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COLPO D’OCCHIO SU LE CONDIZIONI DEL REAME DELLE DUE SICILIE NEL CORSO DELL’ANNO 1862 (VII)

Posted by on Nov 26, 2023

COLPO D’OCCHIO SU LE CONDIZIONI DEL REAME DELLE DUE SICILIE NEL CORSO DELL’ANNO 1862 (VII)

V° GOVERNO 

1. DISORDINI, E PREPOTENZE GOVERNATIVE.

2. STATO DI ASSEDIO.

3. ANARCHIA.

4. ATROCITÀ’.

5. GUERRA CIVILE.

6. INESTINGUIBILE SENTIMENTO POPOLARE PER L’AUTONOMIA. 

La pubblica opinione, comunque sotto alcuni aspetti particolari possa discordare ne’ suoi giudizi sui tristi avvenimenti compiutisi nel reame delle due Sicilie durante l’anno 1862, è però unanime a riferirli, nel generale in tutta la loro gravità alle esorbitanze del governo Subalpino, che tratta e ritiene le Provincie meridionali come una sua Affrica italiana.

Non basta il coraggio di scusamelo, almeno in parte a que’ medesimi, che furono e sono i propugnatori non sempre disinteressati del governo stesso; i quali d’altronde confessano essere generale il sentimento di odio contro il Piemonte, e diffusamente sentito il desiderio per lo restauro de’ principi caduti.

Le aspirazioni, e le innate tendenze di quelle popolazioni son per l’ordine, pel riposo, per la pace; i quali beni hanno perduti, e comprendono oramai di non poter riacquistare senza l’autonomica restaurazione.

Diritti internazionali, diritti politici, diritti civili, diritti domestici, tutto in esse cospira a provocare reazione contro gl’invasori; benché un certo numero de’ loro compatrioti satollati al banchetto governativo, a spese delle napolitane finanze, vantassero le nuove felicità della patria da essi tradita, – chiamando ordine la più desolante anarchia; – stabilità lo sgomento del presente, e la incertezza del domani; 81 – accordo ed amore il malcontento e l’odio; – voci di gioia le grida di dolore.

Gli unisoni clamori accusano che essi, ciechi per non vedere la flagrante antitesi, ed ostinati per mantenersi nei lucrosi posti, – trovano essere mezzi lodevolissimi il governare con gli stati d’assedio, con gli imprigionamenti in massa, con le proscrizioni, con gli esilii, con le leggi del sospetto, con i tributali militari, con le i fucilazioni, con far caricare alla baionetta, per le piazze su que’ popolani, il cui suffragio si è comprato due anni prima con tante arti. E non ostante queste piaghe aperte e sanguinanti, essi imperversano a proverbiare da tiranni gli antichi Principi!

Uno de’ più popolari organi del Napoletano cosi si esprime: La consorteria racchiude nel suo cenacolo quanti erano vissuti nel Piemonte, che si atteggiano a martiri, senza aver subita una ora sola di martirio; servitori della fazione piemontese cui han dato aiuto per far distruggere ogni cosa fra noi; è per libdine di poteri, e di ricchezze han tradito gl’interessi del paese dove erano nati. Zelanti nel sottomettere le province, meridionali al Piemonte, e Napoli a Torino chiamano lavoro di unificazione la distruzione delle amministrazioni vissute da secoli, la rovina delle famiglie d’impiegati, la miseria universale. Pochi napoletani stretti in consorteria han venduto come Giuda per denari la patria ed hanno offerta al Piemonte la più bella parte d’Italia, prostrando Napoli, hanno esclamato con gioia – l’abbiamo annichilita! – Ed annichilita può dirsi la città di Partenope, la cura di Filangieri, e di Vico. La consorteria, e la fazione piemontese hanno trionfato, e trionfano, hanno governato, e governano. (La Democrazia giornale de’ 19 dicembre).

È una verità generalmente riconosciuta, che la rovina del reame di Napoli derivi dall’essersene affidata la direzione governativa ad uomini, non solo incapaci, ma altresì inaspriti dallo esilio, e da rancori contro il cessato governo, animati dal solo desiderio di vendicarsene; odio da essi esteso anche contro le popolazioni, delle quali sono i calunniatori; 82 e per la stessa ragione divenuti ligi e idolatri del Piemonte, che avea loro data la più che decennale ospitalità, cupidi infine di rinfrancarsi nelle sostanze ed impinguarle a spese del fiorente tesoro dello Stato.

Non può meglio esprimersi questa deplorabile cagione di mali, di quello che testé lo ha fatto uno scrittore napoletano nel suo recentissimo libro – Delle presenti condizioni d’Italia, e del suo riordinamento civile (1)».

L’autore, benché talvolta severo contro il passato governo «pure non può fare a meno di lodarne la mitezza usata dopo la prima restaurazione nel 1815, verso i suoi nemici politici, che onorò, protesse, e promosse ne’ pubblici uffizi; mitezza, che non si è voluta imitare dal Piemonte e dalla fazione sua fautrice, divenuti padroni di Napoli, dove invece con le più inaudite crudeltà e spirito di parte si è agito, sopratutto adoperando inganni ed artifizii pel vantato plebiscito, e per far proseliti alla nefanda annessione; tacciando gli avversarii da municipalisti e peggio».

Un imparziale libro aveva già proclamato fin dal 1845; – «i fuorusciti che dopo lunghi anni ritornano ebbri di dolore, e di furore, di amor di bene, e di consuetudini e parole straniere, fanno, più che altri, inganno a se stessi; e possono alla patria nuocere più che crudele nemico (2)».

La condotta pertanto del governo attuale nelle Provincie meridionali è giudicata nettamente dalla stessa Gazzetta di Napoli sotto i numeri 151.152.153.154. e 155. del mese di novembre, dove ha sentenziato il medesimo come – «reo, d’accordo con lo straniero, del danno della patria detto dello eccitamento alla guerra civile, con la morte e prigionia di tanti cittadini!»

(1) E. CENNI, pag.17 e seguenti.

(2) Angeloni, L’ITALIA, tom. II pag.246. E Io si conferma on maggior vigoria d’argomenti dal Mac-Auley. Storia d’Inghilterra, tomo I pag.165. 83 Indipendentemente dalle autentiche confessioni fattesene nel parlamento di Torino (1), e da altri organi più o meno officiali, si abbia come omaggio alla verità, il seguente riepilogo su i fatti concernenti,

1. i disordini, e le prepotenze governative;

2. Lo stato d’assedio;

3. L’anarchia;

4. Le atrocità;

5. La guerra civile,

6. ed in conseguenza lo inestinguibile sentimento popolare per r autonomia. I.1 DISORDINI, E LE PREPOTENZE GOVERNATIVE. 1. A’ 2 gennaio trasportansi altrove d’ordine del prefetto di Napoli i mirabili opificii e stabilimenti di armeria creati con tante cure dal cessato governo nel vasto comprensorio del Castello nuovo, e si dispone abbattersi, e cedersene il suolo ad uso privato. Ed a’ 2 dicembre, scalando le finestre del palazzo della Nunziatura Apostolica in Napoli, s’ introducono vari agenti governativi con violenza, ed anche per ordine del suddetto prefetto, ed in dieci viaggi trasportano via tutte le carte ivi depositate relative alla Commissione del Concordato; essendosi opposto il Guardaportone a cotal violazione per lo ingresso regolare.

2. In aprile, quindici deputati del parlamento appartenenti alle provincie meridionali, presentano al ministero di Torino un memorandum nel quale si fa il quadro desolantissimo delle condizioni del paese «per effetto del mal governo in ogni ramo, d’onde la universale scontentezza, gli attentati perturbatori delle città i fogli clandestinamente pubblicati,

(1) Si vegga il libro pubblicato nel 1862, che ha per titolo: «Le condizioni del reame delle due Sicilie considerate nel parlamento di Torino da deputati delle provincie meridionali»

83 gli assassini quotidiani le fatue soscrizioni a favore di stranieri pretendenti, tutta ebollizione di propositi liberticidi favoriti dalla febbrile inquietezza succeduta all’entusiasmo de’ primi tempi».

Ed è facile comprendere, che con l’ultima frase i deputati alludono a taluni maneggi, pe’ quali la Democrazia, giornale de’ 7 dicembre num. 8 ha pubblicato: «una convocazione de’ Capi-legione della guardia nazionale di Napoli ha luogo nelle sale del comando generale, per eccitare la vigilanza de’ loro uffiziali superiori su le mene Murattiane. Dobbiamo in verità confessare, o che il governo è cieco, finge non vedere. Il governo ignora, che le liste di soscrizione a favore del pretendente girano pubblicamente; che la stampa ne pubblica le lettere al caro Duca, ed al caro Principe; che le medaglie, e gli emblemi di S. M. Gioacchino II si mostrano, senza ostacolo, dagli affiliati al partito…. La commedia piemontese sta per finire: gli spettatori fischieranno, e presto».

E lo stesso giornale de’ 25 novembre, riandando gli abusi del governo «con gli arresti preventivi, con le violazioni di ogni legge, col diritto della sciabola proclamato da’ proconsoli che badano unicamente a far bottino, e da’ burocratici inetti avidi di preda, burbanzosi sprezzatori di tutti e di tutto conchiude in questi termini» Il penero unitario è sogno d’inferme menti coltivato ed accarezzato nello esilio, nelle prigioni, ed in faccia a’ patiboli per 30 anni; ed intanto con questo pretesto di unificare si sono distrutte, e si distruggono alla giornata amministrazioni e direzioni, spalancando la porta della miseria a migliaia e migliaia di famiglie, e mettendo su la strada vecchi servitori dello Stato, che avevano logorata la vita nel servirlo.

Pane chiedono costoro, pane dimandano gli orfani e le vedove de’ sagrificali, ed intanto da Torino, o non si rispoade, o sì dice doversi attendere col barbaro dizionario burocratico di Torino. 85 – Aggiungasi la finanza distrutta, il tesoro depredato, i tribunali divenuti immagine del caos, le leggi tutte volte a fiscalità; e poi tasse; e sempre tasse. Ecco cosa fruttava a noi il plebiscito. – Ecco quanto ci arrecarono i Farini, i Nigra, i San Martino, i Lamarmora, i Rattazzi!»

E con maggior vivacità ha pubblicato testé in Napoli un valente scrittore: «Senza nessuna cognizione delle cose di Stato si è voluto distrugger tutto: – far tutto da nuovo, non rispettando alcuna delle condizioni reali del reame di Napoli, con una furia incredibile di legiferare ormai divenuta proverbiale.

L’amministrazione civile ne’ sudi molteplici ordini, la finanza, le dogane, la pubblica istruzione, la polizia ecclesiastica, l’ordine giudiziario, la guardia nazionale; tutto insomma è divenuto materia da esercitare la feconda incentiva de’ nuovi governanti: i loro portati però hanno tanta vitalità, che si son veduti in poco spazio, su lo stesso oggetto, abbattute le antiche leggi, che erano pur ottime, dalle nuove molto inferiori, e queste surregate da altre nuovissime ancor peggiori!…. Il dire che «i popoli delle due Sicilie fossero guasti, imbestiati, e barbari è divenuto di moda ufficiale; ed il gravarli di maggiori imposte e dazii si è definito per un mezzo di civilizzazione.

