AZIONI DI BRIGANTAGGIO INSORGENTE AI CONFINI CON TERRA DI LAVORO E NELLA VALLE TELESINA
La popolazione di Sant’Agata dei Goti, ai confini con Terra di Lavoro, sin dai primi di giugno 1861, si mostra fieramente ostile al regime sabaudo. Segue con compiacimento la spedizione organizzata da 40 ex soldati borbonici contro le carceri della vicina Caserta, per liberare i 110 detenuti disposti ad ingrossare le fila del brigantaggio (1).
Dal luglio al settembre ’61, San’Agata dei Goti diventa teatro di battaglia tra le bande assommanti a circa 300 uomini e rilevanti forze piemontesi, più disposte alle passeggiate militari che agli scontri diretti. I rapporti del sindaco Luigi Abanese, davvero allarmanti (2), inducono le autorità superiori a spedire in loco 10 carabinieri in soprannumero perchè facciano da guida alla truppa. I carabinieri trovano i sentieri che portano ai briganti di San’Agata dei Goti, contro cui sono impegnate in combattimenti due compagnie di bersaglieri, due di granatieri, 100 cavalleggeri del generale Pinelli, il 12° reggimento fanteria al comando del tenente colonnello Negri, 200 soldati spediti in due riprese (3) dal governatore di Caserta, 60 uomini del 62° di linea stanziati in Airola. A Durazzano, le Guardie Nazionali sono tutte imbelli e pronte alla ritirata, sotto la guida del capitano Pescitelli, la cui bonomia si era spinta ad affermare pubblicamente che Cipriano La Gala non turbava la pace di nessuno, consentendogli di godersi la festa al prospetto del paese nella ricorrenza dell’ottava del Corpus Domini, mandandogli per l’occasione un complimento di torroni, quasi si trattasse di un ospite gradito. Talchè, quando Cipriano decise di assalire in giugno il posto di guardia, andò subito da lui per essere aiutato a disarmare gli uomini, con lui percorse le vie del paese, entrando in ogni casa dove ci fosse un fucile pretendendone la consegna, cosa che i proprietari facevano di buon grado, tenuto conto dell’invito conciliante del capitano (4). Molti sono i capibanda che si aggirano intorno a Limatola. Gli uomini di Nicola il Fornaro fraternizzano con gli abitanti a tal punto da permettersi di passeggiare per il paese di giorno e di notte; il figlio Serafino alloggia addirittura in casa dell’arciprete (5). Ricattano i proprietari agiati di Morrone e spesso fanno delle incursioni su Caiazzo, dando battaglia alla truppa dislocata nei dintorni; non abbandonano i feriti che trasportano in luogo sicuro nella masseria dei Caprioli, sita nelle vicinanze del molino detto Cimmiento (6). Sulla Defensa, in contrada Selvolella e Giorgina, operano i capibriganti Giovanni e Tommaso Gallo che si comportano con la stessa noncuranza del Fornaro; come tranquilli cittadini vanno sul far del giorno a prendere caffè e liquori in un bar di Dugenta, prima di procedere alle scorrerie prestabilite. Il sindaco Canelli, insospettito del loro acquartieramento lungo il fiume in contrada Giardoni e sulla strada del molino, venuto a sapere che stanno aspettando una grossa somma di denaro per ingrossare la banda (7), informa la truppa. Il 20 maggio 1862, all’improvviso sono accerchiati e fatti prigionieri. Perquisiti, si trovano loro addosso documenti compromettenti del comitato borbonico di Napoli con parole d’ordine, accompagnate dalla disposizione di potersi fidare di un tale Francesco cantiniere, contrassegnato come Achille 30 e di don Antonio di Maddaloni, indicato come 31. Alle sei pomeridiane dello stesso giorno, sono passati per le armi (8). La loro morte suscita viva emozione tra gli affiliati alla banda che, via via, chiedono di presentarsi per avere salva la vita. La ventisettenne Rosa Ascione, sorella del brigante Francesco detto Sciazz di 18 anni, scongiura Pasquale Ragucci sottofattore dei beni demaniali di fare da intermediario tra lui e il giudice di Sant’Agata. Sciazz si trova al Vallone con Giuseppe Grieco di 36 anni; entrambi sono stanchi di fare vita da briganti ;chiedono di non essere rimessi al potere militare. Il Ragucci va al Vallone senza pensare ai pericoli; i due gli consegnano i fucili rigati di cui sono armati, 55 cartucce ed una tenda da