che può ancora una volta riorganizzarsi. Nelle sue memorie Crocco scrive: «Così passammo l’inverno senza essere disturbati e fu veramente una fortuna, poiché quell’anno vi fu un’invernata terribile … Era caduta tanta neve che non si poteva camminare; ciò fece dire ai giornali che il “brigantaggio” era distrutto e morto …». Il Vesuvio continua ad emettere abbondanti nuvole di cenere che coprono tutta Napoli ed i territori circostanti. A Salerno il 30 è catturato Botta, capo degli insorti del salernitano. A Palermo, nei dintorni di Parco, i militari circondano un gruppo di insorti uccidendone 6 e catturandone 17. In Basilicata la ritirata di Crocco ha come conseguenza la fine delle bande isolate: circa 300 sono assassinati appena catturati e oltre 600 sono fatti prigionieri nei rastrellamenti. Il gruppo comandato da Crescenzo depone le armi e si costituisce interamente. Il 31 un plotone di 20 lancieri “Montebello”, comandato dal tenente conte Fossati, accorso presso la masseria Marsaldi occupata dagli insorti, ha 18 soldati morti in un agguato sul torrente Candelabro. A Cervinara è fatto chiudere il panificio perché il titolare è sospettato di aver fornito pane ai briganti. Secondo la statistica di fine anno nel solo secondo semestre vi sono stati 733 fucilati, 1.093 uccisi in combattimento e 4.096 fra arrestati e costituiti. Le cifre, tuttavia, sono molto al disotto del vero, perché non sono indicati quelli della zona della Capitanata, di Caserta, Molise e Benevento, dove comanda il famigerato Pinelli. La stampa francese calcola che fino ad ottobre del 186 li fucilati sono stati 9.860, le abitazioni incendiate 918, centinaia i paesi saccheggiati e nel numero di 6 i paesi completamente rasi al suolo. A Torino, il ministro della guerra Della Rovere, dichiara che 80.000 uomini dell’ex armata duosiciliana, imprigionati in varie località della penisola, hanno rifiutato di servire sotto le bandiere piemontesi. Dovunque sono diffuse la paura, l’odio e la sete di vendetta, migliaia sono i profughi. I pubblici poteri sono in sostanza paralizzati. Quasi tutte le fabbriche sono chiuse e il commercio è inaridito in intere provincie. L’agricoltura delle Due Sicilie è ridotta allo sfascio. I contadini, che fino al 1860 avevano fruito di una condizione economica assai migliore di quelli del resto della penisola, oltre a non poter più utilizzare le terre concesse loro da secoli, ora sono senza possibilità di procurarsi da mangiare e sono stati privati anche del lavoro. I nuovi proprietari della terra, infatti, introducendo colture industriali, avevano eliminate quelle che assicuravano il fabbisogno alimentare e tessile della popolazione minuta. La fame e la miseria sono un fatto comune tra la maggior parte della popolazione. Gli abitanti delle Provincie napoletane sono 6.787.289, nella Sicilia sono 2.892.414. Napoli è ancora la città più grande della penisola con circa mezzo milione di abitanti. Alla fine del 1861 solo la Francia e l’Inghilterra hanno riconosciuto il “Regno d’Italia”.

di Antonio Pagano

fonte http://thule-italia.com/wordpress/2011/03/18/1861-il-regno-delle-due-sicilie-e-annesso-al-piemonte-inizia-la-resistenza-quarta-e-ultima-parte/

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