American Friends sosterrà la Reggia-Museo e il Real Bosco di Capodimonte, dopo il Louvre e il British Museum
Sono arrivati a Napoli, guidati da Vincent Buonanno, il loro presidente, gli “American Friends of Capodimonte”. Sosterranno anche economicamente la Reggia-Museo e il Real Bosco. Con loro c’è James Anno, un giovane storico statunitense che rimarrà, fino al 2019, a Capodimonte come curatore.
È la prima volta, mentre già altri loro gruppi sostengono il Louvre, il British Museum e altre Istituzioni europee, che gli American Friends s’interessano dell’Italia. Merito del direttore Sylvain Bellenger, organizzatore dell’accordo. Li ha accolti, lunedì scorso, nella Reggia, e, presentandoli al pubblico, li ha ringraziati. Poi, rivolgendosi al Console Generale degli USA a Napoli Mary Ellen Countryman, si è complimentato con il Governo americano che sostiene la cultura con una fiscalità di vantaggio, come nessun altro paese.
In questi giorni, e fino al primo ottobre, gli “American friends of Capodimonte” visiteranno Napoli scoprendone le meraviglie: il Chiostro di Santa Chiara con le sue ceramiche dipinte, la cappella del principe di San Severo (scienziato o mago?) con il suo famoso Cristo morto che, sotto un lenzuolo di marmo, sembra vivo, il Tesoro di San Gennaro, che, per ricchezza, rivaleggia con quello della Corona d’Inghilterra, la grotta di Seiano, il Prefetto del Pretorio dell’imperatore Tiberio, le chiese e i palazzi magnifici con quelle scale stupefacenti che sembrano far roteare lo spazio, la “Napoli Sotterranea”, testimone della città stratificata…
Lunedì scorso, gli “Amici Americani” hanno ammirato l’eleganza della settecentesca Reggia borbonica e le sue stupende collezioni d’arte, come quella ereditata da Carlo di Borbonedalla madre Elisabetta Farnese, erede a sua volta della ricchissima famiglia papale.
Sono rimasti incantati dal Real Bosco, dove i curvi viali, disegnati dall’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice, suggeriscono la dolcezza di un lento passeggiare. Nel bosco, grande due volte quello di Caserta, vari edifici, in parte già ristrutturati, testimoniano l’esistenza, un tempo, di un’organizzazione agricola e c’è una chiesetta, deliziosa nella sua semplicità, che parla della fede sincera di un tempo.
Vi sono alberi da frutta piantati nell’epoca borbonica. Piante rare ed esotiche, provenienti dall’Australia e dall’Oriente, popolano un giardino cino-inglese e parlano degli ampi rapporti della Napoli di allora con il resto del mondo. In proposito, forse interessa sapere che il primo Istituto Cinese in Europa fu appunto a Napoli, nel primo Settecento. Si trovava nel rione dei Vergini, in una strada che ora si chiama Calata dei Cinesi. Fu il nucleo da cui, in epoca borbonica, nacque l’attuale Istituto Universitario Orientale.
Nel Real Bosco c’è un belvedere. Sylvain Bellenger ne ha fatto abbassare le siepi, in modo che non impedissero la meravigliosa vista del golfo napoletano e il curvo orizzonte del mare. Così dal belvedere ora possiamo scoprire la Napoli dolce sogno dall’azzurro spazio infinito e la Napoli città-porto. Che, come ogni città portuale, ha accolto varie genti e conosciuto diversi modi di pensare.
“La sua cultura è fatta di questo.” ha commentato il direttore Bellenger nel suo colloquio con la Stampa. “Ma non solo di questo.” E ha riferito, infatti, che l’intento dichiarato degli American Friends è anche quello di conoscere e promuovere la cultura meridionale.
Neapolis è greca e più che prendere dalle altre genti ha dato. Incominciando dagli Etruschi che, conoscendo la sua civiltà, acquisirono, nell’arte, le forme armoniche della figura umana e i miti greci. Per non dire dei Romani, ottimi conquistatori che, si sa, dalla cultura greca furono affascinati e inciviliti. E qui a Napoli, e anche nei suoi dintorni, ebbero casa imperatori e uomini illustri come Cicerone e Virgilio.