campo. dicono di aver abbandonato la comitiva dal 14 maggio sulla montagna del Taburno. Rosa trova il coraggio di parlare direttamente al giudice; il fratello, obbligato con la forza ad associarsi alla banda Romano, aveva partecipato alla cattura dell’arciprete di Melizzano e di un tale Pietro, l’unico guadagno che ha ricavato dal brigantaggio è stato in ragione di 2 ducati. Ella ha un triste presentimento, Francescomorirà da brigante, per quanto non si sia reso colpevole di omicidio (9). Nè si inganna. Sciazzmorirà nel penitenziario di Milano il 20 dicembre 1867. Il direttore, con laconico comunicato, invierà ai parenti i suoi oggetti: il gilet di cotone lacero, un berretto di panno, un fazzoletto di cotone in buono stato, il tutto per un valore di L.5,73. Ecco quello che sopravanza di un uomo! La presentazione dei briganti della banda Romano continua nell’estate del 1862; il solito ricatto di mettere in galera la moglie incinta per costringere il marito a costituirsi, funziona ancora una volta. Marianna Mosera il cui marito Domenico Campagnuolo è tuttora alla macchia, ha aperto la dolorosa serie dei casi (10). L’ultimo della banda Romano a consegnarsi alla giustizia (11) è Arcangelo Marotta di 28 anni, contadino e soldato sbandato del disciolto esercito delle due Sicilie, appartenente al 2° reggimento granatieri. La banda è sterminata; si aggirano isolati sulle montagne i capibanda Tommaso Romano e Tommaso Aragosa. Le autorità fanno arrestare Maria Michela Fortino madre di Francesco Romano; questi si consegna alle autorità suscitando la sorpresa generale; è in possesso di un salvacondotto della durata di quindici giorni rilasciato dal prefetto Mayr di Caserta in data 17 luglio, ottenuto per sollecitazione di Bonaventura Campagnano di Villa degli Schiavi con la promessa di fare scoprire un comitato borbonico a Napoli diretto dal principe di Sivignano e un deposito di 200 fucili in S. Leucio (12). A questo punto i documenti si interrompono e non dicono più nulla di Tommaso Romano, attestano solo il rilascio della madre. Ai primi di agosto vengono invece arrestati i genitori di Tommaso Aragosa, ancora latitante. Se la situazione è sotto controllo a Limatola, non accenna a migliorare nei distretti di Cervinara, S. Felice a Cancello, Arienzo, Airola e Sant’Agata dei Goti, Dugenta e Durazzano. Il 21 settembre 1862, in queste località, i poteri politici e militari sono devoluti al maggiore comandante Carlo Melegari. Entro tre giorni i briganti devono consegnare le armi; sono proibite tutte le dimostrazioni. Inizia la caccia all’uomo, nella prospettiva di un lauto compenso. I soldati inseguono i briganti sul Taburno; il 23 settembre il guardaboschi Antonio Cesare che fa loro da guida, ferisce in località Trelleca il giovane caposquadriglia Giuseppe di Maio; un soldato lo finisce a colpi di baionetta. Due giorni dopo il capibanda Giovanni Martino di 30 anni, nativo di Dugenta, viene sorpreso nella cascina di Agostino Iannotta in frazione S. Silvestro di Sant’Agata; poichè nascosti sotto i materassi si trovano armi e munizioni, si procede all’arresto di Iannotta, della madre Maria Truocchio e della moglie Maria Renzo. Sottoposto ad interrogatorio, Martino dichiara di avere partecipato il 28 luglio precedente con i briganti Domenico Campagnuolo, Vincenzo Gaudio detto Auto e Giuseppe di Maio alla rapina ai danni dell’orefice Sabatino Cuccaro di Maddaloni, di avere consegnato 800 ducati frutto di ricatti a Giovanni e Matteo Della Ratta con obbligo di restituzione. Durante la visita domiciliare, si rinvengono 432 ducati; i fratelli non ne sanno giustificare la provenienza e sono arrestati (13). Ai militi pare strano che Martino non abbia sotterrato lui qualche tesoro in qualche parte; il brigante finisce per ammettere di si; trattasi solo di 100 ducati, tuttavia bisogna farsi indicare il posto dalla madre, carcerata a Solopaca. Viene la madre, cava di terra dal cortile di casa un vaso contenente la somma; il capitano della 14a compagnia del 39° reggimento fanteria si affretta a spartirla tra i suoi uomini, visto che il delatore rifiuta qualsiasi compenso per non essere individuato (14). Martino Giovanni è fucilato alle otto antimeridiane del 26 settembre 1862. Le informazioni fornite dal sequestrato avvocato Raffaele Ferrari (15), dicono che i briganti intorno a Sant’Agata sono ridotti ad una cinquantina. Si dividono in quattro piccole bande, hanno tutti i mezzi di vita, ma mancano di pane; trovano buona accoglienza nelle masserie di Angelo Fusco, Gerolamo Jannotta e Luigi D’Amico. Il capobrigante Vincenzo Auto si azzarda spesso a passare la notte nella casa di campagna del sindaco Luigi Albanese (16). Durante una improvvisa irruzione nella cascina il 21 febbraio 1863, Auto viene sorpreso, si difende; per aprirsi un varco nella fuga è costretto ad uccidere la guardia nazionale Luigi Perfetti. Sono arrestati per avergli dato ospitalità il fattore Carmine Buro, la moglie Matrona Cuozzo, i figli Francesco, Agata e Rosarispettivamente di 20, 16 e 14 anni. Il delegato di P. S. che vuole acciuffare Auto ad ogni costo, persuade le autorità a pagare quattro carlini al giorno a Giuseppe Mosera perchè fornisca notizie utili sui suoi spostamenti (17). Auto, messo sull’avviso, per rivalsa spara sul Mosera che ferisce il 26 aprile successivo. Tra mille difficoltà, continua l’attività brigantesca associandosi a Giuseppe Pappaianni di Policastro (Catanzaro), detto il Calabrese. La banda sempre al corto di armi e munizioni, si trova il 12 aprile 1864 senza neppure un fucile e tenta di estorcerne almeno uno al padrone dell’opificio di Sant’Agata il sig. Federico Alviggi che si rifiuta e sporge denuncia ai carabinieri. Auto e il Calabrese, licenziati gli uomini, si presentano il 22 maggio 1864 al maggiore della Guardia Nazionale di Sant’Agata dei Goti. Nonostante l’ora tarda, l’una dopo mezzanotte, la notizia si diffonde in paese. Tutti sono in piedi, la gente affolla le strade; il caffettiere apre il locale (18). Al posto di guardia, i due diventano imperturbabili testimoni del litigio che scoppia tra il luogotenente Isidoro Rainone e il giudice di mandamento; essi protestano a gran voce il diritto di priorità nella conduzione dell’interrogatorio. La spunta Rainone e il giudice ritiene la circostanza lesiva alla sua dignità. I due, il mattino successivo, vengono istradati al tribunale militare di guerra in Caserta. Nella valle telesina i comuni più interessati al brigantaggio sono Solopaca e Frasso. E’ molto difficile stanare i guerriglieri dalle montagne che sono una continuazione del Taburno. I briganti non si vedono, si sentono. Hanno preso l’abitudine ad ogni ora di fare scariche di fucileria per intimorire gli abitanti di Frasso e ricordare loro che se non portano da mangiare, invaderanno il paese (19). Sono circa 220 ed approvvigionarli costituisce un vero problema. Intanto perviene ai sindaci della valle la dicasteriale “Soldati sbandati” del 18 settembre 1861. Al ministero si sono accorti, scorrendo le liste della guardia nazionale, che in “alcune province” (l’espressione è prudenziale, significa in tutte le province meridionali) è stato concesso ai soldati sbandati delle ultime quattro leve di servire nelle G. N. mobili, con risultato prevedibile; le G. N. parteggiano per i briganti, tra cui del resto hanno almeno un parente a testa. Il sindaco di Solopaca, solo ora ricorda che Gabriele Forgione capobrigante tra i suoi amministrati, è cognato di Giovanni Forgione G. N. della 2a compagnia stabile. Lo fa pedinare e facilmente arriva sulle tracce di Gabriele che viene catturato il 21 settembre. Gli affiliati alla banda in numero di 50, immediatamente eleggono il capo in persona del compaesano Giuseppe Cutillo detto Pagliaccio provvedendo il giorno successivo ad incendiare in contrada Aspro la masseria del capitano della G. N. di Ponte che il loro servizio informativo indica quale principale responsabile nell’aver forzato la mano al sindaco di Solopaca per la cattura del Forgione. Alla spedizione punitiva si associano i briganti di Casalduni, Castelpoto e Ponte, comandati dal terribile Domenico Simeone. I militari esultano allorchè ai primi di dicembre si diffonde nel circondano la notizia che a Caivano (Napoli) è stato catturato il capobrigante