Alta Terra di Lavoro

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Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica al Museo di Capodimonte, foto scattate da un semplice telefono

Posted by on Gen 15, 2020

Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica al Museo di Capodimonte, foto scattate da un semplice telefono

Doveva essere una mostra presente a Capodimonte per un paio di mesi ma grazie allo strepitoso successo i mesi sono triplicati, parliamo della mostra Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica che è unica e particolare. Chi sente di avere una sensibilità, culturale ed artistica in tutte le sue forme oppure pensa di essere un musicista non puo non andare a vederla. Di seguito un piccolo contributo fotografico che non è di grande qualità ma sufficiente per far capire che le mie parole non sono esagerate.

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Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica al Museo di Capodimonte

Posted by on Ott 15, 2019

Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica al Museo di Capodimonte

Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica”, in mostra a Capodimonte, ci porta in un viaggio nel tempo: nella Napoli capitale di un Regno. È il 4 novembre 1737, giorno onomastico del re Carlo di Borbone, che appena tre anni prima ha conquistato il trono. E già si inaugura (onore alle maestranze napoletane) il teatro San Carlo, che mette in scena l’opera “Achille in Sciro” musicata dal pugliese Domenico Sarro. L’architetto ne è un ufficiale dell’esercito borbonico: il leccese Antonio Medrano. Il quale è anche l’architetto della reggia di Capodimonte.

Proprio in questa reggia settecentesca, che ha un bel po’ del fascino dell’epoca sua, è alloggiata la mostra, il luogo del nostro viaggio. Spettacolare ne è l’ingresso, tappezzato, tutt’intorno, da una coloratissima gigantografia, tra il rosso e l’oro, del teatro San Carlo. Al centro, troneggia un busto monumentale, ma è di cartapesta, della regina Maria Carolina.

Si erge da una enorme tazza da caffè, che ricorda la fondazione della fabbrica di ceramica di Capodimonte, voluta, nel 1743,  da Carlo di Borbone, che poi la distrugge, quando, nel 1759, deve partire per la Spagna per diventarne il re. Ma rifonda la fabbrica il figlio terzogenito di Carlo, Ferdinando, il marito, appunto, di Maria Carolina. E finissime porcellane sono poste un po’ dovunque nelle diciotto splendide sale della mostra (la cui anteprima è stata presentata da questa agenzia l’11 agosto 2019 ndr), dove ci immergiamo nello splendore della Napoli capitale e ne captiamo emotivamente il senso, affascinati dalla scenografia, dagli oggetti, dai manichini abbigliati con i costumi del San Carlo e dalle musiche d’epoca, che passano attraverso gli auricolari (che ci hanno fornito) e cambiano da una sala all’altra, interpretandone l’atmosfera.

Ogni sala mostra di Napoli un diverso aspetto. C’è la Napoli del Gran Tour, delle scoperte di Ercolano (1738) e di Pompei (1748), visitata dall’élite di tutto il mondo, attratta anche dalle contemporanee eruzioni del Vesuvio. Nella Sala dell’Eruzione, ne vediamo il fuoco, dipinto nelle vedute di Jacques Volaire, e ammiriamo un bellissimo centro-tavola in porcellana di Capodimonte, “Il carro del Sole”, posto sulle scure pietre laviche dell’allestimento, che ne esaltano il biancore.

E ancora materiali naturali vediamo nella Sala della Materia, che narra dell’interesse estetico e scientifico dell’ambasciatore inglese Lord William Hamilton per le singolarità di questa terra flegrea, ricca di acque e di fuoco. Poi vediamo le immagini napoletanizzate della Cina e dell’Egitto, nazioni con le quali Napoli ha, già nel Settecento, precoci relazioni, che, insieme alle più tarde  spedizioni europee, quelle inglesi in Cina e quella militare napoleonica in Egitto, suggeriranno una diffusissima moda.

Poi visitiamo la Napoli profondamente religiosa e quella spregiudicatamente mondana, che ama il gioco e l’azzardo e spudoratamente anche le donne, come dice la mano maschile di un manichino, che indugia, impertinente, coperta dal lembo di una gonna.