E pure essi avevano i migliori codici d’Europa, le istituzioni più sapienti, un ottimo ordinamento giudiziario, – e lo stesso segretario Nigra nella sua relazione al Cavour, pag. 41, non ha potuto far meno di dire: che nelle provincie meridionali abbonda, vi è profusione d’ingegno e di cultura: – e il Sacchi (anch’egli governante piemontese) ha affermato. «esserne gli impiegati pubblici non solo abili ed intelligenti, ma anche superiori di cognizioni economiche ad altri de’ vari stati italiani…

3. A’ 2 aprile il console inglese residente a Napoli scrive al suo governo: – «In Napoli continua lo scontento e la stessa gelosia degl’italiani settentrionali (piemontesi): hanno rincarìte le pigioni e le derrate d’ogni specie: 86 le province sono nel terrore: sinora il brigantaggio esiste certamente in ampie proporzioni nella Puglia, e non fu ancora efficacemente domato».

A cui ci fa eco il Nomade, giornale liberalissimo di Napoli che in un lungo articolo attribuisce al governo piemontese i tanti mali, che inondano i poveri paesi della Italia meridionale. L’unità si è fatta (egli dice); ma intanto questa parte d’Italia nessun utile ne ha ricevuto; anzi danni gravissimi, l’amministrazione del governo subalpino non produsse altro, che una confusione generale, il brigantaggio per soprapiù; la miseria nelle province -, lo scoramento in Napoli».

Contemporaneamente il deputato napoletano Ricciardi scrive una lettera al presidente de’ ministri signor Rattazzi (pubblicata nel diario la Nuova Europa) nella quale si egg: «Le dirò, esser le cose venute a tale in questa parte d’Italia (regno delle due Sicilie), che i più non hanno fede nella durata del nuovo governo, il quale, non temerò di affermarlo, è oggetto quivi di generale abborrimento Vi aggiungo, la giustizia e la legge essere nomi vani, la magistratura non facendo il proprio dovere che imperfettissimamente, e là vita de’ cittadini essendo, ne’ luoghi tutti infestati dal brigantaggio, in balìa dell’autorità, militare, e i cui soprusi sono Udi da far rabbrividire. MIGLIAIA DI PERSONE DA UN ANNO A QUESTA PARTE FURONO PASSATE PER LE ARMI SENZA GIUDIZIO DI SORTA ALCUNA, E PER COMANDO DI UN SEMPLICE CAPITANO, LUOGOTENENTE; SICCHÉ NON POCHI INNOCENTI MISERAMENTE PERIRONO! Orribili esempii potrei citarle a tale proposito ricordando le date, i nomi, e luoghi!».

Altra omogenea pubblicazione si legge ne’ giornali napoletani. – Il liberale Francesco Calicchio, arrestato per sospetto, ferita dalla forza catturante con colpe di pistola, senza aver opposta residenza, 87 imprigionato per molti mesi, poscia chiarito innocente, dirige al re Vittorio Emmanuele un memorandum nel quale si notano i seguenti periodi: …

«Il paese disgraziatamente sperimentò il mai governo di Farini perché circondatosi dalla consorteria ambiziosa del potere, e non di fare il bene della patria. Traboccando il disordine governativo da ogni parte, fu spedito Nigra, e questi in pubblico, ed a me in lavato, non nascondeva di palesare, che la luogotenenza Farini era stata riprovevole, e che a rimarginare le piaghe formate da questa era stato prescelto lui ma Nigra promise molto, e nulla fece: il popolo restò illuso, lo scontento crebbe, e Irate vaso col mostrarsi ostile ad ogni atto del governo… Io, uomo del popolo, ho promesso al popolo mari e monti per rovesciare il potere borbonico, ma ora sono scoraggiato nel vedere il cammino a ritroso, che si serba; nel vedere negletto il popolo; nel vedere che questo sventurato paese soggiace ad un peggiore dispotismo, a tanti balzelli, a tanti mali etc…».

4. Col decreto de’ 6 aprile epurativo della magistratura nelle provincie meridionali si destituiscono in fascio 150 magistrati. – «Guai a quel governo (dice la Stampa) ohe per mantenersi reputa necessaria una simile ecatombe degli amministratori della giustizia…. E pure l’attuale corruzione ne’ giudicanti è tale, che per cento ducati si può ottenere la liberazione dal carcere di un prigioniere, puree che non sia di quelli troppo famosi; – e per la medesima somma si può ottenere una favorevole sentenza civile; ed anche un eccellente impiego».

E nel novembre 1862 esce in luce un libro che in Napoli gode di ben meritata riputazione, nel quale si legge una esatta critica su ‘l nuovo ordinamento giudiziario che è definito «un temperamento falso, di gran lunga inferiore al preesistente, e costoso più del quadruplo in paragone dell’antico, 88 il cui personale mandato via per la massima parte è stato cosi infelicemente rimpiazzato, che avvocati, litiganti, e pubblico intero sono costretti a confessare che te quello che vi è di meglio tra gli odierni magistrati è quel poco che è rimasto degli antichi, se ne salvi rarissime eccezioni. Anzi abbiamo udito dire, che ne’ processi politici hanno sovente mostrato maggiore indipendenza gli antichi a tribunali, che i nuovi».

La prepotenza governativa su la magistratura si esercita dì fatti a danno della giustizia nella più estesa sfera ed in moltissimi casi: tra i quali. il più notevole è quello di aver imposto alla Corte di Cassazione in Napoli dichiarare incompetenti i tribunali di Calabria pe’ giudizii a carico de’ ribelli di Aspromonte nel mese di agosto. Su di che si scaglia il deputato Nicotera nella tornata parlamentare de’ 25 novembre, e tra l’altro dice: «Il governo borbonico voleva mantenere una certa apparenza di legalità e di rispetto alla magistratura. Non c’è esempio, che i tribunali abbiano ricevuto direttamente ed apertamente, senza riguardo, degli ordini per decidere in un senso piuttosto che in un altro. Questo esempio, o Signori ce lo dà il ministero di Torino col suo telegramma alla corte Suprema di Napoli».

Ed una delle non poche misure arbitrarie di tal genere è quella riportata dalla Gazzetta ufficiale de’ 4 novembre: – «A’ 12 ottobre furono derubati alcuni commercianti della provincia di Salerno da otto malviventi del comune di Senerchia, il cui Sindaco, e la guardia nazionale sono stati astretti dal governo ad indennizzare il danno sofferto dai derubati».

5. Sgomentato dal disordine officiale, il questore di Napoli presenta le dimissioni alla vigilia dello arrivo del re verso la fine di marzo, ed i principii di aprile, ma dal primo dell’anno fino a’ 31 marzo aveva egli già fatte eseguire 1511 visite domiciliari. – La stampa stessa fautrice de’ nuovi ordinamenti se ne allarma. – Il Nomade grida: «Il governo apra gli occhi su questa piaga sociale, che in Napoli si chiama pubblica sicurezza».

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Sconfortante quadro fa dell’andamento amministrativo il Popolo d’Italia (num. 246): – «Borse esauste per la sostenuta rivoluzione, esauste per gravezze daziarie; spostamento di fortune per una strana tariffa doganale, spostamento per un nuovo sistema monetario; ristagno per panici di guerra, la mancanza del lavoro, le messi distrutte, e le comunicazioni interrotte per causa del brigantaggio. Ed in mezzo a tuttociò nessun espediente di risorse, niuno impulso alle arti, alla industria, al commercio. Un credito fondiario progettato, e non eseguito. – Casse di risparmio, che non hanno proceduto oltre le parole; – casse di deposito e prestiti svanite; – comizii agricoli andati ‘in fumo; – di ferrovie nulla, dopo tre anni; ogni lavoro nelle nostre provincie posto in concorrenza con i piemontesi, mentre i lavori nel Piemonte non si mettono in concorrenza con i napoletani. – Fra questo esaurimento continuo di tutte le nostre forze economiche, una voragine ci sta innanzi, che tutto ingoia e per quanto più assorbe, rimane più esausta e presenta disavanzi sopra disavanzi, e sempre spaventevolmente crescenti».

6. Invano si cerca riparare a tanti disastri con lo scioglimento delle guardie nazionali, de’ municipi; come si verifica a danno de’ camuni di Solmona, di Castana un Sicilìa, di Caivano, di Afragola, del Vomero, di Arenella presso Napoli, di Pimonte (in provincia di Salerno) per indulgenze con i briganti. Nell’ottobre la legione della guardia nazionale di Foggia è disciolta, con intimazione consegnare tra 48 ore munizioni, ed armi. Gli stessi spedienti sono a un dipresso posti in opera nelle altre provincie, – carcerandosi dove un Sindaco, e dove un comandante di guardia nazionale, come poco zelante nel perseguitare il brigantaggio, o in sospetto di parteggiare per esso. 90 Delle esorbitanze ministeriali a danno delle province meridionali rende anche un altra grave testimonianza il deputato Nicotera nella tornata de’ 25 novembre, quando dice, che il governo piemontese «viola lo Statuto costituzionale, e viola la libertà de’ popoli, che lo crearono, e che con un sistema di repressioni prepotenti, e con ipocrita e codarda politica all’estero intende fondare l’Italia: – per codesto governo non esistono le guarentigie dello Statuto, la libertà individuale, la inviolabilità del domicilio, la libertà della stampa, e spinge tanto oltre il disprezzo della legge da sorpassare il governo borbonico: È doloroso dover ricordare certi fatti. Io ricordo, che il 15 maggio 1848 nella camera napolitana vi fu un mio amico deputato Stefano Romeo, che ebbe il coraggio di proporre, che quella Camera si fosse mutata in Costituente per dichiarare la decadenza dal trono di re Ferdinando II. – Ebbene, Signori, fino a quando non fu sospeso lo Statuto, Stefano Romeo non fu molestato!»

Nella susseguente tornata de’ 15 dicembre ribadisce questa circostanza storica l’altro deputato Ricciardi: – «Io, aveva l’onore (egli dice) di esser deputato pel parlamento napoletano nel 1848: noi eravamo ribelli, costituzionalmente parlando; poiché, prima che il parlamento fosse costituito, secondo là lettera dello Statuto, ci costituimmo in assemblea deliberante; che anzi dietro mia proposta, un Comitato di pubblica salute fu eletto nel nostro seno; un Comitato, i cui atti furono in tutto rivoluzionarii. Orbene, il Borbone, vincitore la sera del 15 maggio, non faceva arrestare verun deputato. Era serbato al generale Lamarmora, luogotenente d’un governo costituzionale, il far quello, che non aveva fatto un re assoluto! – Vedete dunque, che ora non uno, ma due re esistono in Italia; – l’uno costituzionale in Torino, e l’altro dispotico in Napoli: uno istituito pel bene l’altro istituito pel male». 91 7. È tale la confusione degli ordini emanati da Torino per governare Napoli e Sicilia da non riflettere, che mentre quivi si trovavano fin da’ 9 ottobre 1861 già destinati due Commessari straordinari vi si mandano a’ 5 gennajo 1.862 senza rivocar questi, altri due Alti Commessari straordinari con pieni poteri; in guisa che è necessario rimediarvi col decreto reale de’ 9 ottobre, che gioverà trascrivere: «Ritenuto, che ogni cosa relativa all’amministrazione delle provincie meridionali venne da noi, a motivo della condizione eccezionale delle medesime, affidata ad Alti Commessari straordinari muniti de’ più ampli poteri, e che ragion vuole quindi abbiano a cessare i due Commissarii straordinari stati precedentemente nominati, mentre le facoltà ad essi attribuite sono comprese nel novero di quelle concesse a’ predetti Alti Commissarii, – Ordiniamo – art.1. I suddetti due commissarii straordinarii stati nominati in forza de’ precedenti nostri decreti de’ 9 ottobre 1861, cesseranno a partire dal 16 corrente ottobre, dal compiere le funzioni state loro rispettivamente assegnate. – articolo 2. Tali funzioni verranno intanto disimpegnate in Napoli dal nostro Alto Commessario straordinario per le provincie napoletane, in Palermo da quello per le provincie Siciliane.»

