6 gennaio 1913: l’eccidio di Roccagorga nel basso Lazio
Un secolo fa una tragedia con sette morti, definita “Assassinio di Stato” di Luciano Di Pietrantonio – 5 Gennaio 2013
Dal giornale “ Il Messaggero” del 7 gennaio 1913, si leggeva: “A Roccagorga questa mattina avvennero gravissimi fatti, in seguito a una rivolta popolare contro il municipio che, secondo i rivoltosi, sarebbe colpevole di aver principalmente trascurato il servizio sanitario. Il paese di Roccagorga, che dista 7 chilometri da Piperno e 35 da Frosinone, si trova nel centro dei monti Lepini, a 298 metri s.l.m. E’ un ex feudo dei Doria-Pamphilj. Gli abitanti sono circa tremila, esiste una forte emigrazione…”
A distanza di cento anni è importante ricostruire una vicenda, fra le tante, che dimostra quale è stata la determinazione delle classi più deboli, per veder riconosciuti i propri diritti di cittadini e di lavoratori, in una società dove le differenze sembravano incolmabili.
Il punto di partenza è la fredda alba del 6 gennaio 1913, quando nella piazza principale di Roccagorga, all’epoca dei fatti Piazza Vittorio Emanuele, che si trova fra la Chiesa Parrocchiale e il Palazzo baronale, si radunano contadine e contadini per protestare e far conoscere i loro disagi.
Quali erano i motivi della manifestazione?
Essenzialmente due: la vessatoria applicazione delle tasse comunali con criteri “discrezionali,” quindi una pressione fiscale insostenibile. La popolazione, qualora riuscisse a coltivare un pezzo di terra (la proprietà privata si limitava alle abitazioni e agli attrezzi di lavoro), doveva al padrone decime molto pesanti, che venivano inasprite nel caso di annate magre. Gli usi civici come mulini, frantoi, forni pubblici, erano anch’essi vessati con tasse molto salate, che lasciavano al malcapitato quel poco per vivere.
“La situazione igienico sanitaria era scarsa o pressoché inesistente: non vi erano sistemi o reti fognanti, né condutture idriche, non acqua, non spazzatura. In una camera sola abita tutta la famiglia, non meno di 5 o 6 persone, e con i membri delle famiglie, in moltissimi casi è comune la convivenza del maiale e quello delle galline. Ci si ammalava spesso e le condizioni di vita, unite ad un’alimentazione tutt’altro che sufficiente, erano tali da non consentire un’aspettativa di vita che superasse i 50 anni.”
Erano state più volte espresse proteste e ricorsi motivati (alla sotto Prefettura di Frosinone, in quel periodo la Provincia di Littoria non era ancora stata costituita), ma senza alcun risultato.
La povertà dovuta alle condizioni di lavoro assurde, serpeggiava ovunque, i cittadini e in particolare i contadini di Roccagorga – scrive un giornalista dell’epoca, raccontando le condizioni di vita – “si alzano a mezzanotte, fanno quattro ore di cammino per andare sul posto di lavoro (nelle paludi di Sezze e Terracina), staccano alle due pomeridiane e ritornano alle loro casette per mangiare un piatto di granturco.”
“Si decise così di indire, previa regolare autorizzazione, per un pubblico comizio, concessa dalle Autorità preposte. Davanti al Comune, in attesa della manifestazione, v’erano un complesso di almeno 65 uomini, 50 soldati e 15 carabinieri.” La truppa era stata inviata dal Prefetto di Frosinone a difesa del Sindaco e del Medico Condotto, e garantire l’ordine pubblico, contro la cui mala amministrazione erano rivolte forti critiche e la dimostrazione era stata annunciata molto partecipata.
Il clima dell’Italia dell’epoca, caratterizzato dallo sforzo bellico sul suolo di Tripoli per la politica coloniale, risentiva di fortissime tensioni sociali, in molte parti d’Italia, i primi giorni del 1913, registrarono scontri fra forze dell’ordine e cittadini, anche nelle provincie di Parma e Ragusa.
Era Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti che ricopriva anche la carica di Ministro degli Interni.