Tommaselli, il generalissimo della reazione a Pontelandolfo; essi presumono che molti briganti, demoralizzati, consegneranno le armi. Fatta eccezione per Francesco Norelli alias Barabba di Frasso (20), essi continuano invece ad aggirarsi durante tutto l’anno segnente sul Cepino, Sant’Angelo e sulla Palombella tra Frasso e Solopaca, sotto la guida di Antonio Guerriero, Francesco Garofalo (21), Clemente Brillo detto generale Sproppa, di Martino Lamberti (22)che si fa seguire nelle sue scorribande dalla moglie Giuseppina Gentile, vestita da uomo e a mano armata (23). Dopo la rotta subita sul Matese il 18 marzo 1863, insieme con le bande Giordano e De Lellis, Luciano Martino si trasferisce con i suoi 30 uomini nella zona compresa tra oriente del Taburno e la valle telesina (24). E’ un perfetto conoscitore dei luoghi e dei passaggi tra i monti; invariabilmente si dilegua all’inseguimento della truppa o attraverso il bosco di S. Stefano e il fosso stagione nei folti vigneti attraverso cui non è possibile scorgere un uomo alla distanza di 20 passi. Sa condurre con avvedutezza la guerra di logoramento a cui è stato istruito tra la fine del ’60 e gli inizi del ’61 dagli ufficiali decorati al valore del ’48-’49 inviati nella provincia di Benevento da Francesco Borbone con l’incarico di costituire i ruoli dirigenti della guerriglia partigiana (25). Del resto, la sua adesione alla causa legittimista, è leale e sincera. Il suo re borbonico, egli l’ha cominciato ad amare da bambino attraverso i racconti del conte Ottavio Procaccini feudatario di Cautano suo paese natale. Quando il conte viene arrestato 1′ 8 dicembre 1861 per avere svolto opera di proselitismo, Luciano con i fratelli Luigi e Mattia, giura di combattere fino alla morte per Francesco II (26). Non verranno mai meno a questa promessa di fedeltà. Luciano dà inizio alla serie dei sequestri politici i1 28 marzo. Suoi collaboratori sono oltre i fratelli, un sergente di Gaeta chiamato Luigi Menditto, alcuni sbandati della provincia di Napoli e Salerno, i capibanda Guerriero e Sproppa di Frasso (27). In località Sette Serre al di sopra di Tocco Caudio, lo raggiunge tre giorni dopo con una comitiva di 26 uomini Cosimo Giordano. Insieme concertano i piani, fissano i turni di guardia, decidendo di dare esecuzione ai sequestri verso sera, di nascondersi nei boschi attigui alle Sette Serre durante le perlustrazioni, di fare dormire gli uomini nei valloni, dove è più difficile essere scoperti. Luciano e Cosimo che hanno la stessa influenza tra i guerriglieri, assumono responsabilità diverse a giudizio delle autorità. Al momento, Luciano sopravanza il cerretese per bravura logistica e capacità di avvalersi della fitta rete di manutengoli, costituita dai carbonai di Vitulano e pastori di Cautano (28). Il comandante militare di zona, si rassegna ad impiegare i drappelli contro di lui a scopo puramente dimostrativo, rimandando l’attacco a fondo contro Luciano a tempi migliori, quando sarà annientata la banda Schiavone e sarà possibile un movimento concentrico di truppa di Vitulano – Montesarchio – Benevento – Frasso sotto la guida di Giovanni Sciascia detto Pecchia di Frasso che si presterà a far da spia per una notevole somma di denaro (29). Il Pecchia desideroso di affrettare la cattura di Luciano per intascare il premio, fa sapere il 19 aprile successivo che Luciano con la sua banda ha trovato ricovero nella masseria di Geremia Viglione a Cacciano. Accorre la truppa da Cautano e da Foglianise. Il colonnello che la comanda, dopo 4 ore di fuoco serrato, ordina di incendiare la cascina. Tra i briganti che si lanciano dalle finestre, 22 trovano scampo nella fuga, 8 sono uccisi: Luigi Martino, fratello di Luciano, Giovanni Nocerino di Solopaca, Giuseppe Cofrancesco di Cerreto, Donato De Nisi di Castelpoto, Vincenzo Venditto e un tale Salvatore di Caserta, Nunzio di Benevento, Mariaccio di Pomigliano d’Arco. Giovanni Ferrazza di Piedimonte d’Alife domanda la vita. Viene fatto prigioniero e fucilato il giorno dopo (30). Luciano incarica Sproppa di far fuori Giovanni Sciascia detto Pecchia; l’esecuzione avrà luogo nel sito