E c’è la Napoli dei ricchi e dei poveri, che qui appaiono vestiti in diverso modo  ma con stoffe simili, quasi per illustrare la particolarità di questa società napoletana, in cui i ricchi e i poveri vivono gomito a gomito, in una vicinanza fisica e anche umana, che raramente o mai si è realizzata altrove. Un’armonia sociale che sembra esserci soprattutto con il regno di Ferdinando IV, il napoletanissimo Re Borbone.

Ha otto anni quando è lasciato a Napoli, quale erede del trono, dal padre, che è chiamato a ricoprire il ruolo di re di Spagna. Fino ad allora, è stato affidato ad Agnese Rivelli, che gli fa da balia e poi lo alleva insieme a suo figlio Gennaro. È un’infanzia libera e giocosa quella del piccolo Ferdinando, che la passa in compagnia di Gennarino e dei ragazzini del popolo, che così conosce empaticamente e impara a usarne la lingua, i riti e i modi. I benpensanti storcono il naso.

Ma fatto sta che lui comprende e ama questo suo popolo ed è riamato. Re Ferdinando, a una lettera “confidenziale” da Londra dell’ambasciatore Domenico Caracciolo (1715/1789), che gli rivela notizie di piani stranieri contro il Regno e lo esorta a conquistare le terre italiane, risponde di non avere ambizioni e di non volere portare il suo popolo a una guerra. Un lunghissimo regno il suo, interrotto dalla Repubblica Napoletana del 1799, nata a imitazione di quella francese di dieci anni prima, e, dal 1806 al 1815, dal Regno dei napoleonidi Giuseppe Bonaparte e poi Gioacchino Murat

E vi furono guerre, morti e atrocità, che divisero la società napoletana. Ma Sylvain Bellenger, il direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte, che è il creatore di questa storia napoletana e il curatore di questa splendida mostra, contempla i fatti e non li giudica e genialmente sintetizza il ritorno del Re Borbone nella grande bandiera borbonica che va a ricoprire l’immagine da conquistatore di Napoleone Bonaparte.

Ma il Regno dello stesso Ferdinando, come quello dei suoi successori, di Francesco I, di Ferdinando II e di Francesco II, non ha lo stesso splendore di prima. Ora molte cose cambiano e le vedute napoletane lo testimoniano. Queste, nel Settecento, libere dall’imposizione del tridimensionale spazio canonico, realizzano consapevolmente un mondo guardato nella prospettiva corale di un ampio spazio in movimento, immettendolo in lente curve serene ( cfr. “Lo Spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana. La scoperta di una prospettiva spazio-tempo” di A. Dragoni).

Dopo, le vedute non sono più così consapevoli e via via perdono le loro caratteristiche: vanno stemperando nel colore la loro costruzione, esprimendo il sentimento ideale di un uomo singolo, o si europeizzano, tendendo a perdere la propria identità.

Ma il nostro viaggio nel tempo è ancora una magnifica fiaba colorata, a lungo immaginata dal suo autore, che le dona una sinfonia di colori: quello delle tappezzerie delle sale, delle opere d’arte, dei vestiti e degli arredi d’epoca, assemblati in un unicum suggestivo. C’è tanta vita e gioia di vivere, sempre, in queste sale.  Ma il bianco morbido e luminoso delle vesti dei tanti pulcinella che vi incontriamo, sembra essere il colore di un sottile rimpianto, di un pianto sommesso per il sogno svanito di un amore perduto.

Infine, una sorpresa nella diciottesima e ultima sala della mostra: un grande sofà circolare vi invita a sdraiarvi per ammirare, stupiti,  balconi che si aprono sul verde e poi si chiudono, mentre appaiono strade napoletane, edifici e persone di epoche diverse, volti. Circolarmente e continuamente girano tutt’intorno, senza che abbiano una meta da raggiungere. È una metafora della vita nella fantasmagorica videoinstallazione di Stefano Gargiulo

 P.S.

“Napoli Napoli di lava, di porcellana e di musica” è una mostra-evento nata da un’idea di Sylvain Bellenger, che così ancora una volta esprime il suo amore per Napoli (per il quale è stata richiesta la cittadinanza onoraria). La mostra è realizzata con la collaborazione del Teatro San Carlo, degli Amici di Capodimonte, degli America Friends di Capodimonte e della casa editrice Electa.

