Fred Astaire, il ballerino per antonomasia di Alfredo Saccoccio
Oliver Hardy disse : “Fred Astaire ! Datemi il suo orecchio, le sue gambe, la sua voce e la sua figura, e poi vi faccio vedere se non sono buono anch’io a fare quello che fa lui e forse meglio. Le sue danze più popolari piacciono tanto perché sono divertenti e spiritose e io non sono meno divertente e spiritoso di lui”.
…Oliver aveva ragione ed anche il grande Astaire lo riconosceva: “E’ terribilmente difficile rendere popolare una danza ; perché essa possa piacere al pubblico, occorre prima di tutto che sia sostenuta da un tema comico o grottesco ; altrimenti non se ne fa niente, o tutt’al più essa può arrivare al pubblico dopo molto tempo e indirettamente, attraverso la moda, le lodi degli “snobs”, o l’ostinazione di un grande ballerino a ficcarcela nelle sue creazioni ; ma la comicità e il grottesco sono i più sicuri veicoli del successo per una danza”.
Però Fred Astaire, al secolo Frederick Austerlitz, sapeva che non è facile : “Se il vento dell’ispirazione è intorno a me quando io danzo, ebbene, lasciatemelo dire, danzo veramente bene ; e spesso, quando la Musa guida i miei passi, sento che se le mie evoluzioni rimanessero iscritte nell’aria e quelle linee si potessero trasformare in un equivalente poetico, io scriverei dei poemetti non meno armoniosi di quelli di Baudelaire. Ma quanto a piacere al pubblico, è un’altra cosa ; qui cominciano i compromessi : una danza con un tema altissimo aleggerebbe troppo al di sopra della platea ; una danza con tema troppo basso sarebbe una degradazione inutile, perché il mio stile, la mia tecnica stessa di danza non sopporterebbero un tema troppo banale; occorre dunque trovare qualcosa che stia fra la sinfonìa e la canzonetta, ed è appunto quel che mi sforzo di trovare quando debbo piacere al pubblico. Qualcosa in cui entri quel minimo di pazzia e d’imprevisto, senza di che la danza più tecnicamente perfetta del più perfetto virtuoso sarebbe insipida, e in cui però questa pazzia non degeneri mai in pantomima meccanica e farsesca”.
Fred Astaire non diceva queste cose dall’alto di una cattedra, perché pensare in termini di danza era per lui naturale come vivere e camminare in termini di danza. Lui che cominciò a danzare a cinque anni e che debuttò a Broadway a soli dodici anni. Quando egli camminava per i fatti suoi ed era magari soprappensiero perché gli volevano imporre una “gag”, che egli trovava troppo volgare, quando insomma se ne andava in giro pensando a tutt’altro che alle sue piroette e ai suoi balletti, si aveva sempre l’impressione che, da un momento all’altro, la sua passeggiata dovesse “rompere” in un passo di danza. Il suo nome rimarrà legato al tempo di “swing”, che si potrebbe tradurre “tempo a dondolo”, ma sarebbe tradotto male, perché lo “swing” è un più grazioso e più malizioso e nervoso ondeggiare di tutta la persona, e dondolìo non ne suggerisce l’idea.
Fred pesava quarantotto chili, aveva i capelli di un biondo cenere, gli occhi un po’ stanchi, come assonnati, con un’aria di farsi perdonare il suo successo e la sua fama, con un’espressione piena di una sorridente e fanciullesca timidezza e, come un fanciullo, lesto e leggero in tutta la persona. Anche quando si sedeva, si buttava indietro con tutto il corpo,; e se non fosse per il decoro del nome e dell’età, certamente avrebbe buttato le gambe in aria. Le interviste lo infastidivano perché lo obbligavano a pensare e, sotto questo riguardo, egli era pigrissimo. Quando gli chiedevano come si fa ad avere successo a Hollywood,i diceva che il mezzo più sicuro era quello di fare dei buoni films. Il giornalista capiva l’antifona e cambiava argomento : “Qual è il film che preferite fra quelli da voi girati ?”. “Quello che giro in questo momento e, se mi rifarete questa domanda l’anno venturo, quello che starò girando allora. E se volete sapere perché mi sono diviso da Ginger Rogers, vi dirò che per il suo bene e il mio occorre ogni tanto farci vedere in compagnia di altra gente, altrimenti il pubblico si stanca di noi, come si stanca allo spettacolo di un matrimonio felice, anche se la coppia è la meglio assortita del mondo. E se volete sapere i miei progetti, vi dirò che sto studiando le danze per un film con musiche di Irving Berlin e dopo ho in animo di fare un film sulla vita di Irene e Vernon Castle, e anzi ho trovato già il titolo: “Castles in the air”. E dovete ammettere che è una discreta trovata”.