crocevia in contrada piana di Prata, tenimento dì Frasso il 20 ottobre 1863 (31). A questa data risulta che Cosimo Giordano è sconfinato in territorio pontificio (32) e Luciano ha unito la sua comitiva a quella di Andrea De Masi, alias Miseria di Bucciano. Evaso clamorosamente il 14 luglio 1863 dalle carceri di Benevento (33) in cui era stato rinchiuso per avere partecipato alle requisizioni di Laiano ed all’attacco di Pontelandolfo, ha già provveduto per sostenere la banda di 16 individui ai sequestri politici contro Pasquale Combatti di Bonea (34), Girolamo Buonanno di Moiano ed Angelantonio Di Stasi di Bucciano (35), Domenico Compare di Montesarchio (36), Giacomo Perna di Laiano (37); trasferendoli dalla montagna di Bonea a quella di Avella e Cervinara, di intesa con il capobanda Felice Taddei (38). Luciano Martino, da Pozzillo e piana di Cepino sul Taburno, passa in località Petrosola in tenimento di Frasso, dove si unisce alla banda Miseria. Prima di procedere ai sequestri, riceve notizie sicure sul movimento delle truppe e ragguagli sulle persone da catturare da parte del sottotenente della G. N. di Apollosa Nicola Meoli (39) e del sindaco di Frasso Cosimo Gisondi. Questi consente che una tale Colella panifichi di nascosto per i briganti e rilascia come ha fatto largamente per il passato, permesso di accesso alla montagna di Montevergine (sempre in tenimento di Frasso), ai manutengoli Michele Masciotta, Giovanni e Pasquale Napolitano, s’intende sotto falso nome. Il suo aiuto non è disinteressato. Smanioso di aumentare i suoi fabbricati, contratta apertamente polvere da sparo presso un noto contrabbandiere, si reca di persona in casa dei familiari dei catturati premurandoli a spedire danaro ai briganti, da cui pretende una consistente tangente per ogni sequestro effettuato (40). A lungo andare, la sua imprudenza attirerà in qualche imboscata i briganti, ecco perchè il capobanda Guerriero si presenta il 15 settembre ’63, imitato da Sproppa il 21 novembre successivo. Entrambi eviteranno la fucilazione, ma non l’ergastolo. Frattanto Andrea Miseria dopo un violento alterco per questioni di comando, si divide da Felice Taddei di Cervinara e si associa a Giovanni Mauro di Montesarchio altro capobanda del Taburno (41). Quando Mauro lo minaccia di vita a nome del Taddei, decide di porsi in salvo a Roma, dove Cosimo Giordano è pronto a dargli asilo, invitando Luciano Martino a fare altrettanto. Luciano rifiuta; vuole continuare a combattere tra la sua gente e non lasciare Maria Masciotta, da cui da poco ha avuto un figlio. Il delegato di P. S. non sapendo di preciso se abbia avuto o aspetti un figlio, incorre in equivoco facendo arrestare ai primi di gennaio ’64 Cattolica Masciotta, che guarda caso!, è in attesa di un bimbo. Il marito di Cattolica, disperato supplica sia rimessa in libertà, perchè prossima a partorire, implora giustizia sostenendo che per uno scambio di identità è indebitamente carcerata. Al momento non gli si crede, dopo tutto a sostenere tali frottole è Giovanni Napolitano, indiziato manutengolo. Solo nel settembre del 1865 si appurerà il vero; Cattolica verrà dimessa di prigione, mentre l’amica di Luciano sarà deferita al tribunale militare di guerra in Caserta (42). Luciano Martino continua la sua difficile attività (43), sparpagliando gli uomini attraverso la piana di Prata, il vallone dei Ruttuni nel luogo del passaggio che dalle Sette Serre verte alla montagna del Taburno, il bosco dell’Abbadia di Solopaca. Raccomanda al fratello Mattia di fare molta attenzione quando sconfina in territorio di Pontelandolfo, per raggiungere in contrada Guglieta la cognata Maddalena Ciarlo con cui ha corrispondenza amorosa. I suoi movimenti sono stati notati, non è improbabile che qualche spia riesca a localizzarlo (44). Nè si inganna. L’agente segreto Francesco Antonio Calabrese detto Crocco, per una ricompensa in ragione di L. 200, segnala il nascondiglio di Mattia. Il 16 agosto 1864 la masseria in Guglieta di Pontelandolfo è circondata. Mattia dà di piglio al fucile, uccidendo Giuseppe Guerrera sergente della G. N. ed ingaggia da solo un impari combattimento