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GARIBALDI E I MILLE. Mercenari dei Massoni Britannici e complici della Mafia armati contro la Chiesa (anche in inglese)

Posted by on Ott 14, 2023

GARIBALDI E I MILLE. Mercenari dei Massoni Britannici e complici della Mafia armati contro la Chiesa (anche in inglese)

Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.
Gesù Cristo dal Vangelo di Matteo (16, 18)

ENGLISH VERSION HERE

«Tutta la spedizione garibaldina fu monitorata dalle massoneria britannica, che aveva l’obbiettivo storico di eliminare il potere temporale dei Papi. Anche gli Stati Uniti, che pur avevano rapporti diplomatici con il Vaticano, diedero il loro sostegno. Il finanziamento proveniva da un fondo di presbiteriani scozzesi e gli fu erogato con l’impegno di non fermarsi a Napoli, ma di arrivare a Roma per eliminare lo Stato pontificio».

Il ruolo della Grande Loggia d’Inghilterra, costituita nel 1717 a Londra da facoltosi Protestanti per sconfiggere i Cattolici nella lotta per il Trono della Gran Bretagna, fu determinante nella Spedizione dei Mille – in realtà oltre 20mila – con cui il guerrigliero Giuseppe Garibaldi, un Osama Bin Laden ante-litteram, diede il colpo decisivo all’Unità d’Italia facendo implodere il cristiano Regno delle due Sicilie. Siciliani e campani si pentirono di aver tradito i Borboni per i Savoia quando era ormai troppo tardi e al loro brigantaggio per fame il Regno Sabaudo rispose con fucilazioni di massa…

A pronunciare le frasi sopra riportate tra virgolette non è stato uno studioso qualunque ma Aldo Mola, docente di storia contemporanea di Milano e storico della massoneria e del Risorgimento. E’ proprio lui a sostenere con fatti circostanziati che evidenzierò l’intento degli incappucciati del Rito Scozzeze Antico e Accettato per la distruzione della Chiesa Cattolica e, più in generale, del Cristianesimo stesso.

Questo torvo progetto si è effettivamente concretizzato con le rivoluzioni in Francia e Russia e con i moti carbonari delle società segrete che ubriacando il popolo bue con gli ideali di Liberté, Égalité, Fraternité hanno consentito nel giro di due secoli alla Massoneria di controllare il mondo grazie alle banche centrali degli alleati finanzieri ed usurai sionisti. Diventando padroni della Lobby delle Armi quanto di quella delle Big Pharma.

Oggi è san Fabio e voglio farmi il regalo di smascherare con prove inequivocabili l’immonda impostura di un’unificazione farlocca, del Regno d’Italia prima e della Repubblica Italiana poi, ancora frantumata in regionalismi etnici insanabili dai transalpini piemontesi ai tirolesi trentini, dai borbonici campani ai moreschi sardi, dai bizantini veneziani ai berberi siciliani. A contenerne le istanze secessioniste evitando contrapposizioni e frammentazioni ci ha pensato in due secoli un Deep State alquanto originale costituito da un’amalgama tra potenze militari, massoneria e mafia.

GARIBALDI, MAZZINI E LE COSPIRAZIONI MASSONICHE

Chi fa risalire questa triplice morsa in cui è soffocata la libertà e democrazia dell’Italia allo scellerato patto del 1943 tra l’esercito degli Stati Uniti, la Central Intelligence Agency (allora OSS) e Lucky Luciano, il boss dei due mondi, commette un grosso errore. Perché lo sbarco degli Alleati in Sicilia non fece altro che ripristinare quel dominio occulto di militari stranieri, massoni e mafiosi realizzato dal mercenario dei due mondi Giuseppe Garibaldi (Nizza 1807 – Caprera 1882).

Di fatto fu l’inizio di quei successi del Nuovo Ordine Mondiale e del cosiddetto Deep State di cui stiamo sentendo le conseguenze anche oggi a causa di una pandemia da sospetta bio-arma o esperimento pericoloso sfuggito di mano, quale appare il virus SARS-Cov-2 dopo la conferma dell’inserimento di HIV al suo interno di un’ultima clamorosa ricerca francese.

