Ferdinando II di Borbone: un re statista e padre affettivo del proprio popolo
Dagli insegnamenti giusnaturalistici del Seicento, lo Stato nasce da un patto tra gli individui per uscire positivamente o negativamente da uno determinato stato di natura con l’obiettivo di proteggerli e garantirgli tanti diritti e libertà, in caso contrario sarà dichiarato dai suoi individui fondatori come illegittimo.
Agli occhi dei popoli si nota realmente l’esistenza del trasformismo, della corruzione e della presa di potere nelle politiche dei loro governi in mano alle élite ottuse e colluse sia con l’Occidente sia con la delinquenza comune, in tal caso protetta dai servizi segreti e dai pubblici ufficiali. Il dovere del buongoverno fu dimenticato con disgrazia e con prepotenza dalle élite dominanti che vorrebbero imporre le loro ideologie politiche al di sopra dei popoli, i quali non condividono affatto le loro leggi che gli causarono molte ingiustizie, soprattutto quelle che furono limitate e cancellate dai loro precedenti governanti. Invece di puntare sulla benevolenza popolare, intendono di soddisfare i loro interessi con stipendi e omaggi lussuosi ricevuti in maniera gratuita e alla faccia della povertà, lasciandola irrisolta. Certamente, oltre a questo caso, ci sono altri problemi che non vengono affrontati con attenzione e con la pazienza da quei governi che tutt’oggi, si spacciano come democratici e difensori delle Costituzioni se non sono, di fatto, applicate. In altre parole, i governi della finta democrazia, assieme ai partiti politici e ai sindacati, rappresentano dei semplici salotti d’élite dove vari membri e capi decidono su quale destino potrà avere il loro popolo, senza fare un aperto e chiaro dialogo con esso. I salotti d’élite sono dei gruppi oligarchici dove si chiudono dentro per non voler rapportarsi con l’esterno, cioè con il popolo. A causa di questi atteggiamenti egoistici che i popoli si oppongono alle loro élite con il boicottaggio elettorale e con le proteste che, avvolte, vengono represse con modi brutali. Secondo la tirannia di queste élite, qualsiasi governo non può scendere a patti con il suo popolo che, anzi, lo ha eletto con voti che, spesso, vengono dirottati per scopi personali e ideologici; ma nonostante ciò non poteva permettersi di mettere al centro le esigenze e i bisogni del suo popolo altrimenti avrebbe subito un improvviso cambio di potere che, nella maggior parte, avveniva con l’uso dei colpi di stato, supportati o da un partito di una sola ideologia o da una potenza continentale, in particolare dall’Occidente nei confronti dei popoli latino-americani tra gli anni Sessanta e anni Novanta. Ma naturalmente l’imperialismo occidentale non sarà l’unico tema problematico che va affrontato soprattutto dal diritto internazionale, ma oltre alla certa ed esistente tirannia elitaria c’è il colonialismo centralistico dei Grandi Stati governati bensì dalle élite dominanti ma per scopi etnici, come l’Italia stessa che si sta reggendo grazie all’ingrandimento dei modelli della Grande Padania sui popoli sottomessi, i quali (chiunque non ne sa) sono la Napolitania, la Sicilia e la Sardegna. La propaganda razzista unitaria ci insegna che i padani sono un popolo di alta civiltà e accoglienza verso chiunque vorrebbe visitare la loro terra (ma non dicono niente sul borseggio e sulla baby gang presente a Milano), mentre i napolitani e i siciliani sono definiti come soggetti inferiori, incapaci di non cambiare niente. Sicuri sicuri? Dovrebbero dare un necessario sguardo sulla storia prima di dire certe cose. Infatti rivolgiamo la nostra attenzione ad una persona che, svolgendo il ruolo di Capo dello Stato, seppe dimostrare la sua capacità e il suo amore verso il suo popolo che voleva essere ascoltato e appoggiato, il cui obiettivo è totalmente assente e ignorato dai politici ascari. Stiamo parlando di Ferdinando II di Borbone, un re facente parte di una dinastia che prese le distanze da ogni forma di tirannia e stava al fianco del suo popolo, con l’intenzione di non lasciarlo da solo. I principali sovrani detentori della benevolenza popolare furono Carlo III di Borbone, Ferdinando I delle Due Sicilie, Ferdinando II e Francesco II, ereditando il suo discendente Francesco I che, a differenza di altri citati, era un sovrano riservato, dedicato alla botanica anziché della politica, ma fece qualcosa di positivo per il nostro popolo. Arriviamo a parlare di Ferdinando II, ma chi è? Cosa ha fatto per i napolitani e per i siciliani? Ferdinando II nasce a Palermo il 12 gennaio 1810 dalla famiglia reale in esilio a causa del dominio francese nella nostra Nazione e con il passare degli anni si dedicò alle preghiere religiose, all’educazione