contro 3 ufficiali e 30 militi comandati dal maggiore della G. N. Filippo Iadonisio. Contro Mattia massacrato dai colpi e già cadavere, si accanisce Francesco Gugliotti a colpi di pietra (45). Sono arrestate le donne di casa: Maddalena Ciarlo con la madre Antonia Calabrese, Maria Rinaldi Piscitelli con le figlie Filomena e Vittoria. Luciano Martino, continuamente braccato dalla truppa, continua a combattere con i fedeli gregari Francesco Marcarelli, Giuseppe Masone, Francesco Caporaso e Francesco Izzo (46), finchè arrestato, è ucciso ai primi di agosto del 1865. I giudici del tribunale militare di guerra in Caserta, allorchè si accingono a fare il processo ai manutengoli della banda, si accorgono che è impossibile formalizzare le accuse: mancano le prove. Condannano perchè colti sul fatto, quali somministratori di viveri, notizie e ricovero a Luciano Martino: i fratelli Angiolella Domenico e Giuseppe di Foglianise, Buono Francesco guardaboschi di Vitulano (47), Orlacchio Salvatore di Cautano a 20 anni, Angiolella Luigi a 15, Papa Giuseppe di Tocco Caudio e Marcarelli Maria Michela di Cautano a 10 di reclusione (48). A Mortaruolo Orsola di Torrecuso perchè minore di 21 anni concedono le attenuanti; le assegnano 5 anni di reclusione. Un po’ di più: 7 anni, al padre Mortaruolo Erasmo colpevole di condiscendenza verso la figlia, avendo permesso che si fidanzasse con il brigante Francesco Caporaso, a cui per altro egli stesso portò aiuto. A Riccio Caterina è già sufficiente avere scontato dall’ottobre 1863, un anno di domicilio coatto nell’isola del Giglio per essersi innamorata del brigante Izzo Francesco. Diminuiscono la pena di un grado ai briganti: Esposito Giuseppe di Centola (Salerno) dandogli l’ergastolo (49), Donadio Giuseppe di Caivano (Napoli) ed Amonello Antonio di Airola, assegnando 20 anni di lavori forzati. Di tutti gli altri guerriglieri non si possono occupare: risultano o fucilati o morti in conflitto (50).
NOTE
(1) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento, rapporto del sindaco di Sant’Agata dei Goti Luigi Albanese al sottoprefetto di Cerreto in data 17 giugno 1861.
(2) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento – Sant’Agata dei Goti – brigantaggio ’61, relazioni del sindaco Albanese al sottoprefetto di Cerreto in data 19, 20, 28, 29 giugno; 3, 12 luglio; 4,. li settembre 1861.
(3) 18 e 29 giugno 1861.
(4) Cesare Nuzzi, capitano circondariale delle Guardie Nazionali, residente a Sant’Agata dei Goti, in una riservata personale al sottoprefetto ai Cerreto datata 7 gennaio 1862, non sa come qualificare questo atto, se come colpevolezza ovvero ignoranza o timore o incapacità del Pescitelli a tenere il comando della Guardia Nazionale di Durazzano.
(5) Il governatore di Caserta deplora questa circostanza in una lettera inviata al sottoprefetto di Cerreto il 3 luglio 1861.
(6) Queste informazioni sono fornite dal Governatore di Caserta al sottoprefetto di Cerreto con lettera datata 12 luglio 1861. Va osservato che il sindaco di Limatola ne aveva fatto partecipe il generale Pinelli il 1° luglio 1861.
(7) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento – Brigantaggio ’62 Limatola, lettera del sindaco Canelli al sottoprefetto di Cerreto in data 16 marzo 1862.
(8) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento – Brigantaggio ’62 Cerreto, lettera del sottoprefetto al governatore di Benevento in data 20 maggio 1862,
(9) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento – Brigantaggio ’62 Cerreto, lettera del sottoprefetto al governatore di Benevento in data 28 maggio 1862. La presentazione dei briganti Ascione Francesco detto Sciazz e di Grieco Giuseppe appartenenti alla banda dei fratelli Romano di Limatola, è avvenuta il 24 maggio 1862.
(10) La proposta del delegato di P. S. Vincenzo Coppola è avanzata il 20 febbraio ’62. Il processo . verbale di arresto stilato dai RR.CC. il 5 marzo successivo, si conserva in Brigantaggio ’62 Sant’Agata presso il Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento.
(11) Arcangelo Marotta della banda Romano si presenta al giudice di Sant’Agata il 12 giugno 1862.