Adriana Dragoni

fonte http://www.agenziaradicale.com/index.php/cultura-e-spettacoli/mostre/6004-napoli-napoli-di-lava-di-porcellana-e-di-musica-al-museo-di-capodimonte

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Napoli, Napoli… di lava, porcellana e musica | Museo di Capodimonte

Posted by on Ott 1, 2019

Napoli, Napoli… di lava, porcellana e musica | Museo di Capodimonte

NapoliFino al 21.VI.2020A Capodimonte una scenografia coinvolgente racconta la storia di Napoli attraverso le sue porcellane e la musica del teatro San Carlo

A Napoli i Re Borbone non ci sono più. Ma il teatro San Carlo e la Reggia-Museo di Capodimonte che hanno voluto costruire ci sono ancora. E i loro direttori, Rosanna Purchia e Sylvain Bellenger, si sono alleati per promuovere, insieme agli Amici di Capodimonte e gli American Friends of America, “Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica”, il grandioso spettacolo della Napoli borbonica che si tiene nella Reggia- Museo di Capodimonte. Tanto originale che non ci sono parole adeguate per definirlo. “È una magia” dice Rosanna Purchia “pensata e realizzata da Sylvain”. “È la creazione di una mente colorata”, dice Errico Di Lorenzo, presidente degli Amici di Capodimonte. È una “reverie”, una fantasticheria a lungo immaginata, per captare e rendere il senso della vita di un’epoca, il sogno di un innamorato di Napoli, napoletano in fieri (una petizione popolare chiede la sua cittadinanza onoraria), che è anche una storia vera.

Un Settecento, quello napoletano, denso di energie vitali, delle idee geniali di scienziati, di poeti, di artisti. Quando si possono incontrare per le strade della città, e possono salutarsi l’un l’altro, Giambattista Vico, Ferdinando Sanfelice, il Principe di Sansevero e Sant’Alfonso. Li immaginiamo mentre giriamo nelle sale della mostra tra manichini vestiti con gli abiti dell’epoca (della sartoria del San Carlo). È il tempo delle scoperte di Ercolano, nel 1738, e di Pompei, dieci anni più tardi. E accorre a Napoli l’élite di tutta Europa. Mentre nasce il neoclassicismo nel continente e oltre. Anche a Napoli. Dove, però, è ammorbidito da una certa ellenistica grazia. Al neoclassicismo si ispirano le ceramiche di Capodimonte in mostra nella Sala dell’Eruzione, come quella de “Il carro del Sole”, che non è priva di una gentilezza rococò. È posata su nere pietre laviche che fanno da contrasto al suo candore. La fabbrica di porcellane di Capodimonte è fondata, nel 1740, da Carlo di Borbone, che ne decreta la fine quando deve partire da Napoli (1759), per diventare re di Spagna. Lascia a Napoli, quale suo erede, un bambino di nove anni, Ferdinando. Un ragazzo esuberante che ama giocare con i ragazzi di quel popolo che sempre ama, riamato. Sarà chiamato Re Lazzarone e sarà detto ignorante. Ma conosce varie lingue, sa tenere relazioni internazionali, organizzare fabbriche e avveniristiche società di lavoratori, imprese agricole. E riattiva la fabbrica di porcellane.

Durante il suo regno, Napoli è considerata “una città felice”, come la definisce anche J.W. Von Goethe, che la conosce nel suo viaggio in Italia (1786/88). Ma ne scrive soltanto nel 1816, con profonda nostalgia. Quel mondo festaiolo, quell’armonia sociale non c’è più. C’è stata la Repubblica del ’99. Poi sono venuti i napoleonidi: prima Giuseppe, fratello di Napoleone e poi Gioacchino Murat, suo cognato. E quando Ferdinando di Borbone ritorna, non si chiama più Terzo Re di Sicilia e Quarto di Napoli ma, obbedendo al modello europeo di un centralistico potere, Ferdinando Primo delle Due Sicilie. Dopo il breve regno di Francesco I, quello tormentato di Ferdinando II e quello brevissimo del ventiduenne Francesco II, il Regno è conquistato dai Piemontesi. E il sogno svanisce. La mostra non segue questo lineare procedimento temporale. Ma ci immerge in un viaggio immaginario. E ci ammalia con la musica del tempo che sentiamo in cuffia: brani scelti dalla eccellente musicologa Elsa Evangelista.

