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Forse i mali di oggi cominciarono più di due secoli fa… anche in una città periferica come Militello. (parte prima)

Posted by on Giu 11, 2017

Forse i mali di oggi cominciarono più di due secoli fa… anche in una città periferica come Militello. (parte prima)

Salvatore Paolo Garufi

Berretti, cappelli e camicie rosse

Presupposti della Rivoluzione nazionale nella Sicilia dei Borbone

in 60 momenti storici

 

  1. Caracciolo e le riforme

In Sicilia i presupposti politici della Rivoluzione nazionale risalivano a ben prima del 1860. Già dalla fine del Settecento, infatti, la composizione sociale nei paesi dell’isola era cambiata.

 

Per fare un esempio che valga per tutti, sappiamo che nella città di Militello in Val di Catania (CT), dal Settecento era molto presente e potente la categoria dei professionisti. Così, quando dopo l’arrivo dei garibaldini, fu votata la decadenza del regime borbonico, in una popolazione che non arrivava a diecimila abitanti, si trovarono a dare il voto favorevole: 28 sacerdoti, 6 padri benedettini, 15 avvocati, 12 medici, 5 farmacisti, 4 architetti e 3 notai.

Tali presenze intellettuali venivano dall’ambiente favorevole creato dal viceré Domenico Caracciolo, che fece egregie cose per modernizzare la Sicilia:

– Con ordinanza dell’8 novembre 1788 abolì le angarie (cioè, le prestazioni lavorative obbligatorie e gratuite);

– con ordinanza del 4 maggio 1789 liberò i sudditi dalle servitù personali;

. nella deputazione del regno (nominata direttamente dal viceré e non più dal parlamento) i nobili passarono da dodici (la totalità) a quattro;

. fu introdotta la vaccinazione antivaiolosa;

– fu proibita la monacazione dei minorenni e dei figli unici.

  1. Il collegio Capizzi

Molti professionisti siciliani che vennero alla ribalta come classe diregente dell’epoca del Caracciolo avevano studiato in scuole prestigiose anche per i nuovi metodi di insegnamento.

Particolare rinomanza ebbe, per esempio, il collegio Capizzi di Bronte. Esso continuò ad essere molto reputato anche nell’Ottocento e per buona parte del Novecento, tanto che, insieme al Pennisi di Acireale, fu un pilastro dell’educazione dei futuri scrittori, dei futuri politici e dei futuri burocrati della Sicilia orientale.

L’istituto brontese era stato aperto dal Venerabile don Ignazio Capizzi (e costruito in soli quattro anni, dal 1774 al 1778), col nome di Reggie Pubbliche Scuole di Educazione.

“Grazie all’illuminata protezione di sua maestà Carlo III di Borbone” usavano dire i suoi professori, “il nostro Collegio è diventato un faro del sapere. Nei pochi anni della sua esistenza ha già potuto conquistarsi un’acclarata fama, come centro di sapienza e dottrina. Questo per il rigore delle Regole, che sono quelle volute dal suo fondatore. Esse prevedono obblighi e doveri, sia per i convittori, che per i professori. Latino, greco ed eloquenza sono per noi le materie regine e disponiamo di un ricco patrimonio librario, in parte proveniente dalla collezione personale dello stesso don Capizzi.”

Divenuto laico dopo l’Unità d’Italia, col nome di Real Collegio Capizzi, l’istituto brontese continuò ad ospitare personaggi destinati a farsi un nome. Un adolescente Luigi Capuana, fra gli altri, vi compose i primi versi.

  1. Caramanico e la massoneria

Il vicerè di Sicilia che succedette al Caracciolo fu il Gran Maestro della massoneria Francesco Maria d’Aquino, principe di Caramanico.

Le prime logge massoniche di cui in Sicilia si ebbe notizia risalivano al 1754 ed operavano sotto l’autorità della Loggia di Marsiglia. Nel 1760 esse ottenevano una nuova Costituzione dalla Gran Loggia d’Olanda.

Appena sette anni dopo, però, le logge siciliane passarono al rito inglese, finché non si deliberò di costituire una Gran Loggia Nazionale dello Zelo a Napoli.

Questa, a sua volta, costituì quattro nuove Logge: della Vittoria, dell’Uguaglianza, della Pace e dell’Amicizia. Confermò, inoltre, due Logge dipendenti, una a Messina e l’altra a Caltagirone. In seguito, nacquero anche le logge di Catania e di Gaeta.

Nel 1779 esisteva la loggia dell’ardore di Catania, quando la Gran Loggia Nazionale di Napoli era guidata da Diego Naselli e aderiva al rito dei riformati di Lione.

Dopo avere incorporato la loggia degli intraprendenti di Caltagirone, quella di Catania contava diciotto membri. Altre logge in Sicilia erano quella della Vittoria di Trapani (quindici membri), quella della Concordia di Palermo (ventisei membri) e quella de’ Costanti o della Riconciliazione di Messina (quindici membri).

