Adriana Dragoni innamorata di Capodimonte
Adriana Dragoni il direttore del Museo di Capodimonte non lo molla più e lo intervista anche di notte anche se dovrebbe essere il contrario vi il libro capolavoro di Adriana. di seguito un altra bella intervista che Adriana ha realizzato per la rivista online agenziaradicale.com.
Conversando con Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte …
Sylvain Bellenger è considerato ancora il “nuovo direttore” del museo napoletano di Capodimonte, sebbene lo sia già da mesi, ormai. Nuovo è stato il metodo con il quale è stata fatta la sua elezione, come quella di altri direttori museali italiani: un concorso internazionale, aperto anche agli stranieri. Bellenger è uno straniero. Francese della Normandia, è un normanno, ovvero uomo del nord (=northman), e, come tale, avrebbe origini danesi.
Ha vinto meritatamente il concorso, tra i borbottii dei delusi, con un curriculum di tutto rispetto. Laureato in filosofia alla Paris X-Nanterre, si è specializzato in storia dell’arte alla Sorbona, ottenendo il dottorato di ricerca e, nel 1986, ha conseguito il titolo di Conservateur des Musées de France; dal 1987 al 1991 è stato direttore dei Musées de Montargis, dal 1992 al 1999 è stato direttore e curatore capo dello Chateau et des Musées de Blois e, dal 1999 al 2005, curatore della pittura e scultura europee al Cleveland Museum of Art, collaborando con la Getty Foundation, la National Gallery di Washington, quella di Yale e poi con Palazzo Farnese a Roma, sede dell’Ambasciata di Francia. Dal 2005 al 2010 ha lavorato all’Institut National d’Histoire de l’Art di Parigi meritando la Légion d’Honneur.
A Napoli risiede dal 2010 al 2012 e, pur dovendosi spostare per ragioni di studio, ritorna sempre qui, a casa sua. Scoprendo la città, se ne innamora, cosicché prova molto rammarico nel lasciarla, per accettare la nomina a capo del dipartimento di pittura e scultura europee medioevali e moderne all’Art Institute di Chicago. Ha partecipato al concorso ed è stato ben felice di vincerlo e tornare a Napoli, a guidare il Museo di Capodimonte. Qui Bellenger sostituisce Linda Martino, una gentile signora che, nonostante la sua buona volontà, non ha potuto affrontare neanche le richieste di una elementare manutenzione, come la riparazione dei condizionatori necessari al mantenimento di una temperatura e una umidità costanti, elementi essenziali per una buona conservazione delle pitture. Questo a causa della mancanza di fondi, non erogati dal governo centrale.
Quindi Bellenger prende in consegna con il museo una situazione catastrofica: occorrono lavori urgenti per i servizi essenziali, il numero di visitatori è bassissimo, il personale è scoraggiato e demotivato, raggiungere il museo dal centro-città è difficile.
Con le nuove leggi del ministro della Cultura e del Turismo Dario Franceschini, ogni direttore di museo diventa un manager che deve gestire una propria autonomia finanziaria. Le finanze deve procurarsele da sé, sebbene ora il Ministero dovrebbe erogare notevoli somme per i musei più importanti. E certo Capodimonte lo è.
Ha collezioni d’arte tra le più prestigiose del mondo, come la collezione dei Borbone e quella, ereditata da re Carlo dalla madre Elisabetta, dei Farnese; inoltre contiene anche molte opere provenienti dal ricchissimo patrimonio delle chiese napoletane, frutto e testimonianza della fede di un popolo religiosissimo, di una religiosità libera dalla Chiesa di Roma, della quale fino all’ottavo secolo non faceva parte. Per di più il museo ha sede in una reggia borbonica che è circondata da un parco grande 140 ettari, anche questo affidato alla gestione di Bellenger.