Ad accrescere intanto l’avversione delle popolazioni siciliane, si pubblica nella Gazzetta Ufficiale, col nuovo regolamento doganale «che Messina cesserà di essere pel commercio una città franca col 1. gennaro 1866.»

8. La condizione della pubblica istruzione è cosi descritta dal giornale napolitano il Popolo d’Italia 29 novembre num. 246.

«La nostra regia Università è ora oggetto di sarcasmi e di derisioni come un tempo fu di decoro del paese, e di speranza de’ padri nostri ansii di lasciarsi dietro posterità illuminata, e morale. Organata sul numero di 60 professori, due terzi di questi sono nomi ignoti, e sol cogniti al governo di Torino, per merito non già, ma per raccomandazioni ed insistenze degli amici consorti. 92 – In Napoli, dove si ebbe in tutti i tempi culto fervido e sublime il Diritto penale, qui dove il Diritto romano ha formato sempre uno de’ più indefessi, e felici studi della gioventù; qui la facoltà legale langue, respinge, sdegna. Ed è soprammodo spettacolo di compianto di veder tali esseri montati in cattedra, che se tal fiata entri ad ascoltarli qualche letterato, essi arrossiscono, smarriscono la idea e la parola….. In qual modo poi si son tenuti i concorsi di merito, e quale ne fu il risultamento?…,.. Il ministero irridendosi di esaminati ed esaminatori ha sbalestrato lì su la cattedra un professore, cui il pubblico meno pensava, ma che seppe ben farsi strada indipendentemente da ogni concorso. E quando una cattedra è rimasta vuota per elezione a deputato, allora l’insegnamento è mancato in barba della gioventù studiosa, conservando sempre il posto pel caro eletto, o la si è fatta occupare da un sostituto tale, che divenne tosto il soggetto, delle caricature, lo zimbello de’ caffè e delle strade. – È una ridda d’inferno questa nostra università, e guai a quel professore che abbia un merito reale e riconosciuto! «Ecco subito la coalizione degl’intrusi contro di lui, ed eccolo escluso da tutte le accademie, eccogli destinata un ora per lo insegnamento in cui la gioventù, perché stracca, perché occupata altrove, non può sentirlo – Se tutte volessimo spiegare le piaghe della nostra università, non basterebbero più numeri di questo giornale. – Che diremo del Collegio Vittorio-Emanuele? – Superiori privi di forza morale, rinnovati ad ogni mese come i camerieri di locanda; professori nominati a casaccio; alcuni che entrano oggi, ed escono domani, argomento certo, che il sistema poco soddisfa a’ genitori. – E dove sono le scuole tecniche? dove quelle di arti e mestieri? dove quelle per gli adulti, sieno femminili, sieno maschili? dove sono gli asili infantili? 93 – Noi ne abbiamo inteso parlar molto, ma abbiamo già cercato tre anni e nulla abbiamo visto definitivamente organato!» (1) Una conferma autentica a codesto desolante quadro vien data bella tornata parlamentare de’ 27 gennaio, dal deputato napoletana Mandoi-AIbanese, il quale sostiene che nella università di Napoli due terzi de’ professori percepiscano gli stipendii mensili, e non dettano lezioni; e fra essi evvi un consigliere di luogotenenza; del che si è egli personalmente assicurato: ed afferma poter garentire, per averlo a verificato. – Soggiunge di conoscere professori cattedratici, i quali cumulano fino a sei cariche diverse con stipendio; ed essersi nominati altri 4 professori senza concorso, in onta della legge che lo richiede: – dice, che volendosi collocare un favorito, si mette in ritiro con lo intero soldo il professore titolare di matematiche nominato appena da 4 mesi, e così il governo viene a caricarsi di due mensili; (1) Scarsissimo è il numero degli alunni ne’ ginnasi, collegi e licei – In quello di Maddalooi, un tempo così celebrato con oltre 100 convittori or non vi sono stati che due alunni nel corso del 1862, e 14 o 15 professori. I due miserrimi giovanetti sono stati obbligati senza pietà a girare per tutte le cattedre, e udire i professori tutti, perché il preside avesse potuto avere il dritto di dire, che il Liceo era in esercizio.

Generalmente si riconosce ora in Napoli, che i piemontizzanti vietando insegnamento privato, nel quale sotto il cessato governo niuna ingerenza prendeva l’insegnamento officiale, per cui fu libero e prosperante, hanno posti i ceppi alla libertà del pensiero in nome della libertà politica! – Ed hanno poi pensai di porre professori cattolici nella cattolica università napolitana; di sopprimere la facoltà, teologica; di introdurre professori insegnanti ex~professo dottrine protestanti; per cui lo studente da un professore ascolta, che la dottrina cattolica sia la verità assoluta: da un altro che sia il massimo degli assurdi; né manca chi fa un miscuglio dì essa e della opposta: a chi de’ tre crederà? Lo scetticismo totale dovrà esserne la conseguenza inevitabile. Sarebbe stato più logico rimuovere tutti i professori catodici, ad ateizzare l’università…..!!! 94 uno a quello messo a ritiro, ed un altro al favorito, il quale ha ottenute in tre mesi due cattedre, non contento di una, che gli fruttava 50 scudi al mese».

E nell’altra tornata de’ 28 giugno il deputato napoletano Lazzaro per maggior conferma soggiunge: «Vi sono progetti per scuole normali; – vi sono riforme per questo o quel regolamento di università; leggi di tassa pe’ studenti; circolari accademiche a questo o a quello; – ma, o signori, io non veggo fatto quello che si dovrebbe fare; e il popolo è ignorante più di prima».

Il Diritto di Torino de’ 22 dello stesso mese di gennaio riferisce, che «il signor Scavia spedito da Torino a Napoli, come organatore delle scuole magistrali, ha saputo far benissimo i proprii affari, avendo imposto a tutti i licei, scuole, e case da lui dipendenti l’uso de’ suoi libri. – Cosi un altro professore di recente nominato cavaliere di S. Maurizio, che è un pezzo grosso nella università di Napoli, manda casse intere di una sua opera per tutte le provincie, e cosi guadagna tesori giovandosi del posto che occupa».

Querelandosi pe’ cennati abusi accadono sovente agitazioni tra gli studenti, in nome de’ quali corrono proteste contro i professori De Luca, Pisanelli, Tommasi, Pirla, Imbriani, che non dettano mai le lezioni, e perché è vuota la cattedra di diritto internazionale.

Con maggior risentimento quelli della università di Palermo nel mattino de’ 12 marzo formano una imponente dimostrazione, con bandiera alla testa, con cartelli scritti ai cappelli, e co’ gridi: «abbasso i professori inetti, abbasso la legge Casati; – le cattedre vuote a concorso; – abbasso il rettore» contro il cui stanzino lanciano pietre, e ne rompono i vetri. Il governo ordina provvisoriamente la chiusura della università.

9. Gravissimo è il detrimento arrecato al pubblico costume sbrigliate le libidini, fomentata la corruzione coi libri osceni, e figure scandalose pubblicamente spacciate: l’immoralità è all’apogeo. 95 – Se ne ha un documento officiale nella lettera diretta dal sig. Torelli prefetto di Palermo a quell’Arcivescovo (ne’ principii del mese di giugno) dal quale chiede il possesso di alcuni monasteri per convertirli in ospedali e curarvi i moltissimi infetti di mali sifilitici: giova riportare la introduzione della lettera stessa: – «Un fatto grave, quello di uno straordinario numero di soldati affetti da mali venerei, dovette attirare tutta la mia attenzione: riti cercandone le cause, mi persuasi pur troppo esser questo un grave flagello, non solo della truppa ma della città intera che qualora non si accorresse ad un pronto riparo, può mettere a repentaglio la salute pubblica in modo allarmatissimo. Basterà un solo esempio per darne una misura: alla leva operatasi in questo anno furono trovati affetti da sifilide gli otto decimi de’ giovani della città di Palermo!»

È troppo rattristante riandare i documenti presentati nella tornata de’ 12 agosto pel progetto di legge, onde stabilire nuovi sifilicomi: la relazione analoga col ministro Rattazzi espone le spaventevoli proporzioni de’ morbi sifilitici che travagliano, la pubblica salute delle popolazioni napoletane, e siciliane, e come gli antichi ospedali non solo non fossero bastanti per curarvi le moltissime donne contagiate, ma bisognava quadruplicarli.

Dicesi nondimeno essere, stata proposta dal ministro della pubblica istruzione la cattedra su la prostituzione nella regia università: – certo. è però che senza ribrezzo si parla di tale materia, – la gazzetta ufficiale ne ha pubblicati i regolamenti bullettini bibliografici annunziano la storia della prostituzione di tutti i popoli del mondo dalla antichità più remota fino ai tempi nostri e se ne raccomanda lo spaccio.

10. Scempio maggiore avviene ne’ pubblici stabilimenti di Beneficenza. – Il giornale napolitano il Popolo d’Italia de’ 6 maggio, dice essere così pessima l’amministrazione de’ medesimi, che un personaggio autorevole giunge a proferire nella reggia, in presenta de’ deputati del parlamento: 96 «io credo che la metà delle rendite di codesti pii stabilimenti napoletani debba andare rubata»

E quindi nel giornale stesso viene così riferita la visita fattavi dal re Vittorio Emmanuele nello aprile: – Il re, e il ministro Rattizzi hanno visitato il maggiore pio stabilimento, che noi abbiamo, l’Albergo de’ Poveri, e che è appunto il peggiormente amministrato, reso albergo della morte per lo spirito pel corpo. – Ma quando essi vi andarono, i governatori prevenuti da’ consorti, che pure circondano il nuovo ministero, col frastuono delle bande musicali soffocarono le grida de’ gementi. – I poverelli di quello stabilimento, più che creature umane, appaiono bestie pel modo, onde sono trattati. Dormono su vecchio e lurido strame: i loro vestimenti giornalieri sono cenci inutili più volte e rattoppati: senza calze e senza scarpe, il loro cibo è pasta nera ed acida, senza verun condimento le camicie e te lenzuola stoppia dura dì color bruno, in cui schifosi insetti formicolano a vergogna della umanità. – Pessimo lo insegnamento, i maestri con meschino onorario servono svogliali, e con quel pagamento e per quella lontananza non possano esser certo i migliori di questo mondo. La morale, niuna. E le donne? Ahi ludibrio! Più di 300 giovanette hanno popolato i postriboli perché cacciate. – Or questo stabilimento è specchio fedele di tutti gli altri in Napoli!»

E già fin dal precedente marzo la stampa napolitana annunziava: – «Giovedì 6 condente, per ordine del governo, le più avvenenti giovanette alunne nel real albergo de’ poveri son condannata ad esibire il proprio ritratto in fotografa con la macchina appositamente introdotta in quello ospizio, assegnandone l’imponente oggetto di doversi spedire que ritratti a Torino. Il di più s’intende da per se stesso!…».