La manifestazione era stata organizzata dalla “ Società Agricola Savoia”, che era stata costituita, per iniziativa di alcuni contadini tornati dall’America, ed era stata incoraggiata dalle autorità locali. Lo Statuto prevedeva il carattere apolitico dell’associazione, con intenti di mutuo soccorso.
La dimostrazione si concluse senza alcun incidente, dopo il comizio “un gruppo numeroso di intervenuti, comprese parecchie donne, volle recarsi sotto il Municipio e ripetere l’espressione della volontà popolare, affermata nel comizio stesso, e salì nei locali della Società a prendere la bandiera tricolore, che era stata esposta a un balcone e porsi in marcia verso il comune. L’apparizione del vessillo scatenò l’ira dei Reali Carabinieri e sul balcone si generò una violenta colluttazione per impedire che fosse asportata la bandiera, mentre si scatenavano nella strada tafferugli; i carabinieri allora si slanciarono verso colei che portava il vessillo per toglierlo dalle mani. Ma le donne raggruppatesi attorno alla vessillifera difesero accanitamente la bandiera, che nella ressa venne ridotta in brandelli, mentre l’asta finiva in pezzi.”
E’ questo il momento, concordano tutte le fonti, che vide i primi lanci di sassi, e “fu allora che il Tenente Gregori, Tenente dell’Esercito, il più alto in grado del presidio, che a quanto pare aveva perso la testa, visto sanguinare il viso di un soldato, ordinava il fuoco; e fu fuoco di plotone, secco e compatto.”
Cadono sette “Rocchigiani”: Erasmo Restaini (34 anni), Salvatore Ferrarese (55), Fortunata Ciotti (25), Vincenza Babbo (44), Carlo Salcani (5), Mario Restaini (27), Vincenzo Mancini (28), vi sono poi 23 feriti, oltre ai contusi e altri feriti che si medicheranno da soli. In totale, furono sparati 170 colpi i moschetto in 20 secondi, l’eccidio di Roccagorga era compiuto.
L’accaduto salì agli onori della cronaca nazionale, tanto che il capo del Governo Giolitti, telegrafò al Prefetto di Frosinone per dire: “La rivolta di Roccagorga contro la forza pubblica è un fatto così grave che richiede una esemplare repressione. Occorre quindi procedere ad arresti su larghissima scala di tutti quanti coloro che vi presero parte traducendoli alle carceri circondariali con la massima pubblicità affinchè la popolazione comprenda la impossibilità che una così selvaggia ribellione vada impunita.”
La vasta eco dell’eccidio recherà, al piccolo centro laziale, una notorietà inedita, quanto poco desiderata, che, su tutti gli organi di informazione del Regno d’Italia, porterà la notizia della tragedia a contendere la prima pagina alle celebrazioni dell’annessione della Colonia di Libia, avvenute in forma solenne all’Altare della Patria, in data 20 gennaio 1913.
In un articolo sul giornale “Avanti” organo del Partito Socialista Italiano, dal titolo “Assassinio di Stato”, il direttore Benito Mussolini, prese le difese dei cittadini di Roccagorga e fu imputato di vilipendio a mezzo stampa, ma questa pagina di storia convulsa che lambì la città nel cuore dell’età giolittiana, è passata velocemente nel dimenticatoio.
La vicenda dell’eccidio del giorno dell’Epifania del 1913, rimane sempre un esempio di quanto sia stato duro il diritto di emanciparsi e di conquistare diritti e cittadinanza per le classi lavoratrici e per tutti i cittadini del nostro paese.
Oggi, a cento anni da quel massacro di sette innocenti, Piazza Vittorio Emanuele è diventa Piazza 6 gennaio, il Comune di Roccagorga, ricorda e fa memoria con manifestazioni e cerimonie sull’accaduto, probabilmente questa ricorrenza doveva avere un respiro nazionale, anche attraverso i media, perché la storia è fatta anche di piccoli, ma grandi episodi.
Per questo è sempre importante ricordare fatti storici che hanno contribuito, a fare del nostro paese, una democrazia repubblicana.
fonte https://abitarearoma.it/6-gennaio-1913-leccidio-di-roccagorga-nel-basso-lazio/