Per intervistare il Direttore, passo per il parco della reggia e vi noto un certo fermento: si stanno ristrutturando alcuni edifici. In uno di questi – mi dice Bellenger – alloggeranno gli uffici amministrativi e vi abiterà anche lui, per essere sempre presente alla bisogna. Mi parla di come ha intenzione di strutturare il parco. Mi descrive alcuni degli antichi edifici che vi si trovano: la fagianeria e il “cellaio”, un casotto, una sorta di dispensa, dove venivano conservate la verdura e la frutta che erano coltivate nel bosco.
Qui ci sono alberi da frutta di qualità ormai rare piantati al tempo dei Borbone, come l’orto che non c’è più ma sarà ripristinato. Dei loro prodotti si servirà un ristorante che sarà impiantato nel parco e preparerà piatti tipici della cucina napoletana.
Non c’è più neanche la bellissima serra creata da Raffaello Causa, un sovrintendente del passato, sebbene chi vi lavorava percepisca ancora uno stipendio. Me ne informa Bellenger, che progetta di ripristinare anche la serra e di impiantare una scuola per giardinieri, un’altra per cuochi e un istituto per botanici, giacché nel bosco esistono piante rare. Ha una mentalità aperta, Bellenger, non si limita a essere il direttore di un museo. Con i suoi progetti, che gli auguro di portare a buon fine, porta un tassello alla soluzione del problema più drammatico che esista a Napoli: la disoccupazione. Inoltre, popolando di attività il parco, risolve in parte anche il problema della sua sicurezza, giacché è noto che la presenza di gente è un deterrente rispetto a episodi vandalici e delinquenziali.
Certo, come direttore del museo, Bellenger ha il dovere della conservazione delle opere che vi sono custodite e quindi ha chiesto, e ottenuto, che gli aerei, che passavano troppo, e pericolosamente, vicino alla reggia, fossero deviati. Infatti le loro vibrazioni sarebbero state, a lungo andare, deleterie per le preziose pitture.
Bellenger considera il problema museo nel più vasto ambito della città e osserva, con lo sguardo di un accorto urbanista, che Napoli bisognerebbe di un aeroporto più lontano dal centro. Come se conoscesse il progetto, naufragato, di istituirne uno a Grazzanise, dove già esiste un grande aeroporto militare.
Quindi Bellenger affronta il problema delle comunicazioni. Ha risolto quello del trasporto fisico dei visitatori dal centro-città al museo, chiedendo e, finalmente ottenendo, una navetta che parte ogni mezz’ora da piazza Municipio e da piazza Dante. (Importante il cartello che indicherà la sua destinazione: avrà, su un colore giallo e rosso, i colori di Napoli, uno stemma borbonico?). Ma Bellanger considera ancora una volta il problema secondo una più ampia prospettiva e si domanda come far venire al museo i turisti che sbarcano a Napoli dalle navi crociera ogni giorno, in numero notevole. Vanno a Pompei, a Sorrento, Capri, Ischia, Positano. Pochi restano qualche giorno a Napoli. Ma anche questi ignorano Capodimonte. Occorre fare pubblicità – mi dice- in accordo con le agenzie turistiche, con altri musei, con le Istituzioni, con la Stampa e la Tv locale, nazionale e internazionale.
Ma Bellenger affronta il problema in una prospettiva ancora più ampia. “E’ un problema che riguarda l’intera città di Napoli, la quale – afferma categoricamente – è scientificamente tenuta fuori dai circuiti turistici internazionali. Addirittura ci sono compagnie che sbarcano a Civitavecchia turisti che in pullman raggiungono Pompei. Si accorge anche lui che ci sono oscure forze avverse che cercano di affossare questa città che era detta “il paese del sole”.
Poi Bellenger mi svela il suo ideale di direttore di museo: “Il mio modello è Raffaello Causa. È lui che cercherò di imitare.” Penso che fisicamente non gli somiglia per niente. Causa era imponente e corpulento, portava la barba e somigliava al ritratto di don Pedro de Toledo che si trova nel museo di San Martino. Bellenger non porta la barba e somiglia piuttosto, nei lineamenti e nel portamento aristocratico, al re Carlo di Borbone a cavallo nel ritratto di Francesco Liani che si trova a Capodimonte (ha il naso meno lungo, però).