E deve anche intendersi come le cose sieno quivi peggiorate in modo, un giornale politico-popolare, che si pubblica in Napoli, a’ 10 dicembre abbia potuto scrivere 97 il seguente indirizzo al prefetto Lamarmora con una franchezza di tuono da far ritenere che non ne possa essere esagerato il contenuto: «Signor Generale Lamarmora, mandami a chiamare, se hai viscere di carità, ed io ti mostrerò una lettera rimessa a me da un infelice recluso nell’albergo de’ poveri dì Napoli…. Quivi sono fanciulli, e ragazze! L’amministrazione è organizzata a camorra,… Non appena leggi queste parole, va, o manda persone di tua fede colà, ed ordina che visitassero tutto, tutto il locale; anche a le corsee sotterranee, ove sono ammucchiati quelli che si è chiamano i miserabili. Troverai fanciulli, e bambine, ignudi, perché i cenci non garentiscono quelle povere carni! Li troverai pieni d’insetti, su paglia marcita, pallidi, smunti per la fame, perché quel poco di polenta, che loro si amministra, spesso vien tolta a 500 infelici ogni di sotto pretesto di punizione! Vedrai come quelle creature non hanno in questa rigida stagione un lenzuolo, una coperta, ed a guisa di bestie rannicchiate sul terreno in stanze umide e malsane. Interroga que’ poverelli, e prometti loro di garantirli dalle sevizie e dalle torture… Sovratutto, o Generale, dimanda a quelle sventurate fanciulle, che non hanno altro scudo, che le lagrime… com’è conservata la loro innocenza!… Recati sul luogo, e poi dimmi, se i napoletani han ragione dì maladire Torino!»

E la Gazzetta di Napoli del 5 dicembre riporta una petizione diretta al deputato Ricciardi, per presentarla al parlamento, in nome de’ reclusi nel pio stabilimento anzidetto del real albergo de’ poveri, dove sono enunciate le sevizie, i maltrattamenti, e le iniquità di quegli amministratori, alla cui testa è il sopraintendente de Blasio.

Penosa impressione produce nel pubblico la novità de Vistosi soldi, che prendono i nuovi governatori, mentre quelli del governo borbonico prestavano la loro opera gratuitamente; intanto le rendite sono diminuite di circa 50 mila ducati l’anno, 98

e con questo pretesto si restringe il numero degli impiegati, si espellono bruscamente, dopo tanti anni di servizio, poveri padri di famiglia.

11. Né con miglior successo influisce il governo ne’ più civili istituti di educazione muliebre de’ Miracoli, e di S, Mar Cellino, le cui maestre ricusandosi a prestare il giuramento di fedeltà al nuovo governo subalpino, vengono brutalmente espulse e con 20 carabinieri d’ordine del medesimo a’ 7 gennaio: la durezza dell’atto commuove a segno uno de’ membri del consiglio direttivo cav. Ferdinando Cenni, che indegnato nello stesso giorno rifiuta di tener quello uffizio, e se ne di mette. – E le alunne a’ 14 del mese stesso, anniversario del re Vittorio Emmanuele, si rifiutano fermamente a recarsi m chiesa pel Te Deum, che si pretende far loro cantare, ed invece si chiudono nelle stanze ad intuonar cantici pel re Francesco II; – ciò che forma oggetto d’interpellanza nella tornata parlamentare de’ 18 marzo pel deputato Mandoi-Albanese; e il ministro Mancini risponde, che le 28 alunne ribelli e reazionarie, come figliuole di borbonici, sarebbero state, per castigo, a costoro rimandate. – Per questi. avvenimenti è fatto condannare da’ tribunali monsignor Tipaldi Vicario Generale della curia arcivescovile napoletana a 13 mesi di confino, e 1500 lire di multa. Ed i giornali de’ 23 aprile annunziano di essersi interessati i cuori generosi a favore di codesto prelato, facendogli offerte di danari ed oggetti preziosi in proporzioni cosi larghe da sorpassare di molto la cifra della multa di condanna».

Le prepotenze governative non intimidiscono le altre alunne, che nell’ottobre si rivoltano contro le nuove istitutrici piemontesi, ricusando di obbedir loro.

12. Concorrono ben altri avvenimenti da dimostrar il colmo del malcontento.

Per Sicilia, il disgusto e generale nella provincia di Girgenti contro quel prefetto Flaconcini, eccessivo nelle violenze, e nelle misure arbitrarie (lo dice il Precursore di Palermo). 99 – A Catania (scrive la Tribuna) i reali carabinieri perlustrando in una delle sere di marzo presso Leonforte, ricevono una scarica di fucilate, ed uno ne rimane ucciso. Un altro ferito, un terzo è salvo perché colpito su la placca metallica, al quarto si fa saltare la spallina dello uniforme.

Nella stessa sera nel posto di guardia nazionale del comune di Paternò sono ridotte in pezzi le statue del re Vittorio Emmanuele, e di Garibaldi, e la bandiera tricolore italiana.

Palermo è indignato per l’atto arbitrario commesso a’ 18 dicembre a danno della pacifica famiglia di Pietro Ruisi (sezione mulino a Vento): uno stuolo di carabinieri e di guardie di polizia ne sfondano violentemente la porta di casa, invadono le stanze interne, si fruga da per tutto, si minaccia di vita chiunque parla per protestare; si mena in carcere il Ruisi con due suoi inquilini; ma nel dimani il questore si vede nella necessità di rilasciarli liberi; perché si è preso uno sbaglio!

L’Indipendente de’ 23 luglio pubblicai «che la imposta sul sale e tabacco abbia prodotto nel popolo una specie di uragano, seguito da calma mortale in Napoli, e nelle provincie. ne’ comuni di Squillace, Cardinale, Palermiti, Caringa, ed in molti altri paesi ha luogo una ribellione gridando abbasso le imposte; con altre voci di odio contro il nuovo governo; – a Chiaravalle, terribile sollevazione con scuri, falci, e fucili: – in Taranto vi è fermento preludio di ribellione: – a Quisisana si lanciano sassate sul posto di guardia nazionale».

In uno dei giorni del mese stesso nella strada di Toledo è bastonato un deputato de’ moderati; – e corre voce, che un altro della dritta sia stato pugnalato per tradita missione: «Noi diciamo (scrive la Gazzetta di Napoli) che questi signori hanno giocato una brutta partita, gittando la patria nello squallore, e nella disperazione: alla infamia che porta seco il tradimento, si aggiungono le cieche vendette de’ popoli». 100 «L’avversione contro la nuova legge del registro e bollo (dice il Popolo d’Italia de’ 13 maggio) si sfoga nella provincia di Salerno con una petizione ricoperta da moltissime soscrizioni, nella quale si fanno voti al re, perché non sanzioni codeste tasse, che si dicono gravissime per le Provincie meridionali non necessarie, e fomentatrici del crescente malcontento generale» (1).

Nel suddetto comune di Squillace a’ 27 agosto si rinnovano i tumulti contro il governo, che se ne vendica con molti arresti.

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Ne’ principi di novembre (annunzia il Nomade) una sommossa popolare scoppia in Ururi, comune della provincia di Molise, e da Foggia vi accorre truppa piemontese, con cavalleria, e due cannoni; La sostituzione della moneta piemontese all’antica moneta napoletana dà motivo ogni giorno a contestazioni, e mormorazioni popolari, non volendosi generalmente ricevere il nuovo danaro con la impronta del re Vittorio Emmanuele; per cui il governo è costretto a modificare il decreto che pel 1 novembre aboliva il corso delle antiche monete, e adotta un mezzo termine riguardo a quelle di rame, ordinando che dovranno essere ricevute dalle casse pubbliche ed aver corso al cambio per un tempo indeterminato: quanto alle monete d’argento, continueranno ad aver corso a Napoli come per lo passato».

Le popolazioni delle due Sicilie non possono facilmente dimenticare, (comecché il segretario generale Nigra avesse dato ad intendere in una sua relazione a Cavour che mancava il reame di buona moneta ad uso piemontese) (1) È stata dimostrata nel parlamento dal deputato de Luca la durezza, la fiscalità, la ingiustizia di questa legge, infesta per la sua essenza all’amministrazione della giustizia, sopratutto per le liti di tenue valore, che sono nel reame le più numerose, e più interessano il minuto popolo. La Camera di disciplina degli avvocati napoletani ha già esposti in luce gli altri disordini delta legge stessa, uno de’ quali è di far pagare per lo stesso ed unico credito quattro volte la tassa nel corso di un giudizio civile, dal dì della sentenza di condanna fino al compimento del giudizio di spropriazione di beni. 101

che nel 1860 tenevano depositati al solo Banco diciannove milioni di ducati come ha riferito il Sacchi; oltre più di 200 milioni di ducati (de’ quali 45 né furono coniati nel 1856 rifondendo i pezzi francesi di cinque franchi) che stavano in circolazione per negozii e per le bisogne quotidiane della vita. – La quale enorme quantità di denaro (quasi mille milioni di lire) superava proporzionatamente quella che è in Francia ascendente a 2200 milioni di franchi, giusta il calcolo del ministro Fould.

13. Gravi turbolenze accadono in Napoli, motivate in parte per la repressione del governo contro i primi movimenti garibaldini dì Sarnico, con tumultuose dimostrazioni, che invano tentano di infrenare le forze nazionali, militari, e di polizia, nella sera de’ 19 maggio, quando il re Vittorio Emmanuele si reca al ballo offertogli dal municipio nel palazzo del marchese del Vasto: – molti gridi si fanno nel rincontro, fuorché quello di Evviva al re, il quale affretta, ed anticipa la partenza da Napoli, e subito si restituisce a Torino: seguono per più giorni ad affiggersi cartelli sediziosi. Il Popolo d Italia de’ 21 maggio nello accennare a codesta imponente dimostrazione, nella quale dice esservi i cittadini d’ogni ceto, e le associazioni d’ogni coolore, si lamenta del noto Odoardo Pancrazi capitano della guardia nazionale, che ordinava a’ militi di far fuoco contro il popolo; e lagnasi pure degli altri uffiziali de Cesare, e Martinelli per aver usato modi inconvenienti alla divisa cittadina; per lo che il deputato Nicotera stampa una lettera rimandando il fucile, e la daga al maggiore del 4. battaglione della guardia nazionale, della quale rinunzia di far parte, «avendo la compagnia del detto Pancrazi consumato il più vergognoso delitto, quello cioè di rivolger le baionette contro un popolo inerme».

Reduci da Sicilia, arrivano in Napoli i principi figli del re Vittorio Emmanuele, ed a’ 16 luglio visitano il Duomo, ohe rimane deserto al loro apparire. 102 – Quale fosse in questa occasione lo spirito pubblico vien descritto dal giornale napoletano la Pietra infernale: – «Sono arrivati i Principi. Il popolo li ha guardati; ha veduto in uno di essi il futuro reggitore de’ destini della nazione. E il popolo ha scosso il capo! È rimasto assorto, inerte, apato. L’Osanna suona fievole sul labbro del popolo tradito, Sì, o principi, questo popolo fu tradito; bassamente, turpemente, codardemente tradito. E i traditori, voi lo immaginerete, furono quei che pretendono governarlo nel nome di Vittorio Emmanuele; e che nel tradire il popolo, tradiscono Vittorito Emmanuele stesso e l’Italia. Ci si promise di migliorare le spirito del popolo, ci si disse volerci moralizzare. Fu bestemmia questa parola; noi la udimmo, e il sangue ci bolli nelle arterie. Raccapricciammo a tal parola; e quando vedemmo i fatti di seguito, allora, come Ugolino stemmo tutti muti! – Ci si insultò prima; e poi spogliati, abbandonati, vilipesi, ridotti come un popolo su cui pesi In maledizione di Dio».

