Corato, la maledetta masseria Rivera: lì dove furono trucidati bambini e briganti
CORATO – All’apparenza è solo un podere abbandonato della Murgia coratina, ma in realtà nasconde una storia fatta di omicidi, vendette e “maledizioni”. È il ritratto della masseria Rivera, costruzione rurale che nell’800 fu teatro dell’assassinio del brigante Luigi Terrone e di una terribile ritorsione in cui fu trucidato anche un bambino di 8 anni. (Vedi foto galleria)
La tenuta, oggi semidistrutta, si trova a una manciata di chilometri dal celebre ed esoterico Castel del Monte e dalla misteriosa “collina della croce”, luogo del peggior disastro aereo mai avvenuto in Puglia. Fu eretta nel XIX secolo e deve il suo nome alla famiglia che ne decise la realizzazione.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
Per raggiungerla usciamo da Corato percorrendo in direzione sud-ovest la strada provinciale 103. Dopo una decina di chilometri l’arteria si immette nella pericolosissima strada provinciale 34, nota come “la rivoluzione”. Guidiamo con attenzione e dopo sette chilometri svoltiamo a destra, verso contrada Livrea. Ancora un paio di chilometri e arriviamo a destinazione: un cartello ci segnala che siamo in località Posta di Mezzo.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
La masseria è composta da tre edifici in pietra adiacenti, un tempo adibiti ad alloggio per i contadini, stalle e deposito per i raccolti. E sin dalle prime occhiate mostra tutti i segni di decenni di abbandono: uno degli stabili presenta una finestra e la porta d’accesso annerite, sfregiate da un incendio appiccato da ignoti.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
Accedere all’interno delle strutture è impossibile, a causa della fitta vegetazione spontanea e dei tetti crollati. E attorno è un susseguirsi di sterpaglie che si sono impadronite del terreno incolto, intervallate da qualche ulivo solitario.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
Facciamo un giro del complesso, cinto a sinistra da un malmesso muretto a secco e a destra da una rete in ferro. Dal retro della dimora il dissesto appare ancora più marcato: spicca in particolare l’assenza della copertura, venuta giù rovinosamente. E a pochi passi avvistiamo anche una graziosa chiesetta, il cui interno però, oltre a un altarino in pietra, offre solo affreschi sbiaditi e calcinacci sparsi per terra.
Si fa fatica a immaginare che in un posto così silenzioso si sia consumata così tanta violenza. «A metà dell’Ottocento il fenomeno del brigantaggio era particolarmente diffuso nel Mezzogiorno – racconta Rino Scarnera, storico coratino -. Rapine e omicidi di bande armate nei confronti di ricchi proprietari terrieri erano frequenti».Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
E a innescare la scia di sangue fu proprio un brigante locale, l’ex fornaio 34enne Luigi Terrone. Il 5 agosto 1863 l’uomo fece irruzione nella masseria allora data in gestione dai Rivera al benestante Luigi Tarantini. Ma il blitz non andò a buon fine: l’assaltatore fu ucciso dai tre figli di Tarantini, Michele, Saverio e Francesco, che lo immobilizzarono trafiggendolo con le sue stesse armi.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
Il suo corpo fu poi caricato su un carro ed “esibito” prima tra le vie in paese e poi al piano terra dell’attuale Palazzo di città, per la gioia dei coratini. Ancora oggi in paese si usa il detto uan’appenne o lampion di munecipie quando si desidera che qualcuno sconti una pena per un reato commesso.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
L’euforia dei Tarantini però durò poco. L’intera famiglia, temendo la vendetta dei compagni di Terrone, si nascose subito nel centro abitato, lasciando il podere incustodito.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
«E infatti tre giorni dopo il delitto un gruppetto di briganti invase la tenuta – sottolinea Scarnera -. Non trovando le vittime designate, sfogarono la loro ferocia fucilando uno dei contadini, il 45enne Caputo e suo figlio di 8 anni, al quale fu fracassata la testa. E come se non bastasse, alla fattoria venne dato fuoco».Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
Un episodio che convinse i Tarantini a non lasciare Corato per nessun motivo. «Ma così cominciò il loro declino – evidenzia lo storico -. Non potendo gestire direttamente il fondo devastato, andarono in grosse difficoltà economiche. I Rivera inoltre chiesero di stanziare 2633 lire per la ristrutturazione dei locali, cifra diventata al di fuori della loro portata. Per sopravvivere la famiglia tentò di vendere tutti gli attrezzi e gli animali a disposizione, ma senza successo. Secondo credenze popolari le ritorsioni sarebbero potute toccare anche a chi acquistava beni dagli assassini dei briganti».Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.
Insomma sui Tarantini si abbattè una vera e propria maledizione, che inevitabilmente interessò anche la lontana masseria, che fu condannata così a una lenta e inesorabile rovina.
Luciana Albanese
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