“Perché ammira tanto Causa?” gli domando. “Per la sua sensibilità. Per le sue attività, per la sua passione sincera, il suo attaccamento al lavoro. Le belle mostre che organizzava cercherò di organizzarle anch’io. Penso a una mostra su Matisse o su Picasso. Le mie relazioni internazionali mi aiuteranno a realizzarle. Ai tempi di Causa a Capodimonte si tenevano anche dei concerti. Sto cercando di organizzarli anch’io. Ho già ospitato nel Museo un concerto di musiche del vostro Paisiello, a duecento anni dalla sua morte, e vorrei anche farvi un festival di musica napoletana.” Gli domando anche perché, secondo lui, i manuali scolastici italiani quasi non parlino dell’arte napoletana; eppure Napoli è grande produttrice di opere d’arte.
“È a causa degli storici antichi e i successori hanno copiato da quelli; – mi dice – già il Vasari, parlando degli artisti italiani, elogiava i toscani, fiorentini e senesi soprattutto, ma anche i lombardi, i veneziani, i romani e altri dell’Italia centrale, mentre trascurava il Meridione.” Ho a casa il ponderoso volume “Le vite dei più eccellenti, pittori, scultori e architetti” di Giorgio Vasari: con più di mille pagine e circa 150 nomi di artisti, esclude l’arte meridionale, tranne per Antonello da Messina, che dice, però, discepolo dei fiamminghi. Perché succede questo? “Dipende dalla forza economica del luogo -dice Bellenger- e un esempio ne furono le banche fiorentine e senesi. E così fu anche nella Francia dell’Ottocento, quando dominavano i banchieri. Poi vede che successo ha ora l’arte cinese? Lo ha, perché la Cina oggi ha una grande forza economica”.
“Perché ama Napoli?” gli domando. “Non lo so. L’amo ma le trovo pure mille difetti e mi fa arrabbiare ma, se qualcuno me ne parla male, m’infurio. (Come fanno i napoletani doc: Bellenger è diventato napoletano?) Mi piace Napoli anche per la simpatia, la comunicatività della sua gente, che possiede una mentalità aperta e duttile. E non è senza ragione, infatti, che la Apple ha impiantato a Napoli una sua sezione. Mi piace Napoli per la sua antichità: quando a Berlino c’erano le capanne di fango, a Napoli brillava la grande civiltà della Magna Grecia. Mi piace perché è attaccata alle sue radici, per la sua diversità, la sua resistenza alla modernità e proprio per questo è futuribile, è post moderna. Perciò può salvare l’Occidente dalla sua crisi e diventare splendida come al tempo dei Borbone”.
Bellenger in un’intervista ha detto: “vengo a Napoli con lo spirito del missionario”. Penso che la sua missione si chiami Napoli.
La nostra conversazione è durata quasi due ore. Credo di aver conosciuto un uomo straordinario. All’intervista è stata presente Barbara Notaro Dietrich, l’addetta stampa, laureata in storia del teatro. È una signora molto carina e gentile e sta accompagnando me claudicante, ho avuto in incidente qualche giorno fa, a prendere un taxi parcheggiato fuori Porta Grande. Le domando se il parco potrebbe essere una magnifica location, come si dice, per il Napoliteatrofestival.
La mia indagine su Bellenger continua anche nel taxi. “Sono andata dal Direttore, sapete? è molto gentile” dico al tassista. “No – mi corregge- non è gentile, è affabile”: la parola “gentile” non gli garba, forse il suo dna gli ricorda che la parola ha un’origine classista. Mi dice che a volte ha trasportato il Direttore con il suo taxi. “Una volta, passando per corso Vittorio Emanuele, Lui mi ha fatto fermare: alla fine di un vicolo aveva intravisto una cosa interessante, una fontana antica, mi ha detto”.
Il prensile sguardo di Monsieur Bellenger in un oggetto antico cercava la bellezza. E forse, scavando nel suo presente passato, a Napoli la troverà.
Adriana Dragoni