Inizia con lo Stabat Mater di Pergolesi di un morbido, profondo colore scuro, in contrasto con il bianco delle figure dei flagellanti; mentre sorridono i candidi puttini marmorei del Sammartino. Poi entriamo nel mondo esotico di cinesi e di egiziani, ci intrighiamo nei giochi d’azzardo, tra numeri esoterici con magici pulcinella, ammiriamo l’arte della natura nelle pietre e negli uccelli impagliati e quella che fa rivivere la Napoli del Settecento con le sue vedute dalla “Einsteiniana” prospettiva spazio-temporale. (v. “Lo spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana. La scoperta di una prospettiva spazio-tempo” di A. Dragoni- T. Pironti ed.). In conclusione c’è la fantasmagorica video-installazione di Stefano Gargiulo e una domanda: siamo entrati nel Paese delle Meraviglie?

Adriana Dragoni

Mostra visitata il 22 settembre

Dal 22 settembre 2019 al 21 giugno 2020

Napoli, Napoli… di lava, porcellana e musica Napoli

Museo e Real Bosco di Capodimonte

Via Miano, 2

Orari: 8.30-19.30 tutti i giorni. Chiuso mercoledì

Info: http://www.napolilavaporcellanaemusica.it/index.php/it/

fonte https://www.exibart.com/mostre/napoli-napoli-di-lava-porcellana-e-musica-museo-di-capodimonte/


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Napoli Napoli: di lava, porcellana e musica. Dal 21 settembre la mostra a cura di Sylvain Bellenger

Posted by on Ago 15, 2019

Napoli Napoli: di lava, porcellana e musica. Dal 21 settembre la mostra a cura di Sylvain Bellenger

Tié! Sylvain Bellenger, il direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte, sbatte Napoli in faccia al mondo intero. Pure a quelli che la mortificano … Tiè! E Bellenger fa rivivere, nel prossimo autunno, fino alla primavera del 2020, nella sua regale magnificenza, la Napoli che, per più di un secolo (1734 / 1860), fu la bella libera città Capitale del Regno del Sud Italia. “Vengo a Napoli come un missionario” aveva detto in un’intervista (gennaio 2016). La sua missione? Dare a una Napoli denigrata con Capodimonte marginalizzata, il suo dovuto posto nel mondo. “Napoli è stata una grande Capitale, questo lo si vede e lo si sente ancora; ma bisogna farlo capire” ha ripetuto più volte Bellenger. Che ora crea, nel museo di Capodimonte, uno straordinario evento, di cui è il curatore: “Napoli, Napoli di lava, porcellana e musica”, promossa dal Museo e Real Bosco di Capodimonte, in collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli, con la produzione e organizzazione della casa editrice Electa. Nelle diciotto magnifiche sale dell’appartamento reale della Reggia-Museo di Capodimonte, – dice il comunicato stampa – vi saranno 1000 oggetti preziosi, di cui 600 porcellane, 100 costumi che provengono dal teatro San Carlo e hanno la firma di costumisti famosi, animali tassidermizzati, antichi strumenti, raffinati arredi e tanto d’altro. È una mostra stratosferica, che non necessita di oggetti artistici, che pure vi sono, perché essa stessa è un’opera d’arte, giacché realizza, con i suoi mezzi figurativi e la musica della grande tradizione napoletana (Pergolesi, Cimarosa, Pacini, Paisiello, Leo, Iommelli), l’idea (eidos= immagine) che ha di Napoli il curatore. Che ci racconta, a mo’ di favola, una storia vera, la storia di una grande bellezza.

Dicono che Bellenger sia appassionatamente innamorato della città. È una passione un po’ folle ma non è un innamoramento recente. Lo testimonia Riccardo Muti che, a Chicago, volle conoscere il funzionario, che, in quel museo, aveva voluto un enorme presepio napoletano. E fu allora che il maestro Muti e il funzionario Bellenger divennero amici. Il napoletanissimo ingegnere IBM, poi scrittore e regista scomparso di recente, Luciano De Crescenzo, ha scritto: “Napoli, quella che dico io, non esiste come città ma esiste sicuramente come concetto, come aggettivo. E allora penso che Napoli è la città più napoli che conosco e che dovunque sono andato nel mondo ho visto che c’era bisogno di un po’ di napoli”.