(12) Il sindaco Canelli di Limatola stende rapporto al sottoprefetto in data 1luglio 1862.
(13) Assolti per insufficienza di prove, vengono tuttavia inviati al domicilio coatto; faranno ritorno a Sant’Agata il 10 agosto 1865 insieme con Antonio De Rosa e Vincenzo Corrado, noti manutengoli.
(14) Il sindaco Albanese di Sant’Agata inoltra una relazione dettagliata dell’accaduto al sottoprefetto di Cerreto in data 25 settembre ’62.
(15) L’avv. Ferrari era stato sequestrato il 12 agosto 1862, mentre in carrozza si recava a Maddaloni.
(16) Luigi Albanese sarà arrestato il 6 giugno 1866 come camorrista, manutengolo dei briganti ladri e grassatori, nonchè disturbatore dell’ordine pubblico, ai sensi della legge eccezionale del 18 maggio 1866, secondo la quale basta il solo onesto convincimento delle autorità che un sospettato possa essere pericoloso per la tranquillità dello Stato, per procedere al suo arresto. Il sottoprefetto di Cerreto lo farà arrestare a seguito del rapporto informativo dei RR.CC. a lui sfavorevole in data 3 giugno 1866. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Carte della Provincia 1866, fascicolo Luigi Albanese.
(17) Giuseppe Mosera di anni 32 di Sant’Agata, di condizione bracciante è personaggio ambiguo. Contro di lui, prima manutengolo, poi brigante, viene nel 1862 spiccato mandato. di cattura. Si presenta ed è assolto. Si presta a fare da spia alla truppa; i briganti lo sanno e talvolta gli impartiscono una lezione a mo’ di ammonimento. Finiscono quasi sempre per fare la pace con lui, perchè presumibilmente riesce loro utile in qualche circostanza.
(18) come da verbale inviato dal luogotenente Rainone il 22 maggio 1864 al sottoprefetto di Cerreto. In esso Rainone spiega le ragioni dell’alterco, a gran voce con il giudice di Sant’Agata.
(19) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Brigantaggio Cerreto ’61, rapporto del sottoprefetto al governatore di Benevento in data 23 dicembre ’61.
(20) Il brigante Barabba di Frasso, si costituisce il 5 dicembre ’61.
(21) Il brigante Francesco Garofalo di Frasso, è arrestato il 3 dicembre ’62 da parte di alcuni soldati del 27° reggimento fanteria.
(22) Il capobrigante Martino Lamberti di Solopaca si è presentato il 9 novembre 1862.
(23) Giuseppina Gentile, moglie del capobanda Martino Lamberti si è costituita il 7 ottobre 1862.
(24) il sottoprefetto di Cerreto invia il 3 aprile 1863 al prefetto di Benevento un’ampia relazione sulla banda Martino-Giordano.
(25) Archivio di Stato Benevento. Comune Montesarchio, lettera riservatissima e pressante del governatore di Avellino del 18 gennaio 1861 al sindaco di Montesarchio. Gli ufficiali borbonici decorati al valore nel 1848-’49 usano farsi riconoscere dai briganti del Taburno, esibendo loro due nastri rossi con fascia bleu nel mezzo oppure un nastro rosso orlato verde con una figura rappresentante un serpe con le iniziali S.G. E’ il segno di ricognizione dato loro da Francesco II.
(26) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Brigantaggio Cerreto 8 dicembre ’61. Il sottoprefetto di Cerreto invia il delegato di P. S. Ippolito insieme con il regio giudice istruttore ed il cancelliere a Cacciano, perchè verbalizzino l’arresto del conte Ottavio Procaccini. Il viaggio da Cerreto a Vitulano avviene attraverso una bufera di neve. Le G. N. di scorta devono darsi la voce per non perdersi. il delegato Ippolito, circondata la casa di Procaccini, intima al conte di aprire, ma egli si rifiuta tanto agli inviti rivoltigli in nome della legge, quanto dell’amicizia. E’ passata la mezza-notte, per legge non si può procedere alle perquisizioni domiciliari. Non rimane che piazzare le sentinelle in un giardino superiore; attraverso le finestre si vede il conte che continua a bruciare documenti certo compromettenti. All’alba, apre la porta di casa alla giustizia. E arrestato con il fido colono Fucci.
(27) Entrambi saranno condannati ai lavori forzati a vita.
(28) Relazione 3 aprile 1863 del sottoprefetto di Cerreto, cir.