  1. Manifesto massone

(7 dicembre 1775)

Precisiamo ancora che in questa città si trovano anche due Logge irregolari, che non sono state da noi mai riconosciute. La ragione è d’una parte perché non sono state costituite in concordanza con i veri principi dell’Ordine, volendo essere governate da Superiori esteri, d’altra parte perché nel nostro paese sono atte piuttosto ad ostacolare i veri scopi, i loro membri essendo esclusivamente delle persone che consideriamo indegne di essere da noi accettate. Oltre a queste due, vi è in quest’Oriente ancora una Loggia piccolissima e completamente degradata, sotto la guida del Principe di Ottajano, il quale, pur essendo stato iniziato da noi, in seguito si è lasciato trascinare dal falso orgoglio di voler essere alla guida di una Loggia. Attraverso diversi maneggi egli ha carpito una Patente dal Duca di Lussemburgo, il quale alcun tempo fà era qui presente, quale Grand Administrateur Général delle Logge francesi (…) Egli ha cominciato i suoi lavori irregolari con alcuni Francesi e Napoletani, e persiste tuttora, malgrado il fatto che il Duca di Lussemburgo stesso, dopo aver avuto conoscenza della vera natura delle circostanze, ha riconosciuto la nostra autorità, ritirando la Costituzione da lui concessa. In conseguenza consideriamo la sua Associazione come una Loggia irregolare.

  1. Radici secentesche della classe dei funzionari

La crescita dei professionisti che avevano finito per aderire alla massoneria in Sicilia era stata favorita dalla necessità di avere funzionari capaci nei nuovi centri urbani che, a partire dal XVII secolo, nascevano attorno all’imprenditoria agricola dei feudatari siciliani (qualcuno la definirà capitalismo feudale).

Nel catanese le maggiori realtà di questo tipo furono: Mirabella Imbaccari nel 1681 (309 ab.), Belpasso nel 1613 (3.763 ab.), Mascali nel 1623 (570 ab.) e, tutte nate nel 1651, Scordia, Camporotondo, Mascalucia, Massa Annunziata, San Pietro Clarenza, Gravina.

Verso Ragusa vennero fondate Santacroce nel 1605 e Vittoria nel 1616, città, quest’ultima che passò dai 691 ab. dell’anno di fondazione ai 3.950 del 1681, per arrivare ai 5.668 ab. nel 1714.

  1. La Rivoluzione francese e Napoleone

Nel Regno borbonico dei gran cambiamenti vennero da quel ciclone chiamato Napoleone Bonaparte.

In verità, però, ad interrompere la disponibilità riformatrice di Ferdinando III di Borbone, erano già arrivate le paure suscitate dalla rivoluzione francese del 1789, dato che la moglie Maria Carolina, la vera padrona del regno, era sorella della decapitata regina Maria Antonietta.

Nacque, così, un generale clima di sospetto, tragicamente confermato il 9 gennaio 1795 dall’improvvisa morte del Caramanico. Si parlò di veleno, dato che chi ci guadagnava era l’amante della regina, lord Acton.

Ad aggravare la situazione, in quello stesso anno, durante la Settimana Santa, vi fu un tentativo insurrezionale repubblicano, capeggiato dal giurista Francesco Paolo Di Blasi (poi decapitato il 20 maggio).

  1. Carlo Cottone

Le fibrillazioni causate dall’irrompere in Italia delle armate napoleoniche fecero della Sicilia un interessante laboratorio politico. Si costruì in quell’occasione una alternativa moderata alla rivoluzione.

Il protagonista del riformismo siciliano nei primi dell’Ottocento fu il principe Carlo Cottone di Castelnuovo, che grazie alla protezione del plenipotenziario inglese in Sicilia, lord Bentinck, riuscì alla fine a far approvare una Costituzione liberale.

Purtroppo, tale cambiamento politico non bastò ad evitare le tempeste abbattutesi sul governo siciliano. Non si riuscì, per esempio, ad alleviare il peso fiscale.

I ministeri, inoltre, erano sistematicamente attaccati da sinistra, con le critiche del deputato catanese Emanuele Rossi e del senatore palermitano Giuseppe Vaccaro.

La situazione esplose dopo un discorso del presidente  della Camera dei Comuni, Cesare Airoldi, in cui i deputati venivano esortati ad occuparsi prima di tutto delle dissestate finanze del Regno.

Si realizzò a quel punto il convergente attacco dei demagoghi di sinistra e dei moltissimi realisti ferdinandei eletti nel nuovo parlamento, apertosi il 18 luglio 1813.

Puntualmente, perciò, arrivarono i disordini a Palermo, nella notte del 18 luglio.

A questo punto, il principe Carlo  Cottone di Castelnuovo dovette lasciare il governo.

Salvatore Paolo Garufi

fonte

blog. ilgaruficolori

 

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