Don Carlo Gesualdo, principe di Venosa
“Don Carlo Gesualdo, principe di Venosa, Conte di Conza: un compositore tanto grande quanto inquietante” . Così scriveva Igor Stravinskji di Gesualdo da Venosa, ultimo discendente di una grande famiglia normanna e genio musicale senza tempo.
Carlo Gesualdo nacque a Venosa (oggi provincia di Potenza) l’8 Marzo del 1566 da Fabrizio e Geronima, sorella di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano e futuro santo. A Napoli Carlo viene avviato dal padre, amante del bello e noto mecenate, a severi studi letterali e musicali, in quella che veniva considerata una delle più prestigiose accademie di corte dell’epoca della Controriforma (Pomponio Nenna, Stefano Felis, Scipione Stella, Giovanni Maque…). Il giovane Carlo rivela presto il suo genio compositivo. A 19 anni pubblica il primo mottetto: “Ne reriscaris, Domine, delicta nostra”, “Perdona, Signore, i nostri peccati”: un titolo che a posteriori appare quasi come un’infausta premonizione…
Nel 1584 muore il fratello maggiore Luigi e Carlo, principe di Venosa, deve assumersi l’onore ma soprattutto l’onere della continuazione del casato. Due anni dopo sposa, per volere delle famiglie (e previa dispensa papale), la cugina Maria D’Avalos, già vedova e madre (quindi certamente fertile), di sei anni più grande di lui e descritta dalle cronache dell’epoca come una donna molto avvenente. Dal loro matrimonio nasce Emanuele, erede del casato, ma l’unione tra i due sposi è tormentata. Mentre Carlo si dedica a giovinetti e donne ambigue, Maria s’innamora e intreccia una relazione con il bel Fabrizio Carafa, duca di Andria anch’egli sposato e con figli. Per un lungo periodo si incontrano nello stesso palazzo napoletano dei Gesualdo, fin quando lo scandalo è sulla bocca di tutti. Il principe, di per sé quasi indifferente alla voce, viene incalzato dalle pressione esterne, specie da parte dello zio Giulio, forse innamorato di Maria ma da lei respinto. Carlo infine decide di lavare col sangue l’offesa al nome della sua famiglia: la notte del 17 Ottobre 1590 finge di partire per una battuta di caccia, sorprende gli amanti in flagrante e li fa uccidere dai servitori. I loro corpi nudi e straziati mostrano alla città che l’onore del Principe è salvo. Confessato il crimine al conte di Mirando, rappresentante del re di Spagna a Napoli, Carlo viene subito prosciolto per “causa giusta”. Il conte di Mirando suggerisce ad ogni modo al Principe di rifugiarsi a Gesualdo per sfuggire all’ira delle famiglie D’Avalos e Carafa, che considerano grave offesa il delitto compiuto per mano dei servitori. Tornato a Gesualdo, Carlo è al riparo da ogni vendetta esterna, ma la vendetta peggiore si consuma ogni giorno nella sua stessa anima, poiché il ricordo del duplice delitto lo tormenterà per sempre.
Nel 1954 ad attendere Carlo c’è un secondo matrimonio “politico”: sposa Eleonora d’Este, da cui avrà Alfonsino, morto in tenera età. A Ferrara Carlo Gesualdo si introduce nell’Accademia musicale più aristocratica ed esclusiva del tempo, ma non riesce a dialogare né artisticamente né umanamente, se non con il duca Alfonso II d’Este. Alla morte di questi (avvenuta nel 1596), decide quindi di fare ritorno nel castello di Gesualdo, fatto restaurare tempo addietro e trasformato in una lussuosa dimora, capace di accogliere anch’essa una fastosa corte musicale. Durante questo lungo periodo della sua vita, 17 anni, ossessionato dall’espiazione dei propri peccati e dalla ricerca del perdono divino, fece edificare chiese, conventi e monumenti nel paese, tra cui la celebre tela “Il perdono di Carlo Gesualdo” di Giovanni Balducci, in cui il principe viene raffigurato in ginocchio, vicino allo zio Carlo Borromeo, in atteggiamento supplichevole.
Nel sereno ambiente gesualdino, Carlo si dedica in questi anni alla musica (ormai solo sacra…) e alla caccia, mentre le sue condizioni fisiche e psicologiche continuano a deteriorarsi. La moglie Eleonora è oggetto di continui maltrattamenti; la personalità dello stesso Carlo, sempre più attanagliata dal rimorso, è preda di ossessioni religiose che lo portano addirittura a violente pratiche autopunitive. Nella disperata ricerca di espiazione, il principe precipita in sempre più penosi stati maniacali e depressivi.
Il 20 Giugno 1613 giunge la notizia della morte dell’unico suo erede Emanuele, caduto da cavallo. Carlo ne è sopraffatto: si ritira in una piccola stanza del castello, “contigua alla sua camera dello zembalo”, dove muore l’8 Settembre 1613. E con lui si estingue il grande casato dei Gesualdo.
La sua tomba è collocata nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli dove, nella suntuosa cappella di S. Ignazio, ancora oggi si può leggere l’iscrizione che ne ricorda il nome. Alcuni studiosi ipotizzano, invece, la sepoltura a Gesualdo, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, adiacente al Convento dei Padri Cappuccini da lui fatto edificare.
Se la sua tormentata esistenza ha ispirato tanti scrittori e drammaturghi (Werner Herzog realizza nel ’95 un film documentario sul Principe, “Death for five voices”, Bernardo Bertolucci progetta da anni un film sulla sua vita), la più autentica ed importante eredità di Carlo Gesualdo è e sarà sempre il suo genio musicale. Fu infatti il primo ad alterare di un semitono gli intervalli melodici, creando nelle armonie originali squilibri delle tonalità. Questa sorta di cacofonia musicale, unita ad un’intrinseca passionalità, lo portò a comporre le celebri polifonie dei madrigali a cinque voci, che hanno ispirato nei secoli musicisti del calibro di Stravinskji (il quale dedicò al “Principe dei musici” addirittura un “Monumentum”), ma anche la moderna dodecafonia e cantautori come Franco Battiato.
Una musica che, senza alcuna difficoltà, possiamo definire senza tempo, in grado ancora oggi di stupire ed emozionare musicisti e semplici appassionati.
fonte
http://www.fondazionecarlogesualdo.it/carlo-gesualdo.htm