Alta Terra di Lavoro

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Anarchia e reazione dopo il Plebiscito

Posted by on Apr 24, 2024

Anarchia e reazione dopo il Plebiscito

Mentre si manipolava il Plebiscito in Napoli e in altri luoghi, parecchie province del Reame erano in completa anarchia e reazione. Il de Virgili governatore di Teramo schiccherava proclami alla turca contro i reazionarii: in uno di que’ proclami conchiudeva: “I villani presi con le armi alle mani saranno considerati reazionari e puniti con rito sommario (cioè fucilati)”.

E finiva con questa bella frase liberalesca: Colpite i reazionari senza pieta. E poi si fanno scrupolo degli ordini di Peccheneda e di Maniscalco, ed osano ancora chiamarli tirannici, sol perche’ que’ due funzionarii arrestavano i piu’ sfacciati rivoluzionari. Nel Chietino fece rumore il fatto di Cammerino, paese di seimila anime. Facendosi il Plebiscito, un villano, perchè voleva l’urna anche per Francesco II, ebbe uno schiaffo da un de Dominicis gran liberale annessionista. L’insulto fatto al villano fu la scintilla che destò grande incendio: tutti si armarono di armi rusticane. I soldati piemontesi tiravano schioppettate, la popolazione colpi di scure e pietrate. I villici afforzati da quelli di S. Eufemio, paesello vicino, diedero addosso ai liberali, li disarmarono, uccisero il de Dominicis e cantarono il Tedeum per Francesco II. Però il di seguente accorsero piemontesi, garibaldini e nazionali in maggior numero, e non avendo trovato gli autori della reazione, inveirono contro chi supposero reo, e fucilarono senza giudizio. Saccheggiarono Cammerino, poi S. Eufemio, portando il bottino a Chieti, ove lo vendettero pubblicamente. Nell’Aquilano quasi non si fece il Plebiscito; i popolani davano addosso a chi si avvicinasse alle urne. Quando s’intese che la truppa piemontese era entrata nel Regno, invece di accomodarsi alla circostanza, gridarono, Viva Francesco II. I villani si posero la borbonica coccarda rossa al cappello, e si armarono di arnesi rurali per inveire contro i piemontesi. Il celebre generale Pinelli, piemontese, credé sprezzarli, ma esso non sapeva ancora come nel Napoletano si maneggiano le pietre. Uscì da Aquila con alquanti soldati e cavalieri, e volse a Pizzoli; attorniato da quei villici, e perduto qualche soldato, voltò faccia, ed egli stesso ebbe un colpo di pietra nelle spalle. A Marano, Casaprobe, Campotosto, ed altri paesi i cittadini si levarono contro gli annessionisti, li misero in fuga, e si posero il NO al cappello. Intanto Pinelli, questo redivivo Schedoni, usci’ un’altra volta da Aquila, e sapendo per prova quanto valessero i colpi di pietre, condusse seco un battaglione e due cannoni. Invase Pizzoli, fucilò a capriccio e mise taglie alla musulmana. Alloggiò in casa d’Alessandro Cicchielli; e dopo di aver mangiato alla tavola di costui, sul mattino lo fece fucilare nel giardino della casa, presente la moglie! Il 3 novembre molti garibaldini, che si titolavano cacciatori del Velino, mossero contro Avezzano, capo distretto, ed avvisarono il Sindaco a farsi loro incontro co’ principali del paese, in caso contrario, dicevano, che avrebbero fatto scempio di tutti. Il Sindaco tremante tentò ubbidire, ma la popolazione suonò le campane a stormo, e mosse contro i cosi detti cacciatori del Velino, dando loro addosso a colpi di zappe, e tra gli uccisi fuvvi un tale de Cesare. Il generale Pinelli lo stesso 3 novembre dichiarò lo stato di assedio, ed alzò Corte marziale con tre articoli di una sua Proclamazione da fare invidia ai più truci tiranni. Ecco quegli articoli: “Articolo 1. Chiunque sarà colto con arme di qualunque specie sarà fucilato immediatamente; Art. 2. Ugual pena a chiunque spingesse con parole i villani a sollevarsi; Art. 3. Ugual pena a chi insultasse il ritratto del Re, o lo stemma di Savoia, o la bandiera nazionale”. Napoli dopo il Plebiscito rimase nello stato di quasi anarchia. Questo stato di cose favoriva la politica di Cavour, potendo addurre un altro pretesto per legittimare la preparata invasione piemontese nel Regno amico. Dopo il Plebiscito, le violenze de’ camorristi e dei garibaldini non ebbero più limiti: la gente onesta e pacifica non era più sicura delle sue sostanze, né della vita, né dell’onore… I camorristi padroni d’ogni cosa, viaggiavano gratis sulle ferrovie, allora dello Stato, recando la corruzione e lo spavento ne’ paesi circonvicini: comandavano feste con bandiere e luminarie. Menavano in carcere la gente onesta, schiaffeggiavano a libito le persone più rispettabili, ferivano, uccidevano impunemente; e tutto questo accompagnandolo col solito canto: Si schiudono le tombe ecc. dell’inno di Garibaldi, che si cantava a squarcia gola con musica in cadenza piacevolissima, divenuta noiosa, perché ripetuta ne’ saloni per affettazione, e nelle vie il giorno e la notte dai monelli e manigoldi, spesso foriera di giunterie e di violenze. Ho ripetuto più volte che tra i garibaldini v’erano dei giovani distinti per nascita, per patrimonio e per educazione, e che agivano sempre da cavalieri, ma eran pochi, il resto di quella gente era un’accozzaglia di facinorosi, capaci di perpetrare qualunque nefandezza; quindi costoro si resero padroni dei conventi e di molte case private, pigliavano roba, mogli, figlie che menavano via con pochi scrupoli, e di ogni cosa sacra sparlando, dicevan effetto di libertà e rigenerazione dei popoli.

(Giuseppe Buttà: Viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Napoli, 1865)

fonte

http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Documenti/Pebliscito.htm#anarchia

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