Galasso, il pensiero di Croce e il “neoborbonismo”
Sono un lettore di Giuseppe Galasso. Dei suoi articoli e dei suoi libri. Ho apprezzato molto le edizioni Adelphi che ha curato per la ristampa di diverse opere di Benedetto Croce.
L’ultimo è stato il prezioso libricino giovanile di Croce “La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte”. Acute e profonde le sue prefazioni da studioso della storia, della storiografia e del pensiero crociano. Come spesso mi accadeva, il 13 ottobre scorso, gli scrissi una mail di complimenti. Mi rispose, con il proverbiale voi di chi della cultura e della tradizione napoletana è imbevuto: “Grazie sempre della vostra attenzione”.
Galasso se ne è andato a 88 anni e tanti in queste ore lo hanno ricordato in pagine e pagine sui giornali napoletani e non. La sua idea della storia, ma soprattutto la sua grande conoscenza del pensiero crociano lo spinsero a compiacersi, un anno fa, sul Corriere del Mezzogiorno (giornale dove collaborava, curando una seguita rubrica domenicale sulla “questione meridionale”), per la lettura, al teatro Bellini, di alcuni passi degli scritti di Croce affidata a Tony Servillo. Ancora una volta, gli inviai una mail apprezzando quanto aveva scritto sull’attualità del pensiero di Croce.
Mi rispose e fu, stavolta, una mail non breve quella del 5 febbraio di un anno fa. Fu l’occasione per parlare di Croce che qui mi sembra utile riproporre, citando testualmente dalla mail di Galasso: “Croce resta sempre e non solo una gloria napoletana di rara qualità e di alte dimensioni…Egli vive come vivono i classici, che sembrano lontani e sono, in realtà, costantemente accanto a noi. Per i giovani si tratta di un recupero reso difficile (ma il problema è ben lontano dal riguardare il solo Croce) dalla scuola e dal tipo di cultura del nostro tempo di grande transizione”.
Come non dargli ragione, in un momento di bombardamenti di messaggi, notizie in superficie, storia e storie da social, che tutto annulla e nulla lascia all’approfondimento. Su quello che chiamava il “neoborbonismo”, la nascita di tanti movimenti sulla rilettura della storia del Risorgimento aveva una visione assai critica. La espresse, senza timori, alla presentazione della prima edizione del mio “I vinti del Risorgimento” edito da Utet. Fu alla Nunziatella, promotore Peppino Catenacci. Tra i relatori, in quell’aprile del 2005, c’era anche Galasso. Espresse il suo pensiero sulla dialettica hegeliana e l’ineluttabilità delle vicende di quel periodo storico, ma aggiunse grandi apprezzamenti al mio lavoro e al rigore di ricerca che vi avevo messo. Gli fui grato.
Il confronto, su posizioni non sempre coincidenti, è ricchezza. E come la pensava sui miei libri, lo scrisse in maniera esplicita sempre nella sua rubrica sul Corriere del Mezzogiorno. Era il 13 luglio del 2015, quell’articolo è sempre in Rete e si intitolava “Il paradiso borbonico? E’ solo un’invenzione nostalgica”.
Vi analizzava le ragioni della diffusa attenzione su come avvenne l’unificazione e espresse molte riserve sulla serietà di molti libri pubblicati sull’argomento negli ultimi anni. Parlò di “pseudo letteratura storica (con poche eccezioni)”. Tra le eccezioni, incluse anche me e i miei lavori. Scrisse: “Le clamorose fortune di questa pseudo-letteratura storica, se hanno potenziato il moto di opinione da cui essa è nata, hanno fatto torto alle invero poche opere che sulle stesse note di rivalutazione e nostalgia hanno dato (da Zitara a Di Fiore) contributi poco accettabili, ma sono state scritte con ben altro scrupolo e serietà”.
Aggiunse poi una chiosa: “Questa è una legge comune dell’economia, che non risparmia nessun altro campo. Ovunque la moneta cattiva espelle la moneta buona”. Ancora una volta, gli scrissi una mail ringraziandolo per la lusinghiera citazione. Mi rispose, rimarcando il suo pensiero il 13 luglio del 2015: “Bisogna sempre distinguere la qualità anche fra coloro con i quali si può essere in dissenso”. Una frase che, alla vigilia dell’apertura della camera ardente all’Istituto di Storia patria nella sede del Maschio angioino, mi sento di sottoscrivere, perché è un insegnamento per le sterili e stizzose polemiche da social. Onore al professore Giuseppe Galasso, studioso e storico crociano. Tutti dovremmo sempre ripeterci che la qualità va sempre riconosciuta, “anche fra coloro con i quali si può essere in dissenso”.
Gigi Di Fiore
fonte
https://www.ilmattino.it/blog/controstorie/giuseppegalasso_eil_neoborbonismo-3546147.html
Il dissenso è il sale della democrazia.
Il dissenso è l’humus che alimenta la cultura.
Il dissenso non è mai plateale né offensivo. Cristo era in dissenso con tutto il mondo farisaico che lo circondava, ma non ha mai offeso nessuno, neanche quando, giovinetto, sfuggì ai genitori ed entrò nel tempio a discutere con i dottori della legge!