De Blasi: «Vi spiego il napoletano partendo da Boccaccio»
Il professore, accademico della Crusca, dà alle stampe il primo Dizionario etimologico storico della lingua napoletana. «Molti pensano derivi dal greco, invece deriva in maniera diretta dal latino»
Mentre lo Zingarelli annuncia che l’edizione 2023 riporterà parole come piedibus e vac a per 50 (più o meno «vado a piedi cinquanta di cilindrata»), a Napoli un gruppo di studiosi della Federico II coordinati dai professori Nicola De Blasi e Francesco Montuori sta per dare alle stampe la prima tranche del Dizionario etimologico storico del napoletano, in sigla “Desn”. Una novità assoluta, più di quelle dei dizionari della comun favella: è infatti il primo vocabolario storico-etimologico del napoletano.
Quindici anni di ricerche (finora), l’idea di metterlo anche online, ma soprattutto di essere esaustivi: per ogni lemma uno studio approfondito e originale che rende conto dei diversi usi, dell’origine più accreditata, della grafia adottata nei testi. In uscita tra dicembre e inizio anno nuovo per la casa editrice Cesati di Firenze i primi 150 lemmi saranno tutti relativi alla lettera “t”. Le novità ce le spiega De Blasi, accademico della Crusca, professore alla Federico II di Storia della lingua italiana.
Qualche lemma del vostro vocabolario napoletano?
«Taccagno e taccagnuso , fino a taluorno , l’ultima parola trattata. Nel caso di taccagno si nota che a Napoli ha inizialmente, nel ‘400, il significato di “spregevole” come la voce spagnola tacaño : probabilmente è un iberismo che solo in seguito ha assunto il senso di “avaro” che poi si trova anche in italiano. Dal ‘700 in poi nei testi in napoletano non si trova più, evidentemente ormai percepito come parola italiana e sostituito in napoletano da taccagnuso e da taccagna (maschile). Per taluorno, “lamento” invece è il confronto con altri dialetti che permette di pensare a un contatto con latuorno, “lamento funebre”, da cui taluorno deriva per metatesi».
Perché cominciate con la t?
«Perché è una consonante foneticamente stabile in napoletano, quando in posizione iniziale, mentre altre consonanti sono esposte a variazioni di pronuncia».
Cosa pensa di piedibus e delle altre novità nello Zingarelli? Sono azzardi?
«Lo Zingarelli è stato il primo dizionario a registrare il termine scugnizzo , nel 1922. Gli autori dei vocabolari hanno le antenne sul parlato e cercano di ampliare le loro documentazioni, perciò registrano l’uso e inseriscono le novità lessicali. Un vocabolario deve dare conto della realtà, la registra: non serve a dettare una norma ma ormai a documentare un uso».
Quali le novità?
«Il Desn punta a ricostruire la vastità e l’articolazione del lessico del dialetto nel corso dei secoli, documentando la presenza delle parole in tutti i testi letterari più importanti scritti in napoletano dal ‘300 al fino ai nostri anni. È un arco cronologico molto ampio, mai esplorato finora in tutta la sua vastità».
In questo senso è storico?
«Sì, documenta il napoletano con testimonianze dai testi letterari, con una motivata e articolata esposizione dei significati e di come cambiano nel corso del tempo. Raccogliamo tante testimonianze dalla letteratura in napoletano e non sempre c’è un filo continuo ma ci possono essere anche lunghe interruzioni».
Da cosa siete partiti?
«Dalla nostra biblioteca digitale in cui abbiamo riunito centinaia di testi: così non riportiamo solo le parole già documentate da altri vocabolari ma cerchiamo di andare alla testimonianza diretta dei lemmi nei testi letterari. Questo è l’altro elemento di novità».
Etimologico?
«Ogni parola viene considerata per la sua origine: vagliamo anche ipotesi inverosimili, tutto ciò che è noto è preso in considerazione. Alla fine individuiamo la proposta più convincente e, se manca, formuliamo ipotesi alternative non per il gusto della novità ma perché vogliamo ricostruire un’origine storica fondata».
Un vocabolario significa dare dignità di lingua al napoletano?
«Tutti i dialetti sono sistemi linguistici e tutti possono avere un dizionario. Il napoletano non è mai stato una lingua nel senso che noi intendiamo per lingua destinata a tutti gli usi sociali. Non è mai stato la lingua delle leggi e della burocrazia e questo è già significativo».
Allora perché l’eterno dibattito lingua sì-dialetto no?
«Forse si pensa che la parola lingua sia più gratificante del termine dialetto. Dal punto di vista strettamente linguistico il napoletano ha una sua grammatica come tutti i dialetti e in questo senso tutti i dialetti sono lingue. Poi secondo un’analisi storica e sociolinguistica non è mai stato la lingua della burocrazia, del diritto, dei dibattiti parlamentari e delle leggi. Quindi mai la lingua “ufficiale”. Tuttavia la lingua di un’eccellente letteratura».
I rapporti con l’italiano?
«Sono di buon vicinato, non di conflitto come molti vogliono fare credere. Gli autori che hanno scritto in napoletano hanno scritto anche in italiano, come Basile, Di Giacomo, Ferdinando Russo».
Quali testi avete preso in considerazione?
«Partiamo dalla Lettera in napoletano del Boccaccio del 1339, passando poi ai grandi classici come Lo cunto de li cunti del Basile, le opere di Giulio Cesare Cortese, i Gliommeri di Sannazaro del ‘400 e tutte le commedie di Scarpetta, Eduardo, Viviani, Di Giacomo, tutta la tradizione poetica novecentesca fino a poeti contemporanei come Salvatore Palomba e Raffaele Pisani».
Tratterete anche del napoletano come lingua viva?
«Quando la documentazione lo permette faremo anche un confronto tra l’uso vivo e l’uso letterario documentato dal passato. Cercheremo di allargarci anche a modi e mode dell’uso giovanile come pariare che originariamente significava digerire poi ha assunto il significato di divertirsi negli ultimi 30 anni«.
I luoghi comuni da sfatare?
«Alcuni dicono che il napoletano deriva dal greco invece non è vero: deriva dal latino direttamente, poi ha francesismi, catalanismi, ispanismi e perfino anglismi. Non è vero neanche che sia la lingua di quasi tutta l’Italia meridionale: è di Napoli, massimo dei dintorni. Anche che in tutta la Campania si parli napoletano non è vero: è una regione articolata e diversificata, si parlano dialetti diversi».
Il napoletano di oggi com’è?
«Molto variegato, in parte conservativo in parte innovativo, differenziato per caratteristiche dei parlanti e per ambiti di uso. Naturalmente parliamo molto l’italiano che era parlato anche prima dell’unità».
Quando sarà completo il vocabolario?
«La nostra ambizione è di ricostruire la storia quasi come una biografia delle parole. Penso che si arriverà intorno alle 10 mila. Il vocabolario sarà accompagnato anche da indicazioni sulla grafia che abbiamo già dato nel libro Una lingua gentile».
Ida Palisi
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