A MARONNA ‘E L’ARCO
Santuario Della Madonna Dell’Arco
È tra i più antichi e famosi luoghi di culto campani. La denominazione “dell’Arco” è collegata ad un preciso episodio. Nel 1450, nell’antica località “Archi”, così chiamata per la presenza delle arcate di un acquedotto romano, si verificò il sanguinamento di una effige sacra della Vergine, a causa di un colpo infertole volontariamente da un giovane di Nola. L’immagine, immediatamente venerata dal popolo, divenne fonte di grandi prodigi. Nel 1593 si iniziò la costruzione del santuario ultimata nel 1610. Per ulteriori approfondimenti, consultare l’intera storia della Madonna Dell’Arco. L’indirizzo web è http://www.santuarioarco.org/
Il primo Miracolo
Aurelia del Prete, donna deforme di animo e di corpo, invece di serbare gratitudine alla Vergine dell’Arco per una grazia ottenuta, spesso la bestemmiava orribilmente. Il lunedì di Pasqua del 1589 scandalizzò una immensa folla accorsa a venerare la Sacra Immagine pronunziando nerissime bestemmie. L’anno seguente 1590, nella notte tra la domenica e il lunedì di Pasqua, le si staccarono dalle caviglie i piedi che si conservano tuttora in una gabbietta nel Santuario. Il Vescovo di Nola fece dell’accaduto regolare processo canonico e da quel giorno la devozione alla Madonna dell’Arco si propagò grandemente.
IL LUOGO E L’IMMAGINE
La pia usanza di erigere edicole sacre lungo le vie, sui muri delle case, sull’ingresso dei poderi, è antichissima. Un uso che segnava, al di là della devozione, punti di riferimenti nel territorio. Tante sono le testimonianze rimaste quasi intatte da molti secoli.
Così, nel Quattrocento, sorgeva un’edicola dedicata alla Madonna sul margine della via che collegava a Napoli i vari comuni vesuviani, nel lato del monte Somma.
Tale edicola si trovava a circa otto chilometri dalla capitale del Meridione d’Italia, in territorio del comune di Sant’Anastasia, nella contrada che si chiamava «Arco» per la presenza dei resti delle arcate di un antico acquedotto romano.
Potrebbe perciò essere questo il motivo per cui, con molta probabilità, i tanti devoti attribuirono all’immagine sacra il nome di «Madonna dell’Arco».
Il dipinto certamente non vanta pregi artistici, ma colpisce la mesta espressione del volto, dominato da due grandi occhi che hanno l’effetto di penetrare l’animo di chi li guarda, lasciandovi un ricordo indelebile.
Oggi, chi entra nel Santuario la vede nel tempietto, costruito nel 1621 sul luogo preciso dov’era il muricciolo dipinto.
Durante un restauro, nel 1952, venne tolto il pannello di marmo anteriore che copriva parte del dipinto e venne alla luce gran parte della primitiva immagine che fu poi nuovamente ricoperta.
Nel mese di marzo del 2000, al termine dei lavori di restauro dell’intero tempietto, si è proceduto a togliere definitivamente il pannello di marmo. In tal modo, è di nuovo possibile ammirare il dipinto nella sua interezza come doveva apparire la Madonna nel ‘400 ai viandanti che vi passavano dinnanzi e che certamente avevano, fin da allora, una profonda devozione.
IL CASO DI AURELIA DEL PRETE
Una donna di Sant’Anastasia, Aurelia Del Prete, sposata a Marco Cennamo (esiste l’atto di matrimonio dell’8 novembre 1573), il lunedì di Pasqua del 1589 si recò insieme al marito alla chiesetta della Madonna per sciogliere un voto.
Con sé, legato ad una carda, portava un porcellino, per trovare occasione di venderlo alla fiera che fin da allora si teneva nei dintorni del santuario. Nella calca questo le sfuggì di mano e si mise a correre spaventato.
Rincorrendolo tra la folla e bestemmiando la donna arrivò dinnanzi alla chiesetta, dove, incontrò il marito con un ex voto di cera. Presa dall’ira glielo strappò di mano e lo calpestò bestemmiando e maledicendo la sacra immagine, chi l’aveva dipinta e chi veniva a venerarla.
L’anno seguente, verso il principio della quaresima Aurelia cominciò ad avvertire male ai piedi, fino a mettersi a letto. Nella notte tra la Pasqua e il lunedì le si staccarono i piedi: era l’anniversario delle sue bestemmie. I piedi furono seppelliti di nascosto, ma il fatto si riseppe e la gente volle che fossero disseppelliti ed esposti nella chiesetta.
La folla che accorse da Napoli occupò la strada per circa 2 km. Il Vescovo di Nola, Mons. Fabrizio Gallo, ordinò la chiusura della chiesetta, ma poi, andato personalmente a fare un sopralluogo, l’11 maggio istituì un regolare processo canonico, in seguito al quale ritirò il divieto di venerare l’immagine della Madonna dell’Arco.