Era infatti una trovata : “castle” significa castello : ora, trattandosi di una pellicola basata sulla rievocazione degli aerei virtuosismi dei Castle, una famosa coppia di ballerini, non c’è titolo più azzeccato di “Castelli in aria”. Ginger Rogers fu di nuovo a lato di Fred in questa produzione.
“Può darsi che qualche volta mi sia ripetuto, ma mai l’ho fatto coscientemente. Ogni volta che introduco un passo o un balletto in un film, lo faccio sempre con la convinzione che mai prima d’allora io o altri l’abbiano danzato “. E siccome è lui che crea tutti i suoi numeri, è facile comprendere quanto laboriosa sia la sua gloria. Il metodo di lavoro di Fred Astaire era il seguente : quando un film è progettato per lui, Fred va dal produttore e si fa dire, in generale, di che si tratta. Se è possibile, si fa dare anche la musica. Poi comincia a pensarci sopra. E’ questione di ispirazione. Se è in vena, i temi di danza scendono nelle sue gambe a decine, suggeriti dai più comuni incidenti o dagli oggetti più imprevisti. Se, invece, l’estro non funziona, non insiste.Egli va a prendere una boccata d’aria, un duplice “whisky”, va al circo equestre, all’esposizione dei cani, senza pensare alla danza ; è sicuro che lo stato di grazia non può tardare. E, infatti, un pretesto qualsiasi basta spesso per aprire il rubinetto della fantasia creativa : un uomo che insegue il cappello in una giornata di vento, le manovre di un zerbinotto per fermare una bella ragazza, il passo cadenzato di un “pizzardone” o quello malcerto di un ubriaco. “I balletti della grande città”, Fred li chiama, e appena uno di essi gli suggerisce un’idea, un inizio di danza, o soltanto il sospetto che contenga un’idea o un inizio di danza, corre a casa o allo studio, in sala di prova, e comincia a trasformare quel tema di cronaca in tema di danza.
Spesso questo tema si incontra con altri temi che gli giravano per la testa da anni ed è il caso più fortunato, perché allora il balletto si può considerare già pronto nelle sue linee fondamentali. Altre volte, sono veri e propri lampi di genio che folgorano il suo cervello, persino nel sonno. Il balletto di “Top hat”, in cui Fred Astaire spara e abbatte con il suo bastone una fila di ballerini in frac e cilindtro, gli venne una mattina verso l’alba. Era in preda ad un sonno agitato, perché, da alcuni giorni, cercava un’idea per quel balletto e non la trovava.. La trovò in sogno. Vide perfettamente la fila dei ragazzi om marsina e lui si divertiva a sparare loro addosso con un bastone. Si svegliò di botto, scese dal letto, prese dall’armadio un ombrello e cominciò a provare il balletto. Andava a meraviglia. Finalmente liberato dall’incubo, se ne tornò a letto e dormì fino a mezzogiorno. Talvolta accade ch’egli non abbia nessuna idea, ma soltanto il presentimento che le idee verranno, non appena stuzzicate da un motivo musicale. Fred va in sala di prova e prega il suo pianista di cominciare : si mette nel centro della sala e aspetta. Oziosamente, senza un preordinato disegno, lascia che i suoi piedi tentino dei passi e, pian piano, mentre il pianista adatta la musica a quel barlume di danza che comincia ad intravvedersi nei vaghi movimenti degli arti del ballerino, questi prende sempre più coraggio finché l’idea del balletto, per quanto rudimentale, inizia a prendere forma.. In un angolo, Hermes Pan, un direttore di danza, prende nota dei particolari della prova, in modo da suggerirli in seguito al ballerino, nel caso che se ne scordasse. Così nasce il numero di danza.
Quando il tema è stato trovato, Astaire comincia a ripulirlo, a lucidarlo, a verniciarlo, e questo lavoro, che è il più delicato, se non il più importante, prende settimane, persino mesi. A teatro, questo lavoro di rifinitura avviene durante le rappresetazioni stesse e il balletto migliora strada facendo. Però per il cinema non è possibile. E’ necessario, quando egli si presenta davanti all’obiettivo, che il numero sia già perfetto in tutta la sua struttura e in tutti i suoi dettagli. “Un’altra differenza fondamentale c’è tra teatro e cinema, almeno per quello che ci riguarda : sul palcoscenico, una danza o un gruppo di danze vanno bene per almeno due anni ; nel cinema, non è possibile ripetersi in due pellicole successive e siccome in due anni io giro quattro film almeno, il mio cervello, da quando faccio il cinema, lavora quattro volte di più di quando facevo il “music-hall”.
