Discorso della Corona (1848)
Si trascrive il testo integrale del Discorso della Corona di Ferdinando II per l’inaugurazione delle Camere legislative del 1° luglio 1848. Il Discorso fu letto da Nicola Maresca Donnorso, duca di Serracapriola, per delega espressa del sovrano, pubblicata con decreto registrato sotto il numero 253 (29 giugno) della Collezione delle leggi e decreti del Regno delle Due Sicilie di quell’anno:
Signori
Mentre nel mio animo io vagheggiava il sospirato sogno in cui sarei circondato dalle Camere Legislative del regno, un fatale disastro, del quale non lascerò mai di contristarmi, sopraggiunse sventuratamente a protrarne la solenne riunione. Al dolor profondo d’un sì malaugurato ritardo mi è oggi conforto il vedervi alfine qui radunati: poiché a far prestamente rifiorire in questa comune Patria dilettissima la prosperità vera, cui ogni popolo incivilito ha ragione di pretendere, ho bisogno del vostro leale, illuminato e provvido concorso. Le libere istituzioni da me irrevocabilmente sanzionate e giurate rimarrebbero infeconde, se apposite leggi, dettate sopra basi analoghe, non venissero ad affiancarle, de’ loro vari sistemi di applicazione. Invoco dunque la vostra particolare sollecitudine su questo preminente obbietto.
Su’ diversi progetti che vi saran quindi presentati, voi fermerete le utili norme a stabilirsi per la speciale amministrazione delle comuni e delle provincie, che dan primo strato ad ogni società politica, quelle che debbono riordinar diffinitivamente la Guardia Nazionale, a cui si appartiene di vegliare al sostegno della tranquillità interna dello Stato; quelle finalmente che son dirette a diffondere con più sicuri metodi la pubblica istruzione in tutte le classi, affin di promuovere la ognor crescente civiltà, e serbar nell’avvenire intatta quella gloria che tanti egregi ingegni ci procacciarono per lo passato. Le finanze pubbliche meritano di occupare innanzi tutto la vostra particolare attenzione. Al dissesto inevitabile cui esse istantaneamente soggiacquero per tante politiche vicissitudini, si richiedono pronti e generosi provvedimenti. Né io diffido che in questa ubertosa terra l’equilibrio fra gl’indispensabili bisogni ed i mezzi più acconci a provvedervi possa ritardar molto a ristabilirsi. Delle sì funeste perturbazioni, che agitando pertinacemente il reame paralizzarono da una parte ogni specie d’industria e di commercio, e strariparono dall’altra sino ad attentare alla proprietà ed all’onore de’ privati, voi cercherete di smascherare coraggiosamente le cagioni o i pretesti: e con provvedimenti energici darete opera che un sì rincrescevole stato di cose cessi sempre, né più si riproduca, essendo questo un bisogno universale, di cui tutti sentono la urgenza e la importanza. L’ordine senza del quale non è possibile alcuna prosperità civile, non può derivare che da savie leggi, e la libertà sia esclusivamente nell’ordine.
In generale io non ho ragione di credere che le nostre pacifiche relazioni con le altre potenze d’Europa siano in nulla cangiate. Posti così nella felice attitudine di rivolgere tutte le nostre cure all’amministrazione interna dello Stato, noi potremo contribuire d’accordo a farlo prosperare tranquillamente nelle sue vie. Inflessibile nel mio proponimento di assicurare a tutti il benessere ed il godimento di qualunque benintesa Libertà, farò di questo nobile obbietto la costante preoccupazione della mia vita: ed il vostro autorevole concorso me ne garantirà pienamente il successo. Avendo in ciò chiamato a Giudice Iddio della purità delle mie intenzioni, non altro mi rimane oggi che chiamare a testimoni Voi e la Storia.
fonte
http://ferdinando2.blogspot.com/2013/03/discorso-della-corona-1848.html