Eroi o criminali?
DEVASTARONO IL SUD CON STRAGI E RAPINE, EPPURE LO STATO ITALIANO LI CONSIDERA “EROI”
Vittorio Emanuele II
Feroce dittatore del regno di Sardegna. Assalì con l’inganno, per la sua ambizione di conquista, gli altri Stati della penisola italiana. Responsabile e mandante dell’eccidio di centinaia di migliaia di italiani e delle devastazioni e rapine a mano armata particolarmente nel Regno delle Due Sicilie, che fu trasformato in una colonia piemontese.
Camillo Benzo di Cavour
Ambiguo figuro, manovrato dagli inglesi, autore degli inganni contro i legittimi Governi preunitari e mandante degli attentati, delle trame delittuose e dell’invasione dei pacifici Stati della penisola italiana allo scopo di rapinarli e di farli annettere al Piemonte.
Giuseppe Garibaldi
Avventuriero e negriero in Sud America, massone, fu manovrato da Cavour e da Vittorio Emanuele per creare disordine nel Regno delle Due Sicilie allo scopo di giustificare l’invasione dell’esercito piemontese. Responsabile di numerosi episodi di violenta criminalità per le stragi e le rapine avvenute durante la sua avanzata fino a Teano (Caserta), dove appena dopo l’incontro con Vittorio Emanuele fu allontanato. Così il savoiardo scrisse a Cavour: “…come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene – siatene certo – questo personaggio non è affatto docile né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa”. Lo stesso Garibaldi, del resto così aveva definito i famosi Mille il giorno 5 dicembre 1861 a Torino “Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. Con questa feccia umana sbarcarono in Sicilia anche francesi, svizzeri, inglesi, indiani, polacchi, russi e soprattutto ungheresi, tanto che fu costituita una legione ungherese utilizzata per le repressioni più feroci. Al seguito di tale canagliume, complici alcuni traditori siciliani, sbarcarono anche 22.000 soldati piemontesi di proposito dichiarati dal governo savoiardo “congedati o disertori”.
Enrico Cialdini
Generale dell’esercito piemontese, cavaliere di gran croce dell’Ordine Militare d’Italia, responsabile degli eccidi di Pontelandolfo, Casalduni e Montefalcione. Fece uccidere senza alcuna giustificazione migliaia di persone tra contadini, sacerdoti e cittadini inermi, facendo esporre in più occasioni le teste mozzate degli uccisi come monito per incutere terrore nella popolazione. Massacrò inutilmente i soldati Duosiciliani difensori di Gaeta mentre si stava firmando la resa della Fortezza. Per queste sue esecrande azioni fu nominato dal Savoia Duca di Gaeta. A Napoli, si comportò come un feroce dittatore, instaurando un sistema di carcerazione su semplici sospetti, la deportazione e il domicilio coatto. Proclamò bandi che deformavano ogni notizia per stroncare la volontà di resistenza della popolazione. Il 24 giugno 1866, nello scontro dei piemontesi contro le truppe austriache, abbandonò le sue truppe fuggendo terrorizzato davanti al nemico per recarsi in salvo a Modena.
Ferdinando Pinelli
Generale dell’esercito piemontese, decorato di medaglia d’oro il 28 febbraio 1862 per le sue operazioni militari nelle Due Sicilie. Iniziò negli Abruzzi il 29 ottobre 1860 con distruzioni e saccheggi di numerosi villaggi con uccisione degli abitanti. Emise un proclama scandaloso che fece inorridire l’intera Europa: “Un branco di quella progenie di ladroni ancor s’annida sui monti; snidateli, siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto: sono prezzolati scherani del vicario non di Cristo, ma di Satana. Noi li annienteremo, schiacceremo il sacerdotal vampiro, che con le sue sozze labbia succhia da secoli il sangue della madre nostra. Purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infestate dall’immonda sua bava, e da quelle ceneri sorgerà più rigogliosa la libertà”. Proseguì per altri due anni le sue azioni criminali con fucilazioni e con la distruzione e il saccheggio di altri 21 paesi nel Napoletano uccidendone gli abitanti inermi.
Pietro Fumel
Colonnello della guardia nazionale di Cosenza, fu nominato il 28 febbraio 1862 cavaliere dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro da Vittorio Emanuele II per le sue azioni: avveva ucciso centinaia di cittadini che si opponevano, o erano solo sospetti di lottare, contro gli invasori piemontesi. La sua azione iniziò con questo suo bando da Cirò. Si legge : “Io sottoscritto, avendo avuto la missione di distruggere il brigantaggio, prometto una ricompensa di cento lire per ogni brigante, vivo o morto, che mi sarà portato. Questa ricompensa sarà data ad ogni brigante che ucciderà un suo camerata ; gli sarà inoltre risparmiata la vita. Coloro che in onta degli ordini, dessero rifugio o qualunque altro mezzo di sussistenza o di aiuto ai briganti, o vedendoli o conoscendo il luogo ove si trovano nascosti, non ne informassero le truppe e la civile e militare autorità, verranno immediatamente fucilati … Tutte le capanne di campagna che non sono abitate dovranno essere, nello spazio di tre giorni, scoperchiate e i loro ingressi murati … È proibito di trasportare pane o altra specie di provvigione oltre le abitazioni dei Comuni, e chiunque disubbidirà a questo ordine sarà considerato come complice dei briganti”. Questo nefando comportamento ebbe un eco perfino alla camera dei Lords di Londra, dove, nel maggio 1862, il parlamentare Bail Cochrane, a proposito del proclama del Fumel, affermò: “Un proclama più infame non aveva mai disonorato i peggiori dì del regno del terrore in Francia”.