Essendo questo l’universale sentimento nelle provincie meridionali, non dee far meraviglia, se il prefetto Lamarmora abbia fatto consegnare pieghi sigillati in tutti i posti militari da aprirsi ad ogni menoma insurrezione; – se il ministro della guerra nella tornata del parlamento de’ 22 novembre abbia fatto comprendere che per frenare le provincie meridionali non bastino ancora i centoventimila soldati, che vi fa stanziare (1); – e se in novembre approdando in Napoli i reali principi d’Inghilterra, e di Prussia, abbiano uditi i veri gridi di dolore di quelle popolazioni (gridi ben diversi da quelli che le fazioni vollero far credere giunti a Torino ne’ decorsi anni, per dare un pretesto alle piraterie, ed agli assassini politici), (1) Risulta da documenti autentici, che sotto l’antico governo Borbonico 60 mila soldati componevano tutto l’esercito, ed erano più che sufficienti a mantenervi l’ordine, e la tranquillità; e sotto l’attuale governo subalpino non ne bastano 120 mila; e stanno per arrivare a Napoli altri 10 mila. 103 nella quale occasione è presentato alle Altezze Loro un indirizzo, dove è marchevole il seguente tratto:

– «O magnanimo, erede della corona di Prussia! Non attristarti alla vista delle nostre calamità, riversate dalle sette infernali in queste, un di fiorenti contrade. Ma quando farai ritorno presso l’Augusto Genitore, ricordati della nostra desolazione, ricordati di noi! Gli dirai, che Napoli è travolta nel pianto, oppressa da feroce dominazione, avvilita, deserta! Gli dirai, che il reame è retto con verga di ferro da spietati manigoldi in divisa di soldati! Gli dirai, che sono ancora fumanti le rovine di 27 nostre città, bruciate dal furore piemontese; le opulente contrade insanguinate e manomesse; le campagne biancheggianti di ossami di migliaia d’innocenti moschettati; le prigioni stipate di centomila infelici; il reame deserto e squallido, ove miriadi di miseri spogliati d’impiego, senza tetto, senza sicurtà, domandano pane, e pane non hanno! Gli dirai, che per libertà la servitù, per legge l’arbitrio, per prosperità la miseria, per benessere sociale tutte le calamità, ne ha regalate il Piemonte! Gli dirai in somma che siamo orfani senza padre, cittadini senza patria, desolati senza conforto, infelici senza sollievo…».

14. Nella elezione delle individualità alla rappresentanza legislativa nel parlamento molto si è gridato per colpe di corruzione: si è detto, che trafficavano per sé, e per gli altri; si è menato scalpore per l’abuso del privilegio di viaggiare gratuitamente, e molte cose anche peggiori. In una recentissima opera (1) è esposta ne’ seguenti termini la opinione che ha il pubblico napoletano sul proposito: – «Era bastante a togliere al parlamento ogni credito, il vedere l’aula parlamentare divenuta una specie di arena, o di circo, dove politici gladiatori si contrastano il potere con incredibile scandalo della nazione spettatrice; (1) Delle presenti condizioni d’Italia dì E. Cenni pag.266. 104 l’osservare la nessuna serietà delle discussioni, in cui si è disceso a scene indegne, non diremo di uomini politici, ma di uomini ben educati; lo scorgere la niuna ponderazione con cui si sono adottati provvedimenti, e leggi importantissime; ed in K fine la vergogna mille volte rinnovellata, di non essersi potuto andare alla votazione, perché non presenti moltissimi, alla quale non si è pervenuto a mettere argine, ad onta, che si fosse minacciato di far pubblicare nel giornale ufficiale i nomi degli assenti. – Per noi napoletani vi è poi una ragione specialissima. Si è in mille occasioni pubblicamente calpestato nel parlamento il nome napoletano, e non si è alzata una voce a difendere questo nobile popolo; – si sono lanciate filippiche violente, e lo diremo ancora bugiarde, contro la corruzione, la ignoranza, la intemperanza, e la incapacità civile de’ napoletani, e non vi è surto alcuno, che abbia raccolto il guanto, e rintuzzato le indegne calunnie. Con qual nome la società civile darebbe qualità ad un figlio, che ascoltasse pubblicamente svergognare sua madre senza difenderla?… Si sono assalite screditandole e deridendole le nostre migliori instituzioni, e da’ nostri deputati si sono lasciate combattere, e distruggere senza contesa: – Che più? si è apertamente oltraggiata la religione de’ nostri padri e non si è sciolta una lingua per rimbeccare la stessa? E son questi i rappresentanti nel 1862 del popolo napoletano, e del popolo napoletano cattolico? Quali esempli hanno tolto ad imitare i nostri deputati, forse quello de’ deputati di Francia, d’Inghilterra, di Spagna, di Russia?- No, essi hanno il tristo vanto di essere esempio unico, ma non lodevole, nella storia parlamentare de’ popoli civili!

15. I due cambiamenti di ministero, in marzo, e dicembre dell’anno 1862, costituiscono un fatto gravissimo, che dimostra il completo disordine governativo. Si veggano i ministri nascere, e morire indipendentemente dal parlamento, fuori di esso, e senza di esso; 105 ciò che ripugna alla essenza ed al meccanismo del governo costituzionale, donde trae argomento il deputato Ferrari, nella tornata del 30 novembre per esclamare: – «Noi abbiamo un parlamento, giornali e e tutto il corredo che fa parere libertà un vano cicaleccio» – E nella tornata del precedente giorno il medesimo deputato rinfacciava al governo: – «….. voi inteso a guadagnar terre e città, avete posta in non cale la forza del nuovo regno d’Italia perdendo di divinità per quanto avete cercato di estendervervi in territorio».

Ecco come il Times parla della caduta di Rattazzi: «Gl’italiani non trovano parole abbastanza forti ad esprimere la loro avversione per il caduto ministero – Rattazzi incoraggiò dapprima, combatté di poi Garibaldi tutta l’Italia gli rinfaccia questo doppio tradimento».

E la condizione delle due Sicilie è così compendiata dal Nomade degli 8 dicembre. «Intanto in queste misere lotte di partiti, gli uomini si sciupano, ed il paese è condannato ad assistere per parecchi mesi ad una commedia ministeriale, che farebbe ridere se non fosse doloroso questo disprezzo delle nostre istituzioni e te.».

Nel quale sentimento è unisona la Democrazia de’ 3 del mese stesso: «Lo sfiduciamento, e, apatia sono succedute alle liete speranze; il commercio è deperito, la sicurezza pubblica è distrutta, i briganti numerosi, e fieri scorrazzano a lor piacimento; le finanze esauste; l’ordinamento (interno incompiuto) le sette agitanti, e cospiranti contro lo Statuto, ed il re; il governo senza vigore. Aggiungasi a tanta rovina la immoralità dell’amministrazione interna, lo sprezzo de’ diritti anche i più sacri, il disavanzo di settecento e più milioni; e vedrassi se un Farini, ed i notissimi Consorti possono, anche volendo, preservare il paese dalla terribile catastrofe, che lo minaccia. Per tutti i ministeri è una confusione indicibile: il partito de’ ministri caduti, che sia ancora negli impieghi, avversa i presenti. 106 «Sono sparite molte posizioni interessanti nel dicastero dell’interno: Farini sta quasi sempre in letto; per cui si prevedono prossime dimissioni».

Il nuovo gabinetto, non solo non rincuora la pubblica trepidazione, perché lo si designa come un narcotico per la opposizione; ma inspira piuttosto maggiore sfiducia. Il Farini, così si esprime tra i molti giornali, che gridano tutti in un metro, il Popolo d’Italia il Farini impiantò quel sistema, che fu la rovina delle provincie meridionali, il disordine nella amministrazione, la speranza negli antichi partiti. Lo Spaventa, di questa fu l’energico, ma abborrito, braccio. Non conosciamo ancora quali uomini di Stato ed amministratori il conte Pasolini, e Michele Amari. Pisanelli venne accusato di aver messa infelice base al personale della magistratura. – Al Manna volgiamo preghiera, che il ministro non ricordi lo autore del regolamento doganale. de’ signori Peruzzi, Minghetti, e della Rovere si è a lungo parlato e le tante volte pel passato, e non mai per encomio».

Ed appena nato, già corre voce, che il Farini, ed altri ministri si ritireranno, designandosene finanche i successori: cadano, e si succedano i varii ministeri italiani, semprepiù diminuisce nelle popolazioni d’Italia la fiducia ne’ lumi de’ nuovi padroni, nella stabilità della loro opera, e ne’ destini delle popolazioni stesse.

Nella tornata del 15 dicembre il deputato Guerrazzi definisce essere un musaico il nuovo ministero, per la varietà delle opinioni: – chiama Saturnia la maggioranza della camera attuale, e questa non rappresentante le vere aspirazioni del paese; per cui consiglia ironicamente a’ deputati di tornare a’ loro focolari, coperti di allori; notando da ultimo che per le condizioni del napoletano la concordia era un abisso.

Il fatto viene in appoggio di ciò che dice il Guerrazzi; lo si dimostra dalla scarsezza scandalosa, e dal numero infinitesimale di elettori ne’ collegi elettorali: 107 valga per ultimo esempio, che in dicembre nella sezione Mercato in Napoli (di oltre i 180 mila abitanti) per la elezione del deputato al parlamento, il candidato Paolo Cortese s’intende nominato con 43 voti, mentre il suo competitore ne riunisce 41. Questo è dunque il popolo rappresentato da tali rappresentanti! II. STATO D’ASSEDIO. 1. Il governo subalpino, che vede tutto minaccioso nelle Provincie meridionali, e che non sa più trovare energia in se stesso nella legge, (come confessa la stessa Gazzetta di Torino) la cerea al fine fuori di se stesso e fuori della legge, delegando cioè poteri assoluti ad un generale, e sospendendo le guarentigie costituzionali «osando appellare efficace provvedimento lo stato d’assedio: amara derisione, con la quale si ripagano due anni di sagrificii di sgoverno, e di guerra civile».

È l’Opinione di Torino del 23 settembre osserva: – «ciò non toglie, che si biasimi altamente, e si condanni il ministero che non seppe prevedere, né provvedere a tempo, ed ha lasciato che le cose trasmodassero per guisa, che lo Stato d’assedio divenisse una necessità, e la SOLA ANCORA DI SALVEZZA a provincie travagliate dalle più serie agitazioni».

Al che fa eco l’Indipendente di Napoli de’ 14 del mese stesso: – «I malumori, che covavano da lungo tempo si sono scatenati alla prima occasione: ma lo stendardo di tutti è uno, la guerra sociale, la guerra del povero contro il ricco: colonne mobili percorrono le provincie siciliane in tutti i punti, e si fanno tutto giorno delle fucilazioni».

Il Corriere Siciliano da Palermo a’ 2 agosto aveva già sentenziato: «Giammai il governo si mostrò più improvvido, e senza tatto come in questa occasione. Gli arruolamenti si fecero in Sicilia da un mese circa cosi palesemente, 108 i mezzi si prepararono tanto allo scoverto, che niuno negli ultimi tempi poté più dubitare, che tutto procedesse con la tolleranza implicita del governo».

Il pubblico allarme in Sicilia è tale, che la Mola, altro giornale palermitano, grida contemporaneamente «Sire, vi hanno ingannato, Sire, voi siete tradito… è tradita l’Italia! I vostri ministri non sanno quel che si facciano; lungi di farvi amare, di tener vivo il sacrosanto fuoco della concordia, essi agitano la fiaccola della discordia, da quella fiamma nascerà la guerra civile che arderà, distruggerà la patria».

Invano il generale Gugia, nuovo prefetta di Palermo, dopo il subitaneo richiamo del Pallavicini, col proclama dei 6 agosto cercherà blandire e mitigare le ire delle sicule popolazioni, tra le quali, egli deplorerà, che «fatali illusioni abbiano suscitate tremende agitazioni» – perocché si renderà indispensabile la proclamazione del regio decreto da Torino de’ 17 del mese stesso, in questi termini: – «1. La città di Palermo, e tutte le provincie della Sicilia sono dichiarate in istato di assedio – 2. Il generale Efisio Gugia, i prefetto di Palermo comandante militare dell’isola di Sicilia, è nominato nostro commessario straordinario con i più ampii poteri: tutte le autorità civili e militari sono poste sotto la immediata di lui dipendenza».