Astaire, che era anche un cantante e un eccellente pianista, aveva una particolare avversione per le sale da ballo. Non vi entrava quasi mai e, se vi entrava, era difficile che ballasse. “Mi sembrerebbe di ritornare a lavorare”, egli diceva e non aveva torto. “Soltanto se si tratta di una buona orchestra e il motivo è originale e provocante, allora l’istinto professionale si risveglia e mi mette in agitazione e debbo fare un paio di giri per calmarmi”.
Una delle cose che più gli davano fastidio era l’essere paragonato ai più grandi ballerini, come Vasha Nijinsky ( il Principe, il Fauno, il Sogno ) , o Serge Lifar. Questi nomi gli mettevano soggezione e preferiva che si parlasse di lui come di un buon ballerino di commedie musicali, e nemmeno il migliore. Era, però, una modestia a buon mercato, perché Serge Lifar dichiarò, più volte, che Astaire era uno dei due o tre più grandi ballerini moderni e un supplemento della grave, solenne, prudentissima “Enciclopedia Britannica” dedicò alla voce “Astaire” più di due colonne.
“Follie d’inverno”
La fortuna di Fred Astaire e Ginger Rogers, coppia protagonista indivisibile di numerosi film-rivista, sempre assai graditi al pubblico, scritturata ad Hollywood all’avvento del sonoro, è dovuta, in gran parte, al fatto che, durante tre quarti almeno di ogni loro film. lo spettatore dimentica che essi sono due ballerini e li considera attori, due buoni attori come tanti altri.
Quando improvvisamente la coppia, come a un segnale misterioso, inizia i suoi movimenti e, quasi volando, si separa, si ricongiunge e volteggia unita per lo spazio, si prova senz’altro stupore. L’abilità dei due ballerini è di un genere nuovo ed inusitato. La compostezza dei loro moti, la precisione dei passi, ha l’esattezza persuasiva di un teorema. Fred e Ginger vogliono far dimenticare il loro peso e ogni loro sforzo è volto alla ricerca di effetti di estrema eleganza, leggerezza, ariosità. A differenza di altri danzatori famosi, non ricorrono a costumi evocativi, non si ispirano ad atmosfere esotiche e di colore. Il loro ballo è meccanico e moderno ; ha preso in prestito dai negri il ritmo, convulso, preciso, martellato. I loro piedi battono il terreno con la levità di una macchina da scrivere. Quando il ballo è finito, nessun sintomo di stanchezza e di disordine. I loro abiti da sera sono freschi e aderenti come all’inizio.
In ogni modo, tutta questa bravura, in fondo, finisce per stancare. La trama, che in ogni film dei due ballerini fa da pretesto ai loro saggi, diventa sempre più artificiosa. Si sa già da principio quante volte Fred Astaire danzerà, si conoscono le espressioni del suo volto ironico e scanzonato, e già ci pare di udire la sua voce nelle canzoni che egli rivolgerà alla sua compagna.
In “Swing Time” (in italiano “Follie d’inverno”, 1938), sempre maggiore appare l’affiatamento della coppia. Come quei due corpi magri ed elastici riescano a volare, fa meraviglia, ma ormai non ci attrae più come una volta.
Fred Astaire impersona un ballerino di provincia che sulla soglia del matrimonio, invece di sposarsi, prende il treno e va a New York in cerca di fortuna. L’accompagna un amico prestigiatore. A New York conosce una maestra di ballo, Ginger Rogers. Finge di voler prendere lezione da lei, poi ne diventa il compagno. Attraverso una serie di avventure, eccolo comproprietario di un tabarin. Qui, nelle vesti do un negro, sbalordisce il pubblico con le sue danze prodigiose. Dovrebbe sposare, secondo la promessa, la sua antica fidanzata, Margherita, ma ormai è innamorato di Ginger Rogers e, dopo qualche allegro contrasto, riuscirà a sposarla.
Il film, oltre ai due ballerini famosi, ha qualche attore secondario di straordinaria efficacia. Pare impossibile come il cinema americano, piuttosto lento e prudente nel rivelare nuovi attori di prima grandezza, sia così vario e abbondante per quel che riguarda i generici. E’ raro che in ogni film non ne compaia uno nuovo, che stupisce per la naturalezza e consumata pratica del recitare. Qui, oltre alla figura del prestigiatore, quello stesso attore che impersonava l’impresario teatrale in “Gold Diggers”, appare un tipo di padrone di accademia, che non ricordiamo di aver visto prima d’ora, ma, nel poco tempo ch’è di scena, ha una maniera così sorprendente di parlare e muovere gli occhi, che ci fa rimpiangere di non averlo visto in altre interpretazioni, come caratterista di genere brillante (“Papà Gambalunga”, 1955; “Cenerentola a Parigi”, 1956) o drammatico (“L’ultima spiaggia”, 1961).
Alfredo Saccoccio