Che è un concetto, si, forse una favola, ma non è un’opinione melensa frutto di un relativismo becero, perché ha la sua testimonianza concreta (non nei libri di quella storia che, come si sa, è scritta dai vincitori) nei fatti e nelle cose. E a settembre la Napoli Capitale ci verrà mostrata nella sua concretezza nella Reggia-Museo di Capodimonte, un edificio anch’esso testimone partecipe di quell’epoca. Ma perché questa città è considerata diversa dalle altre? Perché i turisti ancora oggi dicono che anche il popolo qui è diverso? Un libro dal titolo”Lo spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana. La scoperta di una prospettiva spazio-tempo”, scritto negli anni Ottanta del secolo scorso, presentato all’Electa Napoli nei primi mesi del 1989, ma pubblicato dalla Tullio Pironti Editore soltanto nel 2014, che ha avuto undici entusiasti convegni, a cui hanno partecipato eminenti professori universitari ma non ha avuto neanche un rigo sulla carta stampata, ne svela il segreto, che in poche righe qui tentiamo di rivelare.

Il testo fa una puntuale analisi della storia della città, considerandola nell’ambito europeo. E ricorda che Napoli è la città che ha la più antica ininterrotta continuità storica del mondo occidentale. Lo dimostrano anche i recenti studi del professore architetto Italo Ferraro sulla stratigrafia urbana, riuniti in ponderosi tomi. Mentre la persistenza qui del popolo napoletano, con il suo attaccamento alla propria terra (il fenomeno della sua emigrazione iniziò soltanto dopo il 1860) e la sua tendenza ad affollare il centro storico, risulta anche da recenti indagini sociologiche, come quella sui “bassi” napoletani e quella svolta brillantemente dal sociologo Marcello Anselmo, sul fondaco del Cavone. Napoli, afferma il testo, conserva, nelle sue pietre e nei suoi abitanti, il ricordo delle sue origini marinare. Un’origine che a noi mortali appare lontana nel tempo ma è ancora presente per la Storia, quella che vive nei millenni. Persistono, quindi, a Napoli, le antiche doti di un’antica civiltà marinara, il senso dell’ospitalità, della tolleranza, di un’affettuosa umanità non ancora inficiata dal freddo razionalismo, a cui contrappone una logica diversa, basata sulla consapevolezza profonda della precarietà della vita e su un’apertura mentale derivata dalla visione del libero spazio marino.

Una visione che, come un fil rouge, percorre fino a oggi (o fino a ieri?) tutta la storia napoletana e ne contagia la musica, i riti, la religione, l’arte e la filosofia, dal pitagorico Parmenide a Telesio, Bruno, Campanella, Vico. Una prospettiva del mondo che, nata nella Magna Grecia, contraddice la visione astratta ristretta nei binari di una intollerante e arrogante razionalità dell’attuale civiltà occidentale. Alla quale Napoli contrappone una logica duttile, che si adatta alle circostanze, suggerita da quell’ampia visione dello spazio marino, che è sempre in movimento, la quale fece dire ad Albert Einstein “le origini del nostro pensiero sono nella Magna Grecia”. È una visione prospettica che, nell’illuminato Settecento, si esprime configurandosi nella chiarezza logica di una geniale costruzione matematica nell’arte figurativa napoletana. Che ha un’ironica libertà nelle scene di genere di Gaspare Traversi e l’appagata gioia esistenziale nelle calme ampie curve delle vedute di Gabriele Ricciardelli.

Una prospettiva spazio-temporale che esprime nell’infinito concluso di una meravigliosa stella frattalica, (da cui si potrebbe ricavare un’applicazione informatica) una particolare, corale visione del mondo, che costituisce di Napoli la diversità.

Adriana Dragoni

fonte http://www.agenziaradicale.com/index.php/cultura-e-spettacoli/mostre/5909-napoli-napoli-di-lava-porcellana-e-musica-dal-21-settembre-la-mostra-a-cura-d

Museo e Real Bosco di Capodimonte Napoli, Napoli, Napoli di Lava, Porcellana e Musica © photo Luciano Romano 2019




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