Alta Terra di Lavoro

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Fondi, la città dell’”età dell’ “oro”

Posted by on Gen 9, 2023

Fondi, la città dell’”età dell’ “oro”

Fondi è una cittadina del basso Lazio, posta sulla  via Appia, nell’estremità settentrionale della piana omonima. E’ centro agricolo (aranci, ortaggi),con industrie di conserve alimentari e succhi d’agrumi. Di origine assai antica, conserva perfettamente la pianta romana, con gran parte della cinta muraria.

Fra i monumenti, meritano particolare ricordo il Palazzo del Principe,  dei Caetani, poi dei Colonna, in stile catalano, con finestra a ricchi ricami,costruito tra il 1466 e il 1477; il castello rettangolare, con tre torri cilindriche merlate, nel quale, il 20 settembre 1378, fu eletto l’antipapa Clemente VII, in contrapposizione al legittimo Urbano VI, al secolo Bartolomeo Prignano; il Duomo di S. Pietro, eretto nella prima metà del XII secolo, su un tempio di Giove, che ha un portale ogivale con un’edicola gotica e vari bassorilievi e statue, un campanile del 1278, con bifore, un interno, diviso in tre navate, con il magnifico pergamo cosmatesco di Giovanni di Nicolò (1286) e ricchi mosaici, oltre ad un pregevole monumento sepolcrale di Cristoforo Caetani ; la chiesa di S. Maria Assunta, dal bel portale scolpito, edificata, in forme gotico-rinascimentali, dall’ampia scalinata e dall’imponente torre campanaria, tra la fine del Quattrocento ed i primi anni del Cinquecento, nel cui interno, a croce latina, si conservano 2 amboni e notevoli opere pittoriche, tra le quali alcune pale del Cinquecento, ascrivibili ad Antoniazzo Romano e a Cristoforo Scacco ; la chiesa di S. Domenico, costruita sulle rovine dell’anfiteatro romano; l’altra chiesa di S. Francesco, del Trecento, con un portico ogivale e con un bel chiostro su pilastri ottagonali.

 L’antica “Fundi” sarebbe stata fondata, secondo la leggenda, da Ercole, a ricordo dell’uccisione di Caco. Famoso il suo vino, “Cecubo”. Nella mitologia di tutti i popoli c’è un’età dell’oro, di un tempo felice, senza proprietà e senza guerre, in cui l’amore è libero, il clima sereno e gli uomini si cibano di ghiande in un giardino dove il leone passeggia con l’agnello.

   Tutti i popoli che hanno una storia hanno un paradiso, una beata terra  dove c’è eterna primavera, uno stato d’innocenza, un’età dell’oro, ha scritto Schiller. La denominazione di età dell’oro risale a Esiodo, che cantò delle quattro età, nella prima delle quali, quella, appunto dell’oro, gli uomini vivevano come dei, mentre Kronos, cioè Saturno, regnava nel cielo; Arato poi vi aggiunse la leggenda della Giustizia, che, durante la terza età, funestata da guerre, abbandonò la terra e divenne la costellazione della Vergine, ovvero Astrea. Grazie soprattutto ad Ovidio,il mito dell’età dell’oro divenne un luogo comune dell’antichità classica, a tal punto che, fin d’allora, vi fu chi, stufo di sentir parlare di quella felice età in cui l’uomo si cibava di ghiande, esclamò: “ Basta con le ghiande!”. Il mito, però, era duro a morire come la Speranza: Questa non fuggiva mai dalla terra e richiamava Astrea, cioè la Giustizia, tra gli uomini. Con l’Egloga IV Virgilio saldava mito e utopia e profetava il ritorno dell’età dell’oro, provocando un grande sommovimento nel mondo occidentale, specialmente nel Rinascimento, allorché la rievocazione dell’età dell’oro divenne un luogo comune, dal Poliziano delle “Selve d’amore” al Sannazzaro, nella cui “Arcadia” il mito dell’età dell’oro si fece parte integrante del nuovo genere pastorale, al Tasso presso cui il “locus amoenus” da lui cantato nell’ “Aminta” (“O bella età dell’oro…”) si trasformò in un’esca per irretire l’eroe cristiano .

   Nel Rinascimento ci fu il ritorno dell’età dell’oro, divenuto tema obbligato dell’adulazione cortigiana  Nel 1534 la contessa di Fondi, Giulia Gonzaga, vedova di Vespasiano Colonna, teneva nel suo palazzo comitale, appartenuto ai dell’Aquila, ai Caetani e ai Colonna, una corte di letterati, per cui la città fu denominata “ Piccola Atene”, in cui  erano radunati i migliori ingegni di quel tempo.  In quell’anno il corsaro Ariadeno Barbarossa assalì Fondi per rapire la nobildonna, la cui bellezza era famosa a quei tempi, ma non vi riuscì, perché  Giulia fuggì, seminuda riparando probabilmente nella munita fortezza di Itri, facente parte del suo contado. In seguito sulla sua testa pendeva l’accusa di eresia, alle cui conseguenze “una pietosa morte riuscì a sottrarla appena in tempo”.

Alfredo Saccoccio

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