Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Battistello Caracciolo, l’infedele caravaggesco: la mostra diffusa a Napoli

Posted by on Lug 16, 2022

Battistello Caracciolo, l’infedele caravaggesco: la mostra diffusa a Napoli

Parte dal Museo di Capodimonte e si diffonde a Palazzo Reale e alla Certosa di San Martino, l’ampia mostra dedicata a Battistello Caracciolo, per riscoprire l’autonomia di un’arte e di una visione

In questi giorni, nella reggia-museo di Capodimonte, ci sono, contemporaneamente, due mostre, nate da un’idea del direttore Sylvain Bellenger, entrambe a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello: dal 3 marzo al 7 gennaio 2023, c’è “Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli” (della quale già si è scritto) e, dal 9 giugno al 2 ottobre, c’è “Il patriarca bronzeo dei caravaggeschi Battistello Caracciolo 1578-1635”.

“Il Patriarca bronzeo dei caravaggeschi”l’appellativo che vuole definire il napoletano Battistello, è stato estrapolato dalla dotta prosa di Roberto Longhi (1890-1970), il critico piemontese che aveva decretato, seguito da tanti altri, che tutta la pittura napoletana, dal Seicento in poi, aveva subito l’influenza del milanese Michelangelo Merisi (1571-1610), detto il Caravaggio; anzi, che doveva a questa sudditanza il proprio valore. Longhi aveva chiamato “Patriarca” Battistello, perché ritenuto il più antico seguace del maestro lombardo e l’autorevole predecessore di una sua numerosa discendenza. Ma aveva anche affermato, con l’aggettivo “bronzeo”che il pittore napoletano aveva sostituito il tenebrismo caravaggesco, di un nero profondo come la notte, con il colore di un marrone dorato.

Battistello Caracciolo, infedele dai modi gentili

Interessante un attuale giudizio di Stefano Causa su Battistello: è un verace seguace di Caravaggio, sì, ma il più infedele «E, comunque, a tempo determinato». E spiega. Fu infatti infedele perché fu un disegnatore e, in quanto tale, era «Ottimo frescante e sporadico incisore» e disegnava le sue opere prima di dipingerle. Questo procedimento, che naturalmente implica una realizzazione non immediata del dipinto, era sconosciuto a Caravaggio, che dipingeva direttamente dal vero, riportando sulla tela quello che, in quel momento, vedeva, magari illuminato da una forte luce che passava attraverso un buco posto in alto, sulla parete. E Battistello fu caravaggesco “a tempo determinato”, perché ben presto seguì altre strade, abbandonando il “caravaggismo”.

La mostra di Battistello Caracciolo, magnificamente costruita, inizia con alcuni ritratti di ragazzi del popolo, un tema caro a Caravaggio, tra cui un San Giovannino del 1622, uno scugnizzo, il quale, apparendo già violato nella sua innocenza, sembra saperla lunga, come “i ragazzi di vita” del Merisi. A una data più precoce, il 1610, è attribuita la bellissima Crocifissione, già nella reggia-museo di Capodimonte. Ha una accentuata verticalità ed, evitando la più facile ripresa frontale, è realizzata di sguincio, in modo da formare uno spazio “altro”, tutto suo, obliquamente posto al di là della superficie del quadro. Accresce la verticalità della composizione la canna con cui un soldato porta una spugna imbevuta di posca (liquido composto da acqua e aceto in uso presso i legionari romani) verso la bocca del Cristo, in modo da alleviarne l’arsura. É un atto misericordioso che, sconosciuto al più rigido Caravaggio, già indica una precoce autonomia di Battistello rispetto a chi viene indicato come suo maestro.

Ed è «Un ingentilimento» visibile anche in altre opere dell’artista napoletano. Come il “Cristo alla colonna” del 1620, dove il dolorante Gesù sembra chiedere pietà, mentre il suo carnefice appare meno truce dei carnefici caravaggeschi e, con la bocca socchiusa, sembra non escludere il dialogo. A questo “ingentilimento”, che può essere attribuito a una sensibilità al dolore altrui propria del popolo napoletano, si accompagna una gestualità più morbida che in Caravaggio, più articolata, che i critici ritengono dovuta a questo o a quell’artista, con il quale Battistello era venuto a contatto. Ma, ragionevolmente, può anche essere stata suggerita dal gesticolare tipico del popolo napoletano, di cui faceva parte e del quale si dimostra attento osservatore: gesti larghi, comunicativi, che rappresentano il dialogo tra i personaggi e che coinvolgono anche lo spettatore.