E il Gugia in conseguenza, con sua ordinanza del giorno 20 riconosce la esistenza dell’aperta ribellione, occasionata dalle bande capitanate da Garibaldi, e dispone: – «1. Il territorio dell’isola dì Sicilia è postò in istato d’assedio – 2. I generali comandanti le truppe della divisione di Palermo, e delle sotto divisioni di Messina e di Siracusa riuniranno ne’ limiti delle rispettive circoscrizioni i poteri militari, ed i civili – 3. Qualunque banda armata, e qualunque riunione tumultuosa sarà sciolta con la forza – 4. Al generale comandante le truppe di operazione sono conferiti gli stessi poteri nel territorio occupato da questa 109

– 5. La libertà della stampa è sospesa pe’ giornali, ed altri fogli volanti: l’autorità di polizia farà procedere allo arresto di chiunque stampi, o distribuisca simili fogli».

Né bastando queste misure di rigore, altre di maggiore intensità ne adottai il generale Brignone, che ordina – «1. lo immediato generale disarmo nelle provincie di Palermo, ed in tutta la Sicilia; – 2. proibita la esposizione, e vendita di qualunque specie d’ arma offensiva; – 3. consegna fra tre giorni di tutte le armi; – 4. i contravventori arrestati, e secondo i casi fucilati».

Ciò non di meno Garibaldi (che occupa una gran parte nell’anno 1862) dichiarato ribelle con la riferita ordinanza, nella fine del mese stesso prima di partire da Catania si impadronisce del denaro (25 mila lire) esistente nelle regie casse occorrente pe’ più urgenti bisogni di quella comunale amministrazione; e progredisce a dar opera per là totale insurrezione della Sicilia. Una protesta de’ 21 detto mese di agosto firmata da’ compilatori de’ giornali siciliani La Campana della Gancia, l’Unità politica, l’Arlecchino, la MolaRoma e Venezia:, è pubblicata contro i rigori dello stato d’assedio, che chiamano la più orribile violazione dello statuto; e contro le perquisizioni domiciliari eseguite nella precedente notte dalla questura nei loro domicili, e presso il maggiore della guardia nazionale di Palermo, principe S. Vincenzo, ed altri; e conchiudono: – «Intanto sappia il governo, che le repressioni non ci spaventano,, e che noi. soldati della democrazia, e sentinelle avanzate del popolo non dìserteremo il nostro posto, fermi aspettando, che gli eventi ci dieno ragione: perocché al di sopra degli arbitrii governativi, e della forza bruta, vi ha io spirito della nazione nel cui trionfo completo confidiamo».

Di più violento dettato sono i proclami che fa circolare il comitato segreto nazionale con la data del 2 ottobre contro il governo piemontese in Sicilia che possono leggersi nella Opinione di Torino n. 282) ne’ quali risaltano questi periodi: 110 – «……… i vili siete voi del governo, e non il popolo di Palermo, che per giusta vendetta contro voi ricorre al pugnale. Lo stato di assedio è inflitto a solo oggetto dì soffocare i giusti lamenti della libera stampa, e per per seguitare in tutti i modi, e con tutti i mezzi. A voi, per governare dispotizzando, non basta la legge, e ricorrete allo stato d’assedio!… Voi ricorrete alle baionette, alle arbitrarie e selvagge fucilazioni…. Tutto prova, che la Sicilia è stata tradita… e nel giorno della lotta, che non è lontana, non dimentichiamo i nostri nemici, trattiamoli come meritano, avanti che fuggano. Il comitato vede prossimo il tempo in cui potrà dire: All’armi! L’ora della giusta e santa vendetta è suonata!…»

2. Simultanei a’ movimenti della Sicilia sono i gravi fermenti delle provincie napoletane, dove a’ 20 agosto si pubblica un regio decreto all’intutto consimile a quello già imposto alla Sicilia, investendosi il prefetto di Napoli generale Lamarmora degli ampii poteri; – e questi nel susseguente giorno 25 vi pubblica una ordinanza che essendo di maggior latitudine di quella disposta dal Cugia per la Sicilia, è pregio della opera di qui trascrivere: – «Uomini sovversivi, associatisi ad una setta fatale all’Italia, violando lo statuto del regno, sprecando gli ordini del re, e i voti di parlamento, sotto pretesto di affrettare il compimento della patria unità, hanno riuscito (sic) ad accendere la guerra civile nella vicina Sicilia: Garibaldi loro duce, dopo aver innalzato lo stendardo della rivolta, compromessa una patriottica, ricca, popolosa città, abbandonati i giovani inesperti ed illusi che seco avea tratti, si è gittato sul continente, e minaccia travolgere nella anarchia anche queste provincie. Il governo ha il sacrosanto dovere di salvare il paese da simile sciagura, dì mantenere incolumi i diritti della corona, ed impedire che sieno compromessi i principii consacrati dallo statuto e da’ plebisciti: il governo ha quindi il diritto di valersi di mezzi eccezionali per soffocare la rivolta ovunque si manifesta. 111 In virtù pertanto de’ pieni poteri conferitimi, dichiaro 1. Il territorio delle 16 provincie napoletane ed isole dipendenti è posto in istato d’assedio; 2. I generali comandanti le divisioni o zone militari riuniranno ne’ limiti delle rispedite circoscrizioni territoriali i poteri politici, e militari; 3. Qualunque attruppamento fazioso, e riunione tumultuante saranno sciolti con la forza; 4. Tanto l’asportazione quanto la detenzione non autorizzata d’armi d’ogni specie sono vietate, sotto pena d’arresto, e i detentori dovranno perciò farne la consegna entro tre giorni della pubblicazione di questa ordinanza al rispettivo o al prossimo comando militare; 5. Nessuna stampa, pubblicazione, distribuzione di giornale, fogli volanti o simili, può aver luogo senza una speciale autorizzazione dell’autorità politica locale, la quale avrà inoltre facoltà di sequestrare,; sospendere, o sopprimere qualsiasi pubblicazione».

3. A compruovare la impressione prodotta dallo 8tato d’assedio su lo spirito pubblico nel napoletano concorrono i seguenti documenti 1. Lettera del deputato Ricciardi de’ 2′ settembre pubblicata dal giornale genovese il Movimento, nella quale, dopo aver reiette le calunnie che egli dice sparse per cura del governo, si esprime cosi: «Arrestati in un modo sì mostruosamente incostituzionale i deputati Fabrìzi, Mordini, e Calvini, rinchiusi tuttora nel Castel dell’Ovo, senza che il nostro Bascià generale Lamarmora abbia mai voluto concedere ad alcuno di noi il visitarli; mentre io durante gli otto mesi vissuti in Castello S. Elmo (1834-1835) e senza essere deputato, sotto lo scettro di Ferdinando II e del celebre Delcarretto, ebbi agio, sebbene imputato di cospirazione, di vedere spesso e parenti ed amici. E poiché ho accennato del governo borbonico ricorderò che re Ferdinando, vincitore della sollevazione del 1,5 maggio 1848, non osò pure far sostenere nessuno de’ deputati (tra i quali io avevo l’onore di annoverarmi) quantunque la camera non fosse per anco costituita, 112 ed un comitato rivoluzionario fosse stato eletto nel di lei seno, e parecchi fra i di lei membri avessero apertamente cospirato contro la potestà regia. Gli arresti de’ deputati non cominciarono, se non dopo il 14 marzo 1849, giorno, in cui venne sciolta la camera. – Era dunque serbata al governo del re d Italia, al suo ministero, fu la gloria di fare ciò che Ferdinando II non ardì nel 1848! L’arresto de’ miei tre colleghi è l’atto più enorme, che sia stato commesso, non potendo mostrarsi nel, caso loro per verun modo la flagranza.. Mostruoso è pure il prolungamento dello stato d’assedio, quindi la sospensione di tutte le guarentigie costituzionali… Né val allegare la necessità di spegnere la camorra, e il brigantaggio, che male si spegne la prima piaga co’ modi arbitrarii, e il secondo non si supera col terrore, e con le fucilazioni sommarie e senza giudizio (spesso di soli sospetti) siccome avvenne pur troppo finora…. Di questo poi sopratutto io vorrei che si persuadessero i governanti di Torino, di aver cioè perduto affatto il cuore delle 23 provincie italiane, le quali costituiscono l’ex-reame delle due Sicilie; immensi danni avendo elleno ricavato, è nessuna specie di beneficio».

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2. Altra lettera del medesimo deputato Ricciardi de’ 13 ottobre fu pubblicata nel Diritto di Torino de’ 23 del mese stesso, nella quale censura il governo che tiene schiava la stampa in Napoli, durante lo stato d’assedio, fino ad impedire la pervenienza de’ giornali esteri per la posta; del che avendo egli creduto scrivere al ministero dell’interno in Torino, dolendosi in pari tempo della prolungata prigionia dei tre, deputati, n’ebbe in risposta: – «dovere il governo di Torino stare ed giudizio della autorità locale di Napoli» per cui esso deputato Ricciardi osserva: trovarsi l’ex-reame delle due Sicilie sotto la dittatura del proconsole militare generale Lamarmora; 113 – in balìa della potestà militare, anzi al capriccio di un uomo solo: … né mai colà l’arbitrio governativo si fece più gravemente sentire, quanto dal 25 agosto, giorno in cui fu bandito quivi lo stato d’assedio».

3. Una terza lettera nel cennato giornale il Diritto 29 ottobre fa inserire l’anzidetto deputato nella quale dice, che «con lo Stato d’assedio e principalmente a cagione dello Stato d’assedio il brigantaggio è così cresciuto, che le popolazioni si veggono spinte alla estrema disperazione; tal che guai all’Italia, ove la guerra venendo a scoppiare in sul Mincio, un pretendente qualsiasi si presentasse in questi paesi con un po’ di forza ben ordinata».

4. Apostrofe del deputato Filippo De Boni che nel ripetuto giornale il Diritto de’ 17 dello stesso mese dice: – «mezza Italia è governata sempre da legge marziale: fu stabilito per legge, da chi non potrebbe farla, non esservi legge, salvo il fucile e l’arbitrio di alcuni, i quali credono, e fanno supporre all’Europa, che in Italia vi sieno milioni di briganti».

5. Il giornale napolitano il Paese, del 16 settembre dice: «lo stato d’assedio non ha prodotto alcun buon effetto: i fatti di guerra civile sono più frequenti di prima. Ricatti, fucilazioni, incendi, distruzioni di greggi, ne accadono alla giornata, ed in tutti i punti. I contadini di molti paesi non possono più andare in campagna per la coltura de’ campi, tanti sono i pericoli dell’uscire di propria casa».

6. Petizione al generale Lamarmora direttagli dall’intero ceto commerciale napoletano, e pubblicata ne’ giornali: – «Il brigantaggio (essi dicono) non ostante lo stato d’assedio prende un carattere cosi fiero; che colpisce gl’interessi più vitali della società, e precipuamente agl’interessi commerciali. I corrieri arrestai, le valigie bruciate, i viaggiatori assaliti ed assassinati, le vetture, che trasportano le mercanzie nelle provincie, giornalmente svaligiate! 114 Ecco le notizie, che riceviamo da molti punti della provincia. Tutte le relazioni sono interrotte, le città sono isolate fra loro, e gli affari, che erano giù si languenti, sono presentemente come morti».