culturale e militare. Egli, però, puntava sulla conoscenza della filosofia politica, arrivando a mettersi in testa vari concetti che lo aiuteranno a emanare leggi molto utili ai duosiciliani. Naturalmente non solo la filosofia ma anche la religione sono stati entrambi la guida politica del governo di Ferdinando II, dalla cui ultima prendono spunto i valori pacifici e morali del Vangelo per evitare di essere vicino alla tirannia. L’8 novembre 1830, il giovane Ferdinando II sale al trono dopo la morte del padre per cause naturali, e mette in atto il suo famoso “monumento di sapienza civile”, cioè il suo programma di cambiamento istituzionale e politico che, successivamente, fece accelerare l’illuminismo dei suoi discendenti e modificò l’economia e la giustizia, compiendo un gesto di prosperità e di clemenza al suo popolo che nessun monarca europeo e nessun politico di ieri e oggi ebbe il coraggio di adempiere tale dovere di coscienza. Per prima cosa fece ridurre lo stipendio dei ministri e il suo appannaggio; tagliò la spesa della Corte; abolì le rendite private ai nobili, in particolare al principe di Canosa; e impose un nuovo reddito che non poteva superare il limite di ricchezza: doveva arrivare fino a 25 ducati (equivalente a 1.250 euro). Tutti i soldi confiscati per volontà di Ferdinando II verranno ridistribuiti alle famiglie bisognose, com’era stato fatto dai precedenti sovrani. Inoltre si impegnò a mantenere in vigore e a modificare quelle riforme che furono attuate dai suoi discendenti: l’applicazione dei principi dello Statuto di San Leucio (uguaglianza e solidarietà) sulle principali città di ogni provincia (su Mongiana, San Ferdinando e Ferdinandea nella Calabria e su San Ferdinando di Puglia); l’inserimento del sostegno verso i bisognosi negli usi civici con la Prammatica del 20 settembre 1836; il mantenimento dell’autonomia comunale delle province napolitane e amministrativa della Sicilia con l’istituzione della Luogotenenza generale di Sicilia e dei ripartimenti ministeriali nel 1833; emanava un serio sistema di vigilanza sulle istituzioni, in particolare quella economica sulle spese dei Comuni, quella comunale con la Consulta istituita precedentemente nel 1824 e quella scolastica con le commissioni di vigilanza sull’approvazione o non dei testi scolastici; fece nascere e progredire molte industrie che vi parlerò in seguito. Dopo San Leucio e Mongiana, dove le prime industrie furono costruite per volontà del suo discendente Ferdinando IV di Napoli nel 1771 e nel 1779, saranno costruite le altre e nuove industrie di diverso genere, le quali sono situati a Pietrarsa (Napoli) per la specializzazione della meccanica, a Fuscaldo (Calabria), a Picinisco (Terra di Lavoro), a Picciano (Abruzzo), ad Atripalda (Avellino), a Lecce, a Foggia e a Spinazzola, le cui ultime tre si basavano sulle macchine agricole. Non dobbiamo dimenticare che a Mongiana si cominciava a elaborare il modello di autogestione locale e produttiva, con il supporto statale che fece assegnare alla popolazione i 40 ducati e un terreno per poter costruire le proprie abitazioni e vivere nei momenti migliori della loro vita. Tale modello fu applicato grazie ai principi dello Statuto di San Leucio ed è quasi attinente a quello comunista jugoslavo del Maresciallo Tito (ma rimaneva sconosciuto nel Regno di Piemonte). Il giovane Ferdinando, oltre a saper sistemare l’economia e la sua struttura produttiva, rispettò l’esistenza e lo sviluppo dell’istruzione pubblica (ricordando che nel 1768 Ferdinando IV di Napoli fece istituire la scuola pubblica nei collegi religiosi per tutte le classi sociali) con l’emanazione della legge Imbriani sulla obbligatorietà dell’istruzione del 1845, con l’istituzione del Consiglio generale di Pubblica Istruzione con il decreto regio del 28 giugno 1849, il quale poteva ricoprire il compito di riorganizzazione e di vigilanza sugli istituti che si occupavano sull’istruzione e con la riapertura dell’Università di Messina nel 1838, chiusa per 160 anni a causa della ribellione della popolazione siciliana della città contro il vicereame spagnolo. Nel 1843 dovette emanare un decreto che toglieva la censura su vari testi scolastici per contrastare le infiltrazioni propagandistiche dei terroristi del Risorgimento ma l’affidamento delle scuole primarie e secondarie restò nelle mani sia della gestione laica sia degli ordini religiosi. In caso di problemi sorti nell’istruzione, veniva mantenuto la Commissione Suprema di Pubblica Istruzione istituita nel 1818 l’obiettivo di favorire l’educazione culturale del popolo con “i primi elementi di leggere, scrivere nell’aritmetica e nelle istruzioni morali del Catechismo di