Nino Bixio
Avventuriero, massone, fu uno dei capi militari di Garibaldi. Il 6 agosto 1860 a Bronte in Sicilia fece assassinare i responsabili delle rivolte contro i gaibaldini e impose una tassa di guerra per ogni ora trascorsa fino alla pacificazione della cittadina. Uccise personalmente, a sangue freddo, un notabile che protestava per i suoi metodi. I cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti per suo ordine. In Sicilia fu responsabile in Trecastagni, S. Filippo d’Argirò e Castiglione, nella provincia di Catania, di numerosi omicidi e saccheggi. Nella provincia di Messina, a Mirto, Alcara e Caronia, fece compiere numerose violenze. Per suo ordine alcuni monasteri furono saccheggiati. In seguito, iniziato lo sfruttamento delle Due Sicilie, approfittando del fatto che il fratello Alessandro era un finanziere, naturalizzato francese e deputato alla Costituente di Parigi dal 1848, amico personale di Napoleone III e di Cavour, iniziò anche a trafficare nell’alta finanza. Il 22 agosto 1862, quando Bastogi iniziò i lavori per la costruzione di una ferrovia in Campania e costituì la Società delle Strade Ferrate Meridionali, abbandonando i progetti duosiciliani che prevedevano il collegamento di Napoli con le principali città del Regno e pianificando solo linee ferroviarie nella direzione nord – sud, tra i finanziatori vi erano la Cassa del Commercio di Torino, i fratelli Isaac ed Emile Pereire di Parigi, e la società di Credito mobiliare spagnolo (di cui Nino Bixio era consigliere di amministrazione). Tra i possessori delle azioni della società figuravano anche il fratello di Cavour, il marchese Gustavo, il Nigra, il Tecchio, il Bomprini, il Denina e il Beltrami.
Pier Eleonoro Negri
Generale dell’esercito piemontese, medaglia d’oro. Assegnato al IV Corpo d’Armata partecipò all’assedio di Pesaro l’11 giugno 1860 e combatté alla fine di ottobre sul Garigliano con il 7° battaglione Bersaglieri. Fu l’esecutore materiale della strage di Pontelandolfo. Così avvenne la strage: Cialdini aveva ordinato al generale Maurizio De Sonnaz che di Pontelandolfo e di Casalduni “non rimanesse pietra su pietra”. Il 13 agosto 1861, formate due colonne con il 18° reggimento bersaglieri, una di 500 uomini al comando del tenente colonnello Negri, si dirige verso Pontelandolfo, l’altra di 400 uomini al comando di Carlo Magno Melegari, si dirige verso Casalduni. Prima di entrare nei paesi, le colonne hanno uno scontro con una cinquantina d’insorti, che sono costretti a fuggire nei boschi dopo avere ucciso venticinque bersaglieri nel combattimento. All’alba del 14, Pontelandolfo è circondata. Dopo che un plotone ha contrassegnato le case dei liberali da salvare, entrati nella cittadina, i bersaglieri, per ordine di Negri, fucilano chiunque capita a tiro: preti, uomini, donne, bambini. Le case sono saccheggiate e poi tutto il paese è dato alle fiamme e raso al suolo. Gli assassini in divisa compiono vere e proprie atrocità. I morti sono oltre mille. Per fortuna numerosi abitanti sono riusciti a scampare a quel massacro rifugiandosi nei boschi. Nicola Biondi, un contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri, i quali denudano la figlia Concettina, di sedici anni e la violentano a turno. Dopo un’ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. Il bersagliere che la stava violentando, quasi indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e le spara. Il padre della ragazza, cercando di liberarsi dalla fune che lo teneva inchiodato al palo, è fucilato anch’egli dai bersaglieri. Le pallottole rompono anche la fune e Nicola Biondi cade carponi nei pressi della figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro; con il figlio in braccio, sta per scappare, ma è bloccato dai militari, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono senza misericordia. Il saccheggio e l’eccidio durano l’intera giornata del 14. Numerose donne sono violentate e poi ammazzate; alcune che s’erano rifugiate nelle chiese sono trucidate dopo essere state denudate davanti all’altare. Una, oltre ad opporre resistenza, graffia a sangue il viso di un piemontese; le sono mozzate entrambe le mani e poi è ammazzata a fucilate. Tutte le chiese sono profanate e spogliate. Le ostie sante sono gettate, le pissidi, i voti d’argento, i calici, le statue, i quadri, i vasi preziosi e le tavolette votive, rubati. Gli scampati al massacro, sono rastrellati e inviati incolonnati a Cerreto Sannita, dove circa la metà di loro è fucilata. Negri poche ore dopo telegrafava a Napoli: «Giustizia è fatta».
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