4. Durante lo stato d’assedio allarmanti telegrammi pervengono a Torino su le progressive turbolenze nelle Provincie meridionali. – Un dispaccio annunzia esservi stata dimostrazione a Palermo nella sera de’ 31 agosto sull’imbrunire, ed aver dovuto la truppa occupare varii punti della città. Ai 3 settembre vi si reiterano altri disordini, a’ quali porge pretesto, almeno in parte, l’arresto di parecchi individui per cause politiche: vi succedono proteste e proclami sediziosi: i carabinieri accorsi a lacerare i proclami vengono insultati dal popolaccio; – s’impegna una zuffa, nella quale alcuni carabinieri rimangono feriti: si prepara per la sera de’ 4 un altra dimostrazione. – A Canicattì avvengono torbidi tilla stessa data – (Dispacci della Perseveranza di Milano). – A Collebuono, a Trapani, a Girgenti, nell’isola di Ustica avvengono serii disordini: si abbassano, e spezzano gli stemmi piemontesi, s’incendiano gli archivi, si abbruciano le corrispondenze della posta, e si organizza presso Ustica una specie di pirateria. (Politica del Popolo de’ 9 settembre).

Gli arresti aumentano a Napoli in grandi proporzioni. I deputati Nicotera, Miceli, Missori, temendo esservi imprigionati, fanno correr voce di essersi imbarcati per Malta, e si celano. L’arbitrio militare regna da per tutto. Il Sindaco della città di Vasto corre pericolo di essere bastonato da un chirurgo militare del 42.°’ reggimento di linea, che gli alza il bastone su la persona in atto di percuoterlo: il Sindaco, e la giunta municipale si dimettono io massa. I Sindaci dei varii comuni del Gargano son tenuti a pane ed acqua; – quello di Serracapriola (Puglia) è battuto; il Sindaco ed il capitano della guardia nazionale di S. Paolo in Capitanata, son ligati da’ carabinieri, 115 e condotti in arresto; altri atti prepotenti si commettono, come chiaramente accenna il deputato Ferrara nella tornata de’ 29 novembre. (riportato il discorso nella pagina… ne’ primi paragrafi della guerra civile).

Il governo di Torino ne impone al Supremo collegio di Magistratura qual è la Corte di Cassazione per pronunziare sullo avviamento da darsi alla procedura penale a carico di Garibaldi e suoi seguaci. (Vedi sopra art.1. § 4. sui disordini e prepotenze governative).

5.° Nel parlamento varii deputati napoletani emettono i seguenti giudizi sullo stato d’assedio.

Il deputato Crispi (tornata de’ 20 novembre). «Le guarentigie costituzionali, non solo furono tolte dallo stato d’assedio; ma furono altresì disprezzate indegnamente e conculcate (applausi dalle tribune, il presidente le ammonisce, minacciando farle sgombrare). La soppressione della libertà della stampa, e le ordinanze di certi generali, peggiori assai di quelle de’ generali borbonici… (scampanellate del presidente, rumori)… Si peggiori assai di quelle de’ generali borbonici sono state le ordinanze di certi generali piemontesi, e lo provano le minacce di fucilazione che essi fecero nelle medesime. Ora io domando, se dopo tutto ciò non avessi ragione di dire, che le guarentigie costituzionali vennero tolte dallo stato di assedio. Non solo si è impedito dal governo durante codesta misura, di manifestare le opinioni a lui contrarie, ma si è impedito di leggerle finanche m que’ fogli provenienti dai luoghi, dove non vi era stato d’assedio. Ripeto, ohe le ordinanze de’ generali Ricotti, Arduino, colonnello Eberhart ricordano quelle de’ generali tedeschi, e superano quelle de’ generali borbonici».

Nella susseguente tornata de’ 21 novembre il deputato Massari tra le molte cose, dice; «Lo stato d’assedio è il maggiore insulto, che si avesse potuto fare alle popolazioni delle Provincie meridionali. 116 – Fra i suoi deplorabili effetti, il più fatale è stato quello di aumentare il caos amministrativo, che era già grandissimo. Basta andare in que’ paesi,, e sentir parlare gli stessi funzionarii governativi per convincersene più che mai. L’autorità militare, si trova investita di poteri straordinari, l’autorità civile si trova costretta a dipendere dall’autorità militare: ne nascono conflitti d’ogni genero ed imbarazzi… A che è servito lo stato d’assedio? A far proibire tutti i giornali di opposizione, – a molestare gli operai, a far perquisizioni, scioglimenti di guardie nazionali come è accaduto a quella di Trani, sol perché aveva a maggiori due patrioti della società emancipatrice; – un altro patrocinatore di Trani è stato in carcere 45 giorni, senza sapere perché; ed io stesso ho corso pericolo di essere, arrestato,; tanto sono in corso le denunzie anonime…. Né si dicea, che queste sono esagerazioni; seggono in questo recinto molti e molti onorandi miei colleghi, che vengono da quelle province, ed essi confermeranno a pieno ciò che dico. Dirò dirò anzi, che se v’è cosa, che offenda l’amor proprio delle nostre popolazioni, è di sentirsi dire e ridire continua«r i mente, che queste sono esagerazioni… No non sono esagerazioni sono fatti, fatti positivi, dolorosissimi, indù. bitabili. Io posso iissieurarvi, che quando ero in provincia, e leggevo i telegrammi, che si pubblicano su Gazzetta officiale, intorno al brigantaggio nel napoletano, che vogliono farlo credere distrutto, ci scemato; ve lo dico francamente. o Signori, mi pareva di sognare perché vedevo la realtà in una contraddizione cosi flagrante, cosi palpabile con le asserzioni contenute in que’ telegrammi. che veramente non mi poteva rassegnarci a credere con quale scopo sì divulgassero quelle notizie».

Il deputato de Cesare nella posteriore tornata de’ 22 novembre, dopo aver energicamente censurato il governo, soggiunge: – «Lo stato d’assedio ha prodotto nelle provincie meridionali, accuse, denunzie e calunnie contro gli onesti, 117 i quali rimasti disarmati divennero le vittime delle vendette de’ tristi: ecco quello che avvenne nell’Italia meridionale: il brigantaggio, a causa dello stato d’assedio è certamente aumentato. Ma io non attristerò la Camera con la descrizione delle scene di sangue, e di orrore, che colà si compiono. La guardia nazionale fa il suo dovere, ma non basta. Il ministro della guerra disse ieri, che vi sono laggiù 90 mila soldati; – oggi il deputato Boggio dice che ve ne sono 102 mila. A chi debbo credere?……. – Guardate la Capitanata (Puglia), questa ha 60 miglia di estensione: vi sono 800 briganti muniti si armi e di ottimi cavalli. Da quanti soldati sono essi inseguiti? Da 120 uomini!».

E nella tornata de’ 25 novembre il deputato Nicotera dice: «che con lo stato d’assedio, Reggio di Calabria fu minacciata di bombardamento, e vide postati i cannoni contro la città. – Catanzaro, Cosenza e tutte le altre provincie meridionali messe in istato di assedio e Napoli stessa fu minacciata di essere tratta come un’altra città (Genova) nel 1849.» – l’altro deputato Cairoli nella tornata soggiunge: «Lo stato d’assedio è la ferrea, o forse necessaria armatura della conquista, che passa su di un popolo come una maledizione; ma per un governo, che vuol essere civile, è un marchio di vergogna che va alla storia! – Sospensione di ogni libertà, impero della forza sostituito a quello della legge; calamità che lascia dietro di sé rigagnoli di sangue.; lo stato d’assedio è l’estremo rimedio da cui rifugge anche il dispotismo non usandolo che in caso di estremo pericolo».

6.° Per la riapertura del parlamento a’ 18 novembre nella vigilia, vien tolto lo stato d’assedio durato circa tre mesi, su di che il Diritto di Torino N. 220 osserva: «Non essendo oggi le condizioni dell’Italia meridionale mutate punto da quel che erano una, due, o più settimane addietro, il togliere stato d’assedio alla vigilia, 118 materialmente alla vigilia della riapertura del parlamento, non vuol dire altro, se non che il ministero ammette ciò, che l’opposizione va dicendo da mesi; cioè, che quello stato eccezionale, in cui, senza alcun beneficio era stata gettata mezza a Italia, era incompatibile affatto con i principii, e con la K essenza della vita costituzionale. In questo modo il voto di biasimo su l’operato del ministero comincia a partire, da lui stesso».

Osservando la imperversante continuazione degli atti governativi nella Sicilia, il Precursore di Palermo de’ 10 dicembre, dopo averne riportati taluni (che verranno inscritti nelle correlative classificazioni di questo lavoro) esclama…. «Lo stato d’assedio è finito, sì, o no? In carta si, in fatti no. Parrà incredibile, ma è cosa certa: fu arrestato un uomo, perché parlava male del governo!! Di questo passo dove andiamo?

Fatale alternativa a cui è ridotto il governo subalpino dopo le manifestazioni dianzi esaminate! – O Io stato di assedio più meno o permanente, o il riamicarsi col partito rivoluzionario, il primo non gli dà certamente pegno di doratura esistenza, e condurrebbe in breve i popoli ad una tolta disperata, e il governo stesso ad una rovina inevitabile ed ignominiosa. Il secondo capo della scelta (se pure è più possibile dopo lo spargimento di sangue fraterno e la. prigionia’ di Garibaldi) non procaccerebbe al governo, ohe piace effimera pel momento ma gli lascerebbe di sotto un vulcano ardente, che come prima si apra un’uscita, vomiterà’ fiamme da incenerirlo. Quale delle due parti si elegga, lo scioglimento della unità italiana sotto lo scettro sabaudo non è più un problema; è un evento immancabile.

Ed il giornalismo napoletano esclama: – «Diteci dov’è l’unità d’Italia? – Chi ritorna a tante madri, a tanti padri, a tante mogli, i figliuoli, il marito estinti? Chi ci ricostruisce le nostre città distrutte? – Chi asciuga le lagrime di tanti orfani? 119 –

Chi lava le mani rosseggianti del più funesto fratricidio? – chi ridona la ricchezza ai nostri campi devastati? Chi ritorna al nostro paese le sue inesauribili fonti d’oro, nelle quali si sprofondarono gl’ingordi, che ci rigenerarono con lo spogliarci, e col metterci un piede sul collo! – Dove sono le nostre sapienti istituzioni legislative, ed amministrative; i nostri codici patrii, frutto della sapienza, e degli studi de’ primarii ingegni napolitani; ammirati in Europa?» III. ANARCHIA «Un giornalismo sfrenato perverte lo spirito pubblico: le società emancipatrici stendono le loro radici come erba parassita dalla città al villaggio: – gli uomini del partito d’azione predominano, trionfano elle elezioni, sono preferiti ne’ posti lucrosi, collocati negli ufficii i più responsabili, gli uomini del governo li carezzano e ne sono sostenuti nelle lotte parlamentari: è uno scambio di favori, ma è anche una confusione di criteri: non si capisce più nulla, non si va più avanti, gli ordini emanati non sono più eseguiti, vi è incaglio in tutte le ruote della gran macchina: vi è anarchia nelle idee; – anarchia negli atti; – anarchia nell’alto, – anarchia nel basso; – mentre nel palazzo del Signore, come nella capanna del contadino, dal bivacco de’ reazionarii, come dalla bottega dell’operaio, non si cospira che ad un’opera sola, di disordine, e di distruzione. Al fondo di questo rimestamento turbinoso, si agita, putrido fecciume, la camorra» (Gazzetta di Torino de’ … settembre).

Su lo stato anarchico delle provincie meridionali e su la vantata unione italiana sorge quasi spontanea nella mente dello imparziale osservatore questa antitesi sinottica:

120 Se l’unione fa la forza, L’Italia dovrebbe essere fortissima, concorde, tranquilla, lieta e nel colmo della beatitudine!