Oggi invece che a lui, onorato con vie, piazze e monumenti a celebrazione di quel periodo buio e sanguinario che fu il Risorgimento, vorrei erigere un busto al collega giornalista Giovanni Greco, dottore in Conservazione dei Beni Culturali con laurea in archeologia industriale, dal 1998 direttore responsabile della rivista on line “BelSalento.com – arte, storia, ambiente, politica e cultura della Terra dei Due Mari – Servizi di Fruizione Culturale”.

Se ben poco ho dovuto ricercare per questo articolo sul generale corso dalla Giubba Rossa devo ringraziare il meticoloso ed immane lavoro di ricerca condotto da Greco, non a caso freelance internazionale dell’agenzia GNS Press tedesca visto che in Italia – chi tocca i mostri sacri della Massoneria risorgimentale – non ottiene posti di prestigio nel gotha del giornalismo nazionale. Il fatto che io sia corrispondente per il sito americano di geopolitica e intelligence militare Veterans Today non è pertanto ovviamente casuale: avendo rifiutato la cooptazione massonica nel lontano 2000…

Proprio per premiare gli eroici reportages di Giovanni Greco riferirò fatti essenziali invitando i lettori più appassionati a leggersi tutta la saga sui garibaldini al soldo dei massoni britannici nella versione originale. Onde attirare l’attenzione dei più scettici anti-revisionisti sulla Spedizione dei Mille comincio con una citazione imponente per la statura morale di chi la fece.

«Prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia».

Queste frasi le pronunciò il giudice Rocco Chinnici, il primo magistrato a morire ucciso da un’autobomba il 29 luglio 1983 a Palermo, che ho ricordato in un reportage insieme ad un’altra vttima eccellente di un attentato: il presidente degli Usa Abramo Lincoln guardacaso assassinato proprio da un Massone dopo che l’Unione Nordista sconfisse i Confederati del Sud tra i quali spiccava per crudeltà il generale Albert Pike, tra i fondatori del Ku Klux Klan ma destinato a diventare il “papa” della Massoneria americana quando nel 1859 divenne Gran Maestro del Rito Scozzese Antico ed Accettato (che più avanti chiameremo per brevità RSSA).

Pike fu anche fondatore della Young America grazie all’ispirazione-collaborazione dell’allora terrorista, oggi ahinoi patriota, Giuseppe Mazzini, che aveva creato Giovine Italia e Giovine Europa dando inizio ai moti rivoluzionari nel vecchio continente prima di rifugiarsi a Londra dove fu accoltò nella casa dello zio di Ernest Nathan e dove divenne intimo del Segretario di Stato britannico, Henry John Temple, terzo visconte di Palmerston (1784-1865), ed esponente di spicco della Gran Loggia d’Inghilterra.

Nathan, è importante ricordarlo, sarebbe poi diventato Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e Sindaco di Roma capitale (1907), parzialmente sottratta con armi e spargimenti di sangue allo Stato Pontificio dopo la Breccia di Porta Pia.

Chiarito brevemente il contesto vediamo l’importanza di alcune date fatidiche. Pike nel 1859 in Nord America diviene Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio Circoscrizione Sud RSSA (Loggia Madre di Charleston poi trasferita a Washington). Nel 1860 Mazzini fonda il Supremo Consiglio di Palermo.

IL RUOLO DELLA MASSONERIA NELLA SPEDIZIONE DEI MILLE

«L’11 maggio 1860 con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus, Garibaldi sbarca a Marsala. E dello stesso giorno è interessante anche la nota di Garibaldi sull’arruolamento: “Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta”» lo scrive appunto Greco nel primo dei suoi due splendidi reportage (fonte 1 – link a fondo pagina).

«Nella spedizione dei Mille, il ruolo della massoneria inglese fu determinante, con un finanziamento di tre milioni di franchi ed il monitoraggio costante dell’impresa. Lo sostiene la Massoneria di rito scozzese, dell’Obbedienza di Piazza del Gesù, che nei giorni scorsi ha ricordato la nascita nel luglio 1807 del nizzardo in una conferenza stampa ed un convegno a Napoli, alla presenza del Gran Maestro Luigi Pruneti e del Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, Pierre Lambicchi» si legge ancora nell’articolo che cita quindi ampi brani della conferenza dello storico Aldo Mola.