Non solo. Ma costituiscono anche un intreccio di linee compositive che rendono il movimento dello spazio nell’animata visione di una vivace realtà. Perché Napoli non era – non è? – e qui rubo un’acuta battuta di Stefano Causa – «Un quartiere di Torino con affaccio sul mare».

La Napoli della gente

Era, invece, la Napoli della gente: popolosissima, vivacissima capitale spagnola, dove, mentre si completava il Palazzo reale (quello che si trova a piazza del Plebiscito), c’era una fervida attività del popolo dei pescatori, dei marinai, dei commercianti, delle accademie, delle università, dei conservatori musicali, degli artisti e degli artigiani, dei salotti nobiliari con i numerosissimi servitori e delle riunioni familiari. È in questa Napoli che si può immaginare Battistello. Qui c’erano tante osterie e tanti vicoli e, nel vicolo più stretto di Napoli, che Giulio Cesare Cortese (1575-1622) chiamava “lo Cerriglio incantato”, c’era la famosa taverna «Dove se canta e verna» descritta da G. B. Basile (1566-1622), frequentata da poveri e da ricchi e, soprattutto, da artisti. E perché non anche da Battistello? Era amico e sodale del Caravaggio, che proprio qui, al Cerriglio, nel 1610, fu assalito da emissari di suoi nemici, che lo ridussero a mal partito.

Appunto, al fine di ricreare l’ambiente della Napoli in cui Battistello viveva, i curatori hanno introdotto nella mostra pitture di diversa sensibilità e accostato sculture pressoché contemporanee: quelle di Michelangelo Naccherino che, nato a Firenze nel 1550, operò  soprattutto a Napoli, dove morì nel 1622, del toscano Pietro Bernini (1562-1629) che, nel 1598, vi si fermò e vi ebbe un figlio, il famosissimo Gianlorenzo (1598-1680), del bergamasco Cosimo Fanzago (1591-1678), che fu soprattutto grande architetto, e del cavese, cioè di Cava dei Tirreni, Vincenzo Della Monica che, già attivo a Napoli nel 1560, vi esercitò soprattutto come architetto ancora a lungo.

Per conoscere meglio i luoghi dove Battistello Caracciolo operò, dobbiamo spostarci dalla reggia-museo di Capodimonte (che sarà costruita solo nel Settecento), per andare al Palazzo Reale di Piazza del Plebiscito, ad ammirare, nella sala dedicata al gran Capitano Consalvo da Cordova, un’opera di Battistello, in cui si può vedere, boccone prelibato per i fan dell’artista milanese, un ritratto di Caravaggio. Poi potremo salire a San Martino, per vedere la mostra su Battistello organizzata dalla Direttrice dei Musei della Campania Marta Ragozzino e ammirare gli affreschi e gli olii eseguiti dal grande artista napoletano, tra cui, nel coro, la Lavanda dei piedi, uno straordinario capolavoro. Per poi essere sommersi dall’atmosfera speciale della Certosa, densa di arte e di misteri, in cui si può ancora immaginare il fruscio delle tonache dei certosini svoltare l’angolo.

Oltre il crocevia

È evidente che la mostra di Battistello ha il fine di liberarne l’arte dall’impaccio della definizione “caravaggesca”. Che umilia l’arte e l’identità della civiltà napoletana. Tanti, anche nel Seicento, furono a Napoli gli artisti stranieri e, a volte, i dotti affermano che la città sia stata una sorta di hub, un semplice luogo di scambio o una melange di influssi. Ma l’identità napoletana non fu sconfitta dalle culture straniere. Tanto più che a volte a queste culture proprio Napoli aveva dato origine.

In un libro che scrissi qualche tempo fa, parlavo appunto dell’identità napoletana: del modo di guardare e di vivere della Napoli di un tempo. Consideravo Napoli morta. Ma qualche anno dopo, erano gli inizi degli anni Novanta, scoprii l’esistenza di gruppi di studiosi innamorati di Napoli, dei quali divenni amica, che mi diedero speranza. Tanto da potere affermare che il mondo, dalla prospettiva napoletana, potrebbe essere salvato. Perché Napoli è un’idea, un simbolo. E anche un ente geometrico che oggi potrebbe avere un’applicazione informatica. Forse Napoli non ha bisogno del mondo. Ma certo il mondo ha bisogno di lei.

Adriana Dragoni

fonte

Battistello Caracciolo, l’infedele caravaggesco: la mostra diffusa a Napoli (exibart.com)

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.