Abbazia di Fossanova: luogo di ascesi portentosa, apoteosi tangibile di spiritualità
Dopo anni di studio, la grossa pittura della cappella gentilizia del castello medioevale di Itri, di accezione strettamente meridionale, è assegnabile alla seconda metà del Trecento, quando Itri faceva parte della contea di Fondi, sotto Onorato I Caetani. Essa denota che l’artista è della scuola napoletana.
Potrebbe trattarsi del maestro Roberto d’Oderisio, il maggiore dei freschisti attivi a Napoli, alla corte della sovrana Giovanna I d’Angiò e poi a quella di Carlo III di Durazzo, che eseguì molti lavori nelle chiese del contado di Fondi, come si evince dal documento di proprietà dei Tatta, inserito nel “Codex Diplomaticus Cajetanus”. La persona, alta ed asciutta, aureolata, benedicente, avvolta in una tonaca dalle ampie maniche, quella dei frati domenicani, con scapolare scendente fino alle ginocchia, con in testa un cappuccio bianco ed un libro sotto il braccio sinistro, sarebbe, a parer nostro, San Tommaso d’Aquino (1225-1274), filosofo e teologo di Roccasecca, discepolo di Alberto Magno, uno dei più brillanti rappresentanti della “Scolastica”, la cui vita è da romanzo a puntate. Questo figlio della grane nobiltà napoletana (conti di Aquino), nato nel castello di Roccasecca (vi fu tenuto, nell’autunno del 1243, o nella primavera del 1244, secondo la leggenda, prigioniero nel torrione circolare dai fratelli, su istigazione della madre Teodora, che non gradivano il suo ingresso nell’Ordine dei Domenicani), nipote del del Sacro Romano Impero e re di Germania, Federico I Barbarossa, è destinato, giovanissimo, ad una carriera d’aristocratico e di uomo di corte. Sua madre lo precipita nelle braccia di una prostituta per “fare la sua educazione, ma, da buon principe, Tommaso preferisce l’istruzione religiosa delle sorelle e, quando si conferma la sua precoce vocazione, i suoi genitori non immaginano per lui altro avvenire che quello di abate nel celebre monastero benedettino di Montecassino. Lui, però, sceglie l’Ordine dei Domenicani, chiamato anche Ordine dei Predicatori, per serbare la sua libertà e prediligere una vita di ascesi, di preghiera e di studio, che porterà questo monumento della teologia medioevale ad insegnare a Parigi, Colonia, Bologna, Roma, Napoli e a Fondi, nella casa dell’Ordine dei Domenicani, dove commenterà Aristotile, i Padri della Chiesa, le epistole di San Paolo di Tarso
Nella cittadina del Basso Lazio il grande luminare, Dottore della Chiesa, si recava spesso a trovare i suoi parenti, i dell’Aquila, di origine normanna, signori di Fondi, di Itri e di alcuni castelli limitrofi. Tommaso d’Aquino era molto legato alla sorella Adelasia, moglie del conte di Fondi e signore del feudo di Traetto, l’odierna Minturno, Ruggiero dell’Aquila, che lo aveva nominato suo esecutore testamentario, essendo i suoi figli giovanissimi, come riferisce Agostino Toso in “Tommaso d’Aquino e il suo tempo” (Roma 1964,p. 234). Il sommo filosofo medioevale, che ebbe un grande influsso nella Chiesa, nella cultura e nella società, fu ospite, dal 12 al 20 settembre 1272, della sorella Adelasia, nel castello baronale. Dei nipoti, Riccardo, Giovanna, Maddalena e Tommaso,il grande roccaseccano curò gli interessi, quando insegnava all’università di Napoli. San Tommaso d’Aquino era anche raffigurato nella chiesa rurale di San Cristoforo, a tre campate, trecentesca, posta su una collina (307 metri sul livello del mare), in posizione dominante rispetto ad Itri, particolarmente adatta ad ospitare una postazione difensiva, priva di copertura, ma che conserva ancora le pareti e l’abside, Sulla parete di sinistra, entrando, vi sono alcuni affreschi in obliterazione, tra cui si ravvisa, in una nicchia trilobata, un santo tonsurato, in cotta, dalle lunghe maniche, dallo scapolare bianco, che regge nelle mani un “medaglione” circolare, una sorta di globo , in cui è inserito un bue, dalla lunga coda e dalla grossa muscolatura. Il dipinto, di enorme valore documentario, raffigura la funzione del “bue muto” cui fu sottoposto il Santo, appena dopo la sua morte, avvenuta nell’abbazia cistercense di Fossanova, il 7 marzo 1274. Si tratta della scarnificazione del corpo di San Tommaso d’Aquino mediante bollitura, al fine di conservarne delle reliquie scheletriche, evitando la putrefazione.