«I fondi della massoneria inglese – ha evidenziato lo storiografo del Risorgimento – servirono a Garibaldi per acquistare a Genova i fucili di precisione, senza i quali non avrebbero potuto affrontare l’esercito borbonico, che non era l’esercito di Pulcinella, ma un’armata ben organizzata. Senza quei fucili, Garibaldi avrebbe fatto la fine di Carlo Pisacane e dei fratelli Bandiera».

«La appartenenza alla massoneria – ha detto ancora il professor Mola – garantì a Garibaldi l’appoggio della stampa internazionale, soprattutto quella inglese, che mise al suo fianco diversi corrispondenti, contribuendo a crearne il mito, e di scrittori come Alexandre Dumas, che ne esaltarono le gesta. Non che lui non lo meritasse, ma tanti altri meritevoli non hanno avuto la stessa notorietà».

«In coscienza e sinceramente credo che l’Ordine massonico sia, se non il più grande, uno dei più grandi mali morali e politici che grava su tutta l’Unione» scrisse John Quincy Adams, VI presidente degli Stati Uniti d’America nelle sue Letters on Freemasonry «Lettere sulla Massoneria», 1833.

«C’è un filo rosso che lega tutti i grandi delitti. Un unico progetto politico…» gli fecce eco un secolo dopo ancora il giudice Rocco Chinnici seguendo la china di quel Nuovo Ordine Mondiale di cui un ufficiale di marina canadese, il commodoro William Guy Carr, svelò le trame nel suo celebre libro “Pedine nel Gioco” del 1956 dove trovano ampio spazio i carteggi tra Pike e Mazzini.

LETTERA DI CREDITO SCOZZESE E LEGIONE BRITTANICA

Al di là degli intrecci tra i registi vediamo però le prove che attestano il ruolo della massoneria britannica nella spedizione dei Mille. Il più eclatante è una lettera di credito rilasciata a Giuseppe Garibaldi dalla National Bank of Scotland nel 1860 e pubblicata nel secondo reportage di Greco sull’argomento che evidenzia i numerosi passaggi che consentirono al documento emesso dalla Banca Nazionale Scozzese di Edimburgo il 22 agosto 1860 di essere depositato per il pagamento presso la Glyn & Co. Banking House di Londra.

«In realtà, oltre questa lettera di credito proveniente dalla raccolta fondi fatta in Scozia, vi furono molte altre pubbliche sottoscrizioni per la raccolta di fondi a sostegno di Garibaldi, o meglio, per sostenere l’invasione del meridione – aggiunge Greco – A Milano, già il 24 gennaio 1860 commercianti milanesi avevano raccolto una offerta pari a £ 70.226,85 per l’acquisto dei fucili per la spedizione. Ma anche Cavour aveva fatto pervenire a Garibaldi prima della partenza, la somma di Lira Italiana 20.000. Mentre il 9 maggio 1860, tre giorni dopo la partenza da Quarto, un telegramma dell’agenzia Reuter di Marsiglia trasmesso da “The Glasgow Herald” comunicava che Garibaldi partiva e che prima dell’imbarco “l’eroe dei due mondi” aveva acquistato tre milioni di franchi in oro dalla Banca San Giorgio di Genova».

Ecco i soldi della Massoneria inglese con cui il rivoluzionario reduce deelle imprese di guerriglia mercenaria in Urugay acqusitò i fucile per la spedizione. Ma questo non fu l’unico supporto inglese determinante al successo della missione garibaldina.

«Nel 1860 con l’ingegnosa scusa di una bella “Escursione nel Sud” si invitavano volontari ad invadere il meridione. Infatti presso gli uffici al No. 8 di Salisbury Street, London si poteva fare domanda alla “Commissione Garibaldi” per partecipare alla “Escursione in Sicilia e a Napoli per visitare l’Italia del Sud e aiutare la “Causa di Garibaldi e dell’Italia» rammenta il giornalista del Salento in un terzo articolo.

In esso si fa riferimento alla cosiddetta Legione Britannica, un corpo militare di volontari inglesi e scozzesi, che vennero definiti “Garibaldi Excursionists” per evitare problemi di apparenze diplomatiche.

