Se domani mattina andate al macellaio sotto casa e gli nominate la “La Legge Pica” vi saprà dare subito delle risposte per come questa orrenda e scabrosa legge sia entrata nell’immaginario collettivo italiano, ma in pochi si rendono conto i disastri che ha provocato la sua applicazione. Vi invito a vedere il breve video di seguito che ha un impatto molto più forte rispetto alla lettura di tutti gli articoli che la compongono
In questo mondo nuovo, sorto dalle ceneri di un’età irripetibile,
c’era però chi voleva continuare ad ancorarsi ardentemente a quel tempo. C’era
chi non aveva esitato a mettere in discussione tutto, anche la propria vita, affinché
quel passato potesse esistere ancora. Uomini innamorati della propria
terra, identità e libertà, per la storiografia dominante: briganti.
L’Unità d’Italia era
divenuta realtà, ma nel Mezzogiorno d’Italia si continuava a combattere. Malgrado la
disparità di risorse, mezzi ed uomini, erano proprio i briganti a creare
numerosi grattacapi all’esercito italiano con azioni di guerriglia ed avventurose
scorribande in molti paesi con l’intento di portare la
popolazione locale alla ribellione. Col passare del tempo un numero sempre
maggiore di persone si aggregò al movimento di resistenza postunitario e la
cosa preoccupò le autorità competenti.
Già nell’estate del 1862 re Vittorio Emanuele II aveva
proclamato lo stato d’assedio per le regioni dell’Italia
meridionale, al fine di reprimere il fenomeno. Non ottenendo risultati
soddisfacenti, a distanza di dodici mesi, si decise di promulgare la legge
Pica. Era il 15 agosto 1863.
Il provvedimento fu emanato in deroga agli articoli 24 e 71
dello Statuto albertino, garanti dell’uguaglianza di tutti i sudditi
davanti alla legge, ed introdusse il reato di brigantaggio. Per i colpevoli di
tale crimine era previsto il giudizio dei Tribunali Militari che sorsero in
tutte le regioni meridionali. Le pene previste erano la fucilazione, lavori
forzati a vita o lunghi anni di carcere.
È stato notato che alla sospensione dei diritti costituzionali,
la nuova disposizione governativa introdusse misure come la
punizione collettiva per i reati dei singoli e il diritto
di rappresaglia contro i villaggi. Veniva
giustificato il concetto di responsabilità comune. La legge diede, in sostanza,
un potere abnorme all’autorità militare su quella civile. Se su qualcuno
ricadeva il sospetto di essere brigante, o era semplicemente il parente di un
sospettato, veniva fucilato senza processo
e senza possibilità alcuna di dimostrare la propria innocenza.
Moltissimi furono i soprusi e le prepotenze arbitrarie;
intere famiglie vennero arrestate senza motivo, uomini assolti
dai giudici continuarono a marcire in carcere e così via. Anche in Parlamento,
viste le ingiustizie che si erano verificate, si sollevò un forte ma
inconcludente dibattito. La legge Pica non faceva nessuna distinzione ed
affrancava i militari, e i loro fucili, da ogni tipo di vincolo morale e
giuridico. Il brigantaggio, movimento dagli ideali politici e legittimisti,
venne ufficialmente assimilato al più becero banditismo.
Si pensi che nel breve lasso di tempo nel quale
la legge speciale fu in vigore eliminò, tra esecuzioni ed arresti, 14000
briganti o presunti tali. Malgrado la durezza del provvedimento
il governo non ottenne i risultati sperati. I briganti continuarono a lottare,
con eroica ostinazione, la loro guerra ineguale contro l’esercito italiano fino
al 1870.
Fonti: – Cesare Cesari, Il Brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870. – Mario D’Addio, Politica e magistratura (1848-1876). – Gigi Di Fiore, Controstoria dell’Unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento. – Francesco Saverio Nitti, Eroi e briganti. deuse