CURIOSITÀ LINGUISTICHE, ANCORA SULLA LINGUA OSCA E NON SOLO
1° E’ anche influenza fonetica osca nella parlata napulitana l’”indurimento” del “C” nel digramma “SC”. Mi spiego meglio, in Italia la pronuncia della “C” in parole come “SCUSATE” è assai dolce (addirittura tendente all’ “insonorizzazione” in Toscana); laddove nella parlata napulitana quella stessa “C” si “indurisce” divenendo più simile ad un “K”, difatti da noi quella stessa parola si pronuncia aspra con uno “SKUSATE”?
R. Il lettore probabilmente si riferisce al fenomeno della palatalizzazione, che produce in molti dialetti campani il passaggio di S da dentale (come in seme) a palatale (come in sceme, o in inglese ship, o in francese choc). Questa palatalizzazione si verifica davanti ad alcune consonanti, tra cui la C velare, come nella parola “scola” (scuola) e la P, come nella parola “spuorco” (sporco). A Napoli e nella maggior parte della Campania non si verifica invece davanti a T, per esempio in “chisto”.
Nella Campania settentrionale, invece, come pure in Molise, Abruzzo e parti del Lazio, la palatalizzazione si trova proprio davanti a T.
La grafia del napoletano e degli altri dialetti normalmente non tiene conto di questo fenomeno, per cui scriviamo appunto “scola, spuorco, chisto” e questo crea grande confusione in lettori di altre regioni, che tendono a palatalizzare in tutti i casi (grandi cantanti hanno storpiato le canzoni napoletane con pronunce errate del tipo “chishto”, ecc).
2° Anche la lingua volsca, sannita ed etrusca, hanno collaborato a formare la lingua italiana, laborina e napoletana?
R. La lingua dei sanniti era appunto l’osco o una sua varietà locale, per cui rimando alla risposta precedente. Il volsco era una lingua italica, affine all’umbro, al latino e all’osco, parlata in una zona che nella sua massima espansione ha coperto gran parte delle attuali province di Frosinone e Latina, e parte dell’Abruzzo occidentale, quindi anche la Campania perduta tra Cassino e la costa. Di questa lingua però abbiamo pochissime testimonianze, per cui non è dato ricostruire se ne siano rimaste tracce negli odierni dialetti.
L’etrusco, infine, era diffuso soprattutto in un’area dell’Italia centrale, tra l’alto Lazio e la Romagna. La presenza etrusca in Campania si limita al territorio intorno alla città di Capua, di fondazione etrusca (VII-VI sec. a.C.), e fu di durata relativamente breve, in quanto i sanniti si impossessarono della città già nel V sec. Lo strato linguistico etrusco, sepolto sotto quelli osco e latino, non sembra aver lasciato tracce, se non forse in qualche toponimo, come lo stesso nome del fiume Volturno.
P. Maturi
Le lingue sono l’identità dei popoli e là dove esistono e resistono conviene coltivarle, cioè almeno continuare a parlarle anche se per necessità si intromettono continuamente dei neologismi che provengono da altre lingue cioè da altri popoli, e questo fatto è interessante anche da studiare al fine di costruire la storia dell’evoluzione sia della lingua che del popolo che la parla e continuamente si è relazionato con altri… L’errore che purtroppo mi sembra che si vada sempre più estendendo è sostituirla adottando per interi settori di attività, nuovi ma anche tradizionali, e perciò di relazioni e vita, con altre lingue che corrispondono al predominio di altre culture che si vengono a sovrapporre e in definitiva riusciranno a far scomparire le precedenti e con esse l’identità dei popoli… Che sia l’ingleso o il cinese, impariamole pure perché il mondo è diventato piccolo, ma non abbandoniamo mai la parlata da cui proveniamo, che in definitiva è memoria senza sforzo, e ricchezza… salvo che non siamo attratti e fagocitati dal nichilismo che sembra in maniera accelerata renderci tutti degli estranei… da portare…chi lo sa…su Marte,o sotto terra, facendoci così tacere e sparire per sempre…e non è certo progradire! caterina ossi