I finanziamenti per l’invio della legione in Italia provenivano dal “Garibaldi Special Fund”, nato dopo l’istituzione nel 1859 del “Garibaldi Fund” per raccogliere fondi a favore della causa per l’unificazione italiana, che in Inghilterra era molto sentita (soprattutto in funzione anti francese) e sostenuta anche a livello popolare, anche per la presenza di numerosi rifugiati politici italiani, che tenevano conferenze e fondavano associazioni italo-inglesi per aiutare la causa dell’indipendenza italiana.

I GIORNALISTI DEL TIMES IN MISSIONE MILITARE IN SICILIA

Non va infatti dimenticato che a livello internazionale non si erano ancora del tutto sopiti gli attriti tra Gran Bretagna e Regno delle Due Sicilie inerenti la cosiddetta Questione degli Zolfi (1838-1840) quando Londra, guidata dal già citato segretario di Stato Temple, minacciò una rappresaglia contro Napoli e la monarchia di Ferdinando II che aveva cercato di svincolarsi da un’esclusiva commerciale per fornitura del prodotto delle solfatare siciliane all’Impero Britannico stipulando un più vantaggioso accordo con la Francia. Proprio nel momento in cui agli inglesi coloniali serviva lo zolfo per la polvere da sparo con cui sterminare gli indiani nativi nel Far West del Nord America…

Quelle tensioni si incancrenirono quando i soldati francesi intervennero nel 1948 in aiuto dello Stato Pontificio e fecero cadere la brevissima esperienza della Repubblica Romana, guidata politicamente da Mazzini e militarmente da Garibaldi, che aveva costretto Papa Pio IX a rifugiarsi a Gaeta dopo l’attentato omicida al giurista Pellegrino Rossi nominato ministro dell’Interno e della Polizia dal Vaticano nel tentativo fallito di mediare con i golpisti liberali.

Allora, come oggi in Medio Oriente ed in Ucraina, l’astuzia sovversiva anglosassone fece affidamento anche sui media. E come oggi con George Soros anche allora s’incuneò un infiltrato magiaro…

Nandor Eber (1825-1885) di discendenza Askenazita e origine ungherese ma naturalizzato inglese, patriota per la libertà dell’Ungheria dall’Impero Austro-Ungarico degli Asburgo, falliti i tentativi insurrezionali, si era rifugiato con altri connazionali in Italia combattendo per la sua libertà e dando vita, assieme al colonnello Istvan Turr, alla “Legione ungherese” che si battè agli ordini di Garibaldi in molte sue imprese.

«Nel 1860 lo troviamo accreditato come corrispondente inglese del “Times” a Palermo e grazie ad informazioni acquisite in tale veste, è in grado di fornire a Garibaldi giunto in vista di Palermo l’esatta dislocazione delle truppe borboniche poste a difesa della città» scrive Giovanni Zannini nel suo blog InformaStoria (fonte 4).

Ciò facilitò la sua conquista ed in premio della preziosa collaborazione Garibaldi lo nominò subito colonnello brigadiere affidandogli il comando della 15° divisione – di cui faceva parte la Legione ungherese – che attraversato il centro dell’isola passando per Caltanisetta e Castrogiovanni, avrebbe poi raggiunto il 25 luglio 1860 Catania, ormai abbandonata dai Borboni

«Altro protagonista di tale singolare filone giornalistico-militare risorgimentale fu Antonio Gallenga (1810-1895) nato a Parma, figlio di un ufficiale piemontese dell’esercito napoleonico. Negli Stati Uniti insegnò italiano a New York ed a Boston, in Inghilterra ebbe la cattedra d’italiano al Queen’s College di Londra e della Nuova Scozia, insegnò a Eton, tenne corsi su Dante a Manchester, in Italia insegnò a Firenze, tenne conferenze e scrisse un libro» riferisce inoltre Zannini.

Gallenga «come giornalista lavorò per il “Times” che alla fine lo utilizzò come inviato all’estero. Politicamente inquieto, in gioventù antimonarchico, aveva progettato di assassinare il re Carlo Alberto al grido di “Lunga vita all’Italia, e muori!”: ma il regicidio era fallito perché l’attentatore non era riuscito a procurarsi l’arma per metterlo in atto. Però il comportamento di Vittorio Emanuele II a favore dell’Unità d’Italia gli fece cambiare opinione, ne divenne entusiasta sostenitore tanto da partecipare alla spedizione garibaldina in Sicilia».