Se l’unione e partita datila concordia

Se la concordia produce pace e letizia

Se la pace è il fine della umana società e la condizione indispensabile, perché questa possa attingere il suo bene Però, il contrario accade come tutti veggono, ed è inutile pascersi di vento: la realtà salta agli occhi: –

L’Italia non è lieta, – perché e contristata da sangue italiano sparso da mani italiane;

L’Italia non è concorde, – perché non mai si vide, anche ne’ tempi di sua maggior miseria, tanta difformità di opinioni;

L’Italia non è unita, – soprattutto nel regno delle due Sicilie, perché la forza e la violenza produsse la precipitosa annessione, e non mai il consenso degli animi: quivi si combatte da due anni una lotta nefanda con la perdita di tante vite e gli animi sono concitatissimi, le passioni faziose sono frementi, la sicurezza individuale è nulla; i commerci spuntii, la ricchezza pubblica e privata è colpita nella radice, – l’avvicendarsi delle amministrazioni non è stato altro, che una seguela di ruine di riputazioni degli uomini, che ne hanno tolto lo indirizzo.

La rassegna di vari fatti nel corso del 1862 confermerà questo argomento.

1. La società generale operaia napoletana, si eleva come un altro stato nello stato, e con un indirizzo (riportato dalla Democrazia de’ 23 gennaio) ringrazia i membri della opposizione nel parlamento, e soprattutto il deputato Ferrari «per aver difeso i diritti degli operai, disconosciuti in un parlamento dove possono solo entrare i privilegiati del censo, mentre in Napoli, e Sicilia la opinione pubblica giudica e condanna gli uomini, che hanno conservato il potere a dispetto della universale sfiducia e diffidenza». 121 2. L’aggravio per le imposte daziarie eccita dovunque il malcontento; in Benevento nel mese di gennaio si fa una dimostrazione popolare contro il municipio pe’ nuovi balzelli: la truppa interviene, e per far cessare il clamore ferisce, ed arresta molti.

3. Mazzini grida in una lettera de’ 12 febbraio alla gioventù arrollata sotto la bandiera anarchica della Falange sacra (Democrazia de’ 20 di quel mese la pubblica):

«l’Italia è tradita da mani inette; data del primo periodo di sua rigenerazione ad una scuola d’immoralità e di menzogna, d’opportunismo ipocrita e codardo, fatale e disonorevole… Bisogna, che, data una iniziativa popolare verso Roma e Venezia, gli elementi particolari d’insurrezione, che abbonda nelle provincie meridionali, sieno a disposizione del moto… Unica via è ora, che Garibaldi ripresentandosi a Napoli, sia rimesso a furia di popolo a capo delle forze vive del paese. – Oggi, o giovani, il vostro nucleo dovrebbe lavorare il terreno in questo senso»

– Intanto aumentano gli arruolamenti della falange sacra, e nelle piazze sono in commercio le cartelle del prestito Mazzini di 5, 10, 20 franchi, e financo di 1 franco – Nicotera corre a Napoli per organizzare il partito sul serio.

4. I vetturini e conduttori di fiuere in Palermo, malcontenti per la nuova tassa loro imposta, formano una condizione, e si rifiutano tutti al servizio de’ cittadini; e per imporne al nuovo governo si radunano, fanno clamori, resistono alle guardie di polizia – (Precursore di Palermo, 20 febbraio).

5. Su questo esempio divengono riottose le stesse guardie di pubblica sicurezza, le quali non avendo ricevuto lo stipendio in Castrovillari (Calabria) di ammutinano nel 12 marzo, e ricusano di prestar servizio; – per cui è d’uopo imprigionarle tutte.

6. Negli Abruzzi le idee unitarie sono in estremo ribasso; e tale fermento è nella guardia nazionale della città di Sulmona, che bisogna ordinarne lo scioglimento nel suddetto mese di marzo. 122 7. A Messina il 29 giugno, 400 facchini si radunano per chiedere imperiosamente lo anniento dei prezzo del lavoro. Contemporaneamente in Napoli (3 luglio) centinaia di lavoratrici di zigari della fabbrica de’ tabacchi del governo si levano a tumulto per ottenere la mercede eguale alle manifattrici piemontesi, favorite con maggior salario: la guardia nazionale deve accorrere. Nel giorno stesso gli operai dell’arsenale in Napoli, al numero di 1600 si ammutinano levandosi a rumore all’annunzio. di dover esser congedati pel trasferimento di ogni opificio nel Piemonte la forza armata deve intervenire: più tardi gli stessi operai riuniti agli altri dello stabilimento di Pietrarsa (fabbrica d’armi che il deputato Ricciardi nella tornata parlamentare de’ 20 maggio 1861 definì «essere un vero modello una delle bellissime cose fatte dal re Ferdinando II)» vengono a tumultuare su la piazza di Castelnuovo, dove la guardia nazionale li disperde, ed arresta quattro de’ più riottosi.

8. La setta de’ pugnalatori nella Sicilia è un altra piaga che si aggiunge quivi alle tante altre; come per la quarta volta si annunzia nel giornale torinese la Discussione de’ 6 ottobre, dove si riferisce «che nel 1. di questo mese, a Palermo, in pieno: giorno, sono state pugnalate da mani ignote ben 13 persone, e quattro mortalmente: la setta ha giurato lo sterminio del partito governativo piemontista» – Il generale disarmamento disposto dal potere militare non riesce a frenarne le ire. – Dal giornale lo Statuto si dà la spiegazione dell’organismo e composizione della setta stessa, diretta da tre capi, e servita da 12 esecutori salariati. Il giornale uffiziale di Sicilia de’ 2 dello stesso mese di ottobre pubblica i nomi delle tredici vittime contemporaneamente aggredite, e descrive le ferite tutte di punta e taglio, cagionate da sicarii, vestiti tutti in un solo modo.

9. La insubordinazione degli agenti inferiori verso il ministero di Torino risulta dalla rappresentanza del municipio di Marsala (Sicilia), 123 il cui Sindaco essendo stato minacciato di destituzione dal presidente de’ ministri per aver disposta la pubblicazione di un discorso di Garibaldi nel mese di agosto, il Consiglio civico in una sua deliberazione «solennemente protesta contro l‘arbitrio, e la incostituzionalità della minaccia, dichiarando così’ pari solennità, che dal proprio seno nessuno sarà per accettare la rappresentanza del municipio, e che si osteggerà ad ogni operazione tendente a coartare il suffragio del paese e i diritti battezzati dal sangue è dal sagrifizio».

10. A’ 14 agosto, disgustati pel nuovo appalto della nettezza delle strade si ammutinano più centinaia di spazzatori, e corrono per le vie di Napoli gridando viva Garibaldi per far dispetto al governo. – Nel dimani succede nelle principali strade la preconizzata dimostrazione anti-piemontista, in modo clamoroso a’ gridi di viva Garibaldi, morte al bombardatore di Genova; dimostrazione reiterata in modo più grave nel pomeriggio; precedendo sempre le turbe i numerosi componenti del convitato cosi detto di Masaniello: – Vengono lacerati i proclami affissi su’ muri dal prefetto Lamarmora il quale spiega la pompa militare di truppe, ed artiglieria, che dal mattino fino al tardi della sera si fermano schierate in varii punti della città; – mentre da più giorni in permanenza rimangono nel palazzo reale abitato dal medesimo prefetto 4 pezzi d’artiglieria, e tre compagnie d’artiglieria – sono in ciò concordi le relazioni di tutti i diarii.

11. Nella sera de’ 2 settembre una pattuglia di guardie nazionali del villaggio Gorga in Salerno, è aggredita, e maltrattata da’ propri compaesani, – nel conflitto rimangono uccisi dall’una e dall’altra parte.

12. Con quale anarchico reggimento procedano le perlustrazioni fatte dalle guardie nazionali è comprovato, tra l’altro, da’ frequenti conflitti, volentarii, o fortuiti che vogliano dirsi: – così, nella notte de’ 4 novembre un distaccamento 124 di quella di Cardito, guidato dal luogotenente Giuseppe Castaldo si azzuffa con un drappello dello stesso comune comandato dal caporale Francesco Nicola, e si contraccambiano vari colpi di fucile, con feriti vicendevoli (Nomade num .282): – parimenti nel susseguente giorno 7 alcuni militi delle guardie nazionali di Ostuni, S. Vito, Laviano (Terra d’Otranto) in tutto 160 uomini si recano sopra San Nicola per combattervi i reazionari, spingendo una loro colonna di 25 uomini per altra via per farvi un’imboscata; mentre le due colonne muovono per ricongiungersi si vede da lungi un luccicar d’armi, che sono 120 soldati piemontesi diretti alla stessa volta: nessuna voce si sente, nessun comando: la truppa crede uccidere briganti, e fa una nutrita scarica di fucilate sopra i 160 della guardia nazionale, che si gettano bocconi a terra: – il fuoco incalza, vari morti si hanno a deplorare, finché si riconosce il fatale errore, e cessa il fuoco (Cittadino Leccese, 15 novembre).

13. In Napoli continue affissioni nel pubblico di cartelli eccitano apertamente all’anarchia, nella mattina del 25 novembre se ne leggono vari per le cantonate, che conchiudono così: «sbarazziamoci di tutti i re e del loro sordido codazzo di cortigiani, abbasso le monarchie! Viva la repubblica» e nel posteriore giorno 28 si reiterano nuovi affissi, che dopo la più violenta apostrofe contro il governo monarchico, conchiudono col grido di viva la repubblica, abbasso la monarchia.

14. La stessa forza pubblica de’ carabinieri non ispira più verun rispetto tra le genti tumultuanti, né può quindi tutelare, come è di obbligo civile, i cittadini; ne è che in uno de’ giorni dello stesso mese di novembre traducendo in arresto tre infelici contadini di Catanzaro, vengono questi strappati dalle loro mani dalla furia di vari popolani, e massacrati, per equivoco, credendoli rei di un omicidio quivi accaduto vari mesi prima. 125 15. Nelle pubbliche adunanze, e ne’ teatri non si serba più verun civico decoro; schiamazzi, disordini, turbolenze sono all’ordine del giorno: – così nella sera de’ 13 dicembre una forte agitazione in senso garibaldino accade nel massimo teatro reale di San Carlo in Napoli, comunque il governo essendone avvertito, avesse gremita la platea, ed i corridoi de’ palchi di carabinieri; e di guardie di pubblica sicurezza: i gridi, ed i clamori superano ogni idea; cartellini, e ritratti di Garibaldi piovono da’ palchi su gli spettatori: impossibile riesce a’ funzionari ivi preposti per l’ordine a far cessare il grave tumulto; ed è necessità far sospendere lo spettacolo: crescono allora le turbolenze: la folla esce dal teatro, gridando, e strepitando per le vie gli evviva a Garibaldi, e gli abbasso a Lamarmora e finanche gli abbasso al Re. – Si minaccia nel dimani la chiusura del teatro (Monitore di Napoli de’ 17 dicembre).

16. Nella tornata parlamentare de’ 15 dicembre, il deputato Ricciardi felicita il nuoto ministero di Torino, tra cui rivede alcuni de’ suoi compagni cospiratori, e si duole, che niuno di essi abbia ancora fatto parola su l’anarchia delle Provincie meridionali «che ora trovansi in condizioni assai a peggiori di quelle, in cui trovavano sotto il governo borbonico, – vedendosi dominare due Re uno costituzionale in Torino, e l’altro dispotico a Napoli; l’uno istituito pel bene, l’altro istituito pel male.» – E fa osservare nel riscontro «che un cittadino presentandosi per avere giustizia al prefetto Lamarmora, questi risponde aver le mani legate, e doversi quegli dirigere a Torino; e ciò quando deve fare il bene. Quanto al male poi ha le mani liberissime e può far arrestare, può fare altresì fucilare a sua voglia».

continua……

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/01_Colpo_d_occhio_su_le_condizioni_del_reame_delle_due_Sicilie_nel_corso_del_1862.html

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