“ Giallo” nell’abbazia di Fossanova, a Piverno
Verso la fine di marzo 2006, nel corso del rifacimento del pavimento dell’abbazia di Fossanova, all’incrocio dei due bracci della croce latina, venne alla luce una grossa tomba in muratura,, completamente chiusa, al cui interno era una bara in legno ed i resti di un ecclesiastico, di cui si serbava parte del vestito. La posizione del sarcofago, così centrale rispetto alla chiesa, accentua la rilevanza del defunto. La tomba a cassa, con alta volta, poi vuole dare ancora più risalto alla sepoltura. Ci si chiede chi fosse il personaggio in questione. A chi poteva toccare l’onore di essere seppellito nel cuore dell’abbazia cistercense? Ricordiamo che nel corso dei lavori da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici e per il Paesaggio del Lazio, a cura dell’architetto Armandina Antonbenedetto, progettista e direttrice dei lavori, furono presi dei campioni, di cui, però, non si sa ancora nulla. Pensiamo che la tomba in muratura sia proprio quella di San Tommaso d’Aquino, fra i sommi maestri del pensiero religioso, che a Priverno rese l’anima a Dio. Lì, nell’abbazia, si compì l’umano tragitto dell’Angelico Dottore, proprio nello stesso anno in cui morì San Bonaventura da Bagnoregio, il filosofo cristiano per antonomasia. Chiediamo che lo scheletro sia esumato. Se si tratta dell’insigne maestro medioevale,”personalità di fama mondiale e di importanza attuale, moderna”, come lo ricordò il pontefice Paolo VI, deve permettere ai fedeli di pregare sulle sue pietose reliquie. Il fantasma del grande teologo, figlio della grande nobiltà napoletana, continua ad aggirarsi nei meandri dell’abbazia, nei labirinti di corridoi e scale. Ora è possibile svelare il mistero, indecifrabile per gli oltre sette secoli e mezzo passati dalla sua dipartita; mistero che si tiene ancora “en haleine”, con il fiato sospeso. Tommaso muore in una cameretta del monastero di Fossanova, così chiamata perché i cistercensi , impegnati in un’opera di risanamento materiale, oltre che morale, per bonificare la zona paludosa, scavarono un fosso di scolo per incanalare le acque del fiume Amaseno, lottando contro gli acquitrini. Era il 7 marzo1274. Chi dice che morisse di morte narturale, indebolito dal soverchio lavoro intellettuale e deperito per la mancanza d’appetito, chi (Giacomo della Lana e Giovanni Villani, nel commento ai versi danteschi 67-69 del canto XX del “Purgatorio”) per veleno, tramite confetti, propinatogli da un fisiziano ( medico), per ordine di Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, che non voleva che Tommaso d’Aquino fosse fatto cardinale, grazie al senno e alle vitù del d’Aquino; chi ancora a, seguito di un incidente (battè inavvertitamente il capo contro un albero caduto sulla strada) occorsogli tra Teano e Borgonovo, lungo il tragitto che conduceva da Napoli a Lione, dove era stato chiamato dal pontefice Gregorio X, in occasione del Concilio Generale, per la riunione della chiesa latina con quella greca, invitato a portarvi il trattato “Contra errores Graecorum”. Tommaso d’Aquino, in obbedienza della volontà papale, pur essendo malato, iniziò il viaggio verso Lione, l’antica “Lugdunum”, partendo da San Severino, dove era stato ospite della sorella Teodora, moglie del conte di Marsico, Ruggero di San Severino. A causa dell’incidente, il Dottor Angelico fece anche una breve sosta a Maenza, presso la nipote Francesca, consorte del conte Annibaldo de Ceccano. Si è detto che le spoglie di San Tommaso siano nel convento dei Giacobini, a Tolosa. Molti credono, e noi tra questi, che la testa del maestro del pensiero, a cui deve tanto la Civiltà e la Chiesa, sia conservata, nell’abbazia di Fossanova, dando credito alla notizia del priore Giovanni Viele, che affermò di aver ritrovato, il 29 dicembre 1585, il capo del santo, che era stato segretamente celato nel complesso abbaziale, nel 1368, dopo che nella cassa d’oro, traslata nella città dell’Alta Garonna, era stata messa un’altra testa. ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,
Alfredo Saccoccio