Religione”, com’era previsto dal suo regolamento per le scuole primarie. Per la formazione dei maestri delle scuole pubbliche e private è stato costituito la Scuola Centrale di Metodo in ogni provincia napolitana e siciliana, mentre per la preparazione degli alunni delle scuole private è stato affidato dalle 12 Commissioni di Esercitazioni Scolastiche nel 1847, i cui controlli venivano effettuati dagli ispettori inviati anche dalle commissioni comunali con lo scopo di coinvolgere i genitori sulle condizioni dei loro figli nei loro livelli di istruzione. Se le scuole esistevano e venivano organizzate sotto i Borbone dove stava l’analfabetismo? Spetta agli ascari a dare una risposta adatta alla realtà. Ma ritornando sull’economia, Ferdinando II fece di tutto pur non imporre le nuove tasse, le quali furono cinque: una diretta sulla Fondiaria (con la leggera aliquota del 10% della ritenuta) e quattro indirette sulla Dogana, sul Registro e Bollo, sulla Lotteria e sulla Posta. Dal 1815 al 1860 nessuna di queste tasse furono aumentate a caso e non fu mai imposta nessuna nuova tassa, a differenza del “Regno della libertà” (Piemonte dei Savoia) che imponeva soprattutto le tasse di proprietà, ovvero le imposte senza senso e dannose alle classi bisognose. Ferdinando II non inflisse questa ingiustizia a nessun suddito che però fu commessa non solo dai Savoia ma pure da altri Stati europei e continentali di una volta e, purtroppo, di oggi. Tutto questo impegno politico stava a significare la capacità e la coscienza di un re appartenente di una dinastia che non solo voleva tirare fuori il suo reale affetto verso i sudditi ma che metteva al centro la cultura per esercitare al meglio la politica, per es. per il mantenimento delle 5 tasse si atteneva ai pensieri del primo ministro liberale Luigi de Medici su ispirazione del ministro delle finanze toscano Bernardo Tanucci, in cui si affermò che “le risorse finanziarie dello Stato non bisogna cercarle nei nuovi tributi ma nell’ordine e nell’economia, perché il miglior governo è quello che costa meno”. Anche su questo punto che Ferdinando II ebbe a dire: “la buona amministrazione dello Stato è la fondamentale cura del Governo, in quanto da essa deriva la felicità dei popoli”. Tanta sapienza c’era nel cuore dei Borbone e meno era presente nei pennaruli e nei Savoia. Quindi che siano risparmiate le accuse propagandistiche di dispotismo e tirannia rivolte con indegnità a quella dinastia vicina al popolo. La cultura politica permise a Ferdinando II di avviare le altre leggi che potessero ereditare l’illuminismo duosiciliano: oltre all’Atto regio dell’11 gennaio 1831 consistente sulla riduzione degli stipendi istituzionali, il 3 maggio 1832 pubblicò la prima legge sulla raccolta indifferenziata che prevedeva i suoi limiti e le sue conseguenze in caso di violazione; il 4 ottobre 1832 bandiva ogni tentativo di corruzione commesso in ogni istituzione e amministrazione pubblica; il 18 novembre 1833 mise da parte la pena di morte con la grazia e le commutazioni regie inviate a tutte le Gran Corti Criminali di ogni provincia; nel 1834 rese non obbligatoria la leva militare per non danneggiare le condizioni economiche delle famiglie bisognose, per cui i giovani si potevano arruolare mediante il sorteggio o la loro volontà e si accettava uno solo, mentre altri componenti della famiglia sono esenti e, anzi, si poteva esentare per determinati motivi, tra cui quello del bisogno; il 25 febbraio 1836 abolì i lavori forzati perpetui; dal luglio del 1837 approvò il decreto di emergenza applicata nelle province napolitane e siciliane per contrastare la diffusione della colera causata dallo spargimento dei prodotti velenosi; il 14 febbraio 1838 decise di combattere la tratta della schiavitù considerandola un “traffico abominevole”, stipulandone con la Francia e con l’Inghilterra, anche se entrambi paesi, esclusa le Due Sicilie che promuoverà la nuova legge attinente a tale convenzione antischiavista nel 1839, l’ha praticarono attraverso il loro colonialismo; nel 1840 permise alle province di Avellino, Caserta, Salerno, Bari, Potenza e Reggio Calabria l’istituzione del Consiglio edilizio; il 13 luglio 1841 anticipò la tutela sul paesaggio ambientale considerandola una servitù pubblica per il suo popolo limitando la proprietà privata; l’11 dicembre 1841 applicò gli usi civici in Sicilia, invitando i funzionari pubblici e i procuratori del Re di frenare con la forza le minacce del baronaggio isolano; nel 1845 emana il decreto sulla rieducazione dei detenuti basato sulla organizzazione delle carceri, sull’esercizio di attività lavorative, sulla libertà quotidiana e sull’istruzione morale e religiosa;……continua
Antonino Russo