Più recentemente, furono da Napoli affascinati gli stessi reali Borbone. Questi, discendenti dai Borbone di Francia, affermarono, come i loro antenati, tra cui il famoso Louis XIV, le Roi Soleil, il loro potere assoluto.
Ma si lasciarono conquistare dall’umanità del popolo napoletano che amarono e che li amò e furono umanissimi anche loro, iniziando ad attuare, con lo stile che gli “intellettuali democratici” chiamano con disprezzo “paternalismo”, quello che Joseph Jérome de Lalande chiamò “une révolution hereuse”. Che è fatta anche dal rispetto per la Natura, che i napoletani considerarono sacra in antico, quando ogni suo elemento era una divinità: il fulmine era il dio Zeus, la terra era Gea, il cielo Uranos, il mare Poseidon, l’amore Eros… La cultura tradizionale napoletana è naturalistica.
Su questa linea è Sylvain Bellenger che ha più volte affermato l’attuale improcrastinabile dovere della difesa della Natura e il valore culturale del Real Bosco, che sta curando con attenzione. Non per niente recentemente ha avuto il Premio Green Care, di cui è molto orgoglioso.
Attualmente sembra che Napoli attiri l’attenzione non solo per i suoi aspetti negativi, ampiamente illustrati dai media, ma anche perché è considerata una città particolarmente interessante. E alcuni importanti politici stranieri, tra i quali Emmanuel Macron, dicono di amarla.
Perché Napoli sembra avere qualcosa di speciale? Forse proprio perché vi è conservata, e in parte vive ancora, quella cultura meridionale che gli “American friends” cercano di identificare e promuovere. È l’antica sapienza, è la cultura della Grande Grecia (Magna Graecia, Megale Ellàs) che qui è conservata. Perché Napoli (è poco noto) ha la più lunga continuità storica del mondo occidentale. Perché, dalla sua origine greca, è stata sempre città.
E Roma? E Atene? Roma, in verità, non fu sempre città. Si spopolò, in parte, quando i suoi Imperatori si trasferirono a Milano e a Ravenna, poi fu luogo di preti più che di normali cittadini e infine, durante il periodo in cui i Papi risiedettero in Francia, divenne luogo di contadini servi delle nobili famiglie del Clero.
In quanto ad Atene, perse la sua autorevolezza diventando per secoli un modesto villaggio islamico. Invece Napoli fioriva e, mentre i feudatari angioini, privilegiando le campagne, impoverivano le altre città della Magna Grecia, diventò capitale degli Angiou. Così Napoli sopravvisse. E vive ancora.
Dicono che sia una speranza. Perché all’Occidente in crisi suggerisce una strada diversa. Una diversità che si fonda su un diverso modo di concepire il mondo, una diversa mentalità. Che si esprime nella sua arte. Nella particolarità della sua più propria prospettiva artistica. La prospettiva napoletana è molto diversa da quella toscana che consiste in un solitario punto di vista su uno spazio a tre dimensioni, cioè su uno spazio-scatola.
La prospettiva napoletana si fonda su una molteplicità di punti di vista su uno spazio a più dimensioni. (cfr. “Lo spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana. La scoperta di una prospettiva spazio-tempo” ed. Pironti). È la prospettiva su uno spazio ampio, curvo, più adatto a comprendere l’attuale mondo globalizzato e le sue imprese spaziali.
Albert Eistein, colui che teorizzò lo spazio-tempo, affermava: “Le origini del mio pensiero sono nella Magna Grecia”. Conoscere la prospettiva napoletana, ovvero comprendere il suo significato, è fondamentale per comprendere Napoli e l’Occidente.
Gli “American Friends of Capodimonte”, da Napoli salperanno per la bella città di Palermo. Palermo, di origine fenicia, fu poi greca, poi romana, poi araba, poi normanna, poi aragonese e infine fece parte della storia napoletana. Una civiltà composita, quindi, propria di un porto. Palermo è Panormos, il suo antico nome greco. Che significa appunto “Tutto Porto”.
Adriana Dragoni
fonte
agenziaradicale.com