(29) Archivio Centrale dello Stato Roma. Tribunale militare di guerra in Caserta, cart. N. 37, sentenza contro Brillo Clemente, alias Sproppa.
(30) L’elenco dei briganti uccisi in conflitto è compilato il 20 aprile 1863 dal sottoprefetto di Cerreto ed inviato per corriere al Prefetto di Benevento.
(31) come da nota 29.
(32) Il Pungolo del 22 ottobre 1863, ci dice che Cosimo Giordano è a Roma; il duca di Laurenzana ha provveduto a fargli rilasciare un foglio di permanenza.
(33) con il brigante De Filippo Angelo di anni 34, contadino di S. Salvatore Telesino, poi ferito a Frasso alle 4 antimeridiane del 30 luglio 1863 in uno scontro con una pattuglia del 39° reggimento fanteria, guidata dal guardaboschi Clemente Bettini.
(34) il 25 settembre 1863 insieme con due briganti ignoti in contrada S. Ilario sopra il romitaggio di 5. Biagio.
(35) al molino del Fizzo nella notte tra il 29 e 30 settembre 1863.
(36) il 14 ottobre 1863 ad un miglio e mezzo da Montesarchio sulla strada per Airola. Fu rilasciato dopo 3 giorni, dopo che i familiari avevano pagato un riscatto di 100 ducati.
(37) in località Perreto di Moiano il 22 ottobre 1863. Al sequestro partecipano i briganti Mauro Giovanni e Mauro Donato entrambi di Moiano, rispettivamente di 18 e 23 anni.
(38) Luciano Pietrantonio alias Ventarola di 26 anni di Bonea, soldato disertore del 17° reggimento fanteria di stanza a Catanzaro dal 21 giugno 1862, si unisce nel settembre 1863 ad Andrea De Masi detto Miseria. Con i briganti Izzo Onofrio e Mauro Giovanni procede ai ricatti contro Volino Nicola e Carmine Pepe. Durante lo spostamento dei ricattati dalla montagna di Avella a quella di Cervinara, insieme con il capobanda Taddei ingaggia combattimento con i soldati in perlustrazione. Ferito sul Taburno il 13 febbraio 1864, è fucilato.
(39) Archivio Centrale dello Stato Roma – Tribunale militare di guerra. Cartella N. 27, processo N. 43.
(40) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Brigantaggio ’65 Frasso, rapporto dei RR. CC. Della legione luogotenenza di Cerreto del 22 luglio ’65, in riscontro alla richiesta avanzata dall’avvocato fiscale di Caserta di informazioni sul conto di Cosimo Gisondi, sindaco di Frasso.
(41) Archivio di Stato Benevento. Brigantaggio ’63.
(42) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Frasso Brigantaggio ’65.
(43) i manutengoli Giuseppe e Raffaele brillo, Saverio Spina, Giuseppe Norelli, Maddalena Iannotta e Marianna Mauriello, tutti di Frasso, lo tengono informato sui movimenti della truppa.
(44) Donato Gugliotti capitano della G. N. di Pontelandolfo ha segnalato il 2 giugno 1864 al sottoprefetto di Cerreto il nascondiglio di Mattia in contrada Prainella.
(45) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Pontelandolfo, brigantaggio 1864. Rapporto del capitano della G. N. in data 16 agosto ’64 al sottoprefetto di Cerreto.
(46) Francesco Izzo di Montesarchio, nato il 12 aprile 1839, sbandato del 4° battaglione di gendarmeria, muore sul Taburno il 31 maggio 1865. Ne dà notizia il tribunale militare territoriale di Napoli con prot. n. 2106 del 26 maggio 1866, al sottoprefetto di Cerreto.
(47) Con R. D. 22 aprile 1868, la pena è ridotta a 15 anni.
(48) Con R. D. lo maggio 1866, le viene condonato il resto della pena.
(49) Con R. D. 10 marzo 1872, la pena è ridotta a 20 anni di reclusione.
(50) tra questi il fedele gregario Stefano Reale di Cautano, Malgieri Antonio e Pasquale, Angelo Cusano, Pasquale Lena, Giovanni Leone, Antonio Macrino, Francesco Trebisondi, Giuseppe Forgione, Pasquale Fiore, tutti di Solopaca. Va notato che il generale Pallavicini aveva erroneamente segnalato Francesco Trebisondi come Francesco Trevisonna. Cfr. il notamento banda Martino in Brigantaggio Solopaca 3 ottobre 1870 presso il Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento.
Luisa Sangiuolo
fonte brigantaggio.net