Era giunto a Messina a bordo del piroscafo “Washington” mandato dal “Times” per sostituire Eber. «E siccome anche Antonio Gallenga di guerra, di armi e di soldati se ne intendeva per aver menato le mani nel 1848 a Milano ed a Mantova, Garibaldi nominò anche lui colonnello e gli affidò, assieme ad un altro colonnello inglese, John Whitehead Peard, il comando di una colonna di volontari inglesi con l’incarico di precederlo, dopo il passaggio dello stretto di Messina, nella marcia di risalita della penisola». Il riferimento di Zannini è alla famosa Legione Britannica.

LE NAVI DELLA ROYAL NAVY A MARSALA

Accanto agli infiltrati volontari, però, si mosse pure la flotta della Royal Navy. A sostenerlo è lo stesso Garibaldi nelle sue memorie in riferimento alle navi da guerra Argus e Intrepid, provenienti da Palermo, che entrarono nel porto di Marsala circa tre ore prima della comparsa dei legni piemontesi pariti da Quarto.

«La presenza dei due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti dei legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo di ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera di Albione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di sangue umano; ed io, beniamino di codesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto».

Un ruolo decisivo, infine, lo svolsero le bande di picciotti locali comandate da Antonino Giovanni Francesco Currau, noto con il nome di Giovanni Corrao, passato alla storia come patriota e rivoluzionario ma anche come primo presunto mafioso menzionato dalle cronache ufficiali.

Nel 1848 abbandonò il suo lavoro per prendere parte alla rivoluzione siciliana, durante la quale si distinse per coraggio e abilità; con il ritorno dei Borboni, dopo vari anni di detenzione, fu costretto ad abbandonare la Sicilia e vagare per l’Europa; desideroso di far annettere il Sud Italia da parte dei Savoia, nel 1860 tornò in Sicilia col concittadino Rosolino Pilo, preparando il terreno all’impresa di Garibaldi.

I due partirono da Genova a bordo della tartana viareggina Madonna del Soccorso e sbarcarono a Messina nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1860. Quindi si recarono a Palermo per organizzare un migliaio di volontari che si scontrarono a Carini con le truppe borboniche.

IL COMPLICE MAFIOSO DIVENTA GENERALE IN SICILIA

Con lo sbarco dei Mille il 14 maggio a Marsala prima guidò una manovra diversiva in cui Pilo cadde in combattimento, poi, il 27 maggio, attaccò Palermo dal lato opposto da quello delle truppe garibaldine. Grazie a ciò fu nominato da Garibaldi prima colonnello dell’esercito meridionale e poi generale al comando della Brigata Sicula.

Entrò nell’Esercito Regio ma lo lasciò nel 1862 per seguire nuovamente Garibaldi nella conquista di Roma, un sogno che si dissolse con la Giornata dell’Aspromonte. Tornato in Sicilia, dopo essere stato più volte arrestato dalle autorità locali per presunti coinvolgimenti in alcune azioni criminali, venne misteriosamente assassinato nel 1863 alle porte di Palermo.

Nel 1865 il Prefetto di Palermo Filippo Antonio Gualtiero scrisse il primo documento ufficiale in cui fu menzionato il termine “maffia” proprio in riferimento al Corrao.

«Era d’altronde noto al sottoscritto che queste relazioni [tra partito garibaldino e maffia] erano tenute per lo innanzi dal noto general Corrao, e poi da tempo era in cognizione che costui, senza che il Partito d’Azione lo dubitasse neppure, era passato ai servigi del partito borbonico. Alla morte di costui successe un tal Vincenzo Badia fabbro di cera, che era stato il suo primo strumento, ed era altresì noto allo scrivente che costui aveva seguito le tracce del suo facinoroso maestro ed ora si aveva esso posto al servigio dei Borboni».

Leonardo Sciascia, poeta e scrittore siciliano, in un suo studio apparso nel 1972 su Storia illustrata, ricostruisce con molta attenzione l’origine del termine mafia. Egli riprende anche la teoria relativa all’introduzione del vocabolo nell’isola, ricondotta all’unificazione del Regno d’Italia, espressa da Charles Heckethorn (Charles W. Heckethorn, Secret Societies of All Ages and Countries, London, G. Redway, 1897), il quale si sofferma sulla missione segreta di Mazzini in Sicilia avvenuta nel