Aurelia Del Prete continuò a bestemmiare la Madonna, poi, pentitasi, si fece portare su un carrettino dinnanzi all’immagine. Morì il 28 luglio 1590. I suoi piedi si vedono ancora oggi in una gabbietta di ferro dell’epoca, posta nella Sala delle Offerte.
Dopo il miracolo di Aurelia Del Prete, il culto della Madonna dell’Arco si diffuse rapidamente in tutto il Regno di Napoli e presto ne oltrepassò i confini. Numerose furono le chiese e cappelle dedicate alla Vergine dell’Arco in Campania (Villaricca, Miano, Frignano, Pietradefusi, etc.), Calabria (Reggio Calabria, Siderno, Mangone, Belvedere Spinello, etc.), Sicilia (Messina, Palermo, etc.), Puglia (Bari, S. Agata di Puglia, Rutigliano, etc.), Molise (Cercemaggiore, Cerro al Volturno, etc.), Abruzzo (Tocco di Casauria, Civitaretenga, etc.), Lazio (Sora), Emilia Romagna (Cento). La devozione alla Madonna dell’Arco era diffusa da soldati o mercanti.
IL PRIMO MIRACOLO
Come è esplosa la devozione popolare intorno all’immagine della Madonna dell’Arco?
Era il lunedì di Pasqua, 6 aprile 1450, e nella località si svolgeva una festa paesana. Due giovani giocavano a chi facesse andare più lontana una palla di legno colpendola con un maglio.
Nel gioco, la boccia di uno dei due andò a sbattere contro un albero di tiglio che sorgeva vicino all’edicola della sacra immagine, facendogli perdere la partita.
Il perdente, accecato dall’ira, bestemmiando scagliò la boccia contro l’effige della Madonna, colpendola alla guancia sinistra. Questa, come se fosse di carne, cominciò a sanguinare.
La gente si gettò sul sacrilego e stava per linciarlo, quando, passando di lì il Conte di Sarno, Raimondo Orsini, Gran Giustiziere del Regno di Napoli, fece liberare il malcapitato. Dopo un processo sommario, constatato il miracolo, il sacrilego venne impiccato allo stesso albero di tiglio che aveva fermato la boccia. Dopo ventiquattr’ore l’albero seccò.
I fedeli accorsi nei primi tempi dopo il miracolo della guancia insanguinata, dovettero essere numerosi, e molti i voti e le elemosine, perché troviamo che la chiesetta, quantunque piccolissima, fu dichiarata rettoria e beneficio canonico, senza cura pastorale, e i rettori erano nominati dalla Sede Apostolica.
Per proteggere la sacra immagine, il cavaliere napoletano Scipione De Rubeis Capece Scondito, devotissimo della Vergine dell’Arco e riconoscente per una grazia ricevuta, provvide a migliorare la statica, l’ornamento e la decorazione di tutto il tempietto che munì di un robusto cancello di ferro.
Successivamente, per evitare che l’immagine fosse guastata dall’intemperante devozione dei fedeli, ne coprì il volto con un grosso cristallo fino al busto e il rimanente con un cancello di legno dorato.
Conosciamo con esattezza la posizione e la forma di questa chiesetta e dell’edicola della Vergine, sia per i documenti trovati nell’archivio di Nola, sia per una tavoletta votiva del 1590 ritrovata nel santuario, la quale riproduce la chiesetta come era in quel tempo.
Il volto della Madonna si arrossò di sangue di nuovo nel marzo del 1638. Del fatto fu redatto un atto notarile alla presenza del Viceré di Napoli, del Vicario Generale di Nola e di molti sacerdoti, religiosi e laici.
LA SOLENNE INCORONAZIONE
La miracolosa immagine della Madonna dell’Arco fu solennemente incoronata l’8 settembre 1874, festa della Natività della Beata Vergine Maria, da S. E. mons. Tommaso Passaro, domenicano, vescovo della città di Troia.
Mons. Passaro, devotissimo della Beata Vergine Maria, volle che la sacra immagine fosse coronata con corone d’oro.
Ne fece supplica a S. S. Pio IX che, memore della visita da lui fatta al santuario, ben volentieri accordò tale distinto favore e delegò mons. Tommaso Salzano, arcivescovo di Edessa, anch’egli dell’ordine domenicano, alla solenne funzione.
Monsignor Salzano si pose subito all’opera e nominò una commissione che curasse le feste, composta dal principe Michele Caracciolo di Brienza, dal conte Ambrogio Caracciolo di Torchiarolo, dal conte Antonio Persone, dal barone Lorenzo Tortora Brayda e dal rettore p. Giuseppe Sammartino.
Per l’occasione il santuario venne riccamente parato a festa, all’interno e all’esterno, con preziosi drappi, nastri colorati, ghirlande di fiori e numerose lampade. Particolare riguardo fu rivolto al tempietto dove è conservata l’immagine della Madonna dell’Arco. Sulla facciata del tempio e lungo le pareti laterali si collocarono migliaia di lumi. Le corone d’oro furono commissionate e regalate da mons. Tommaso Passaro.
FONTE
BLOG MADONNA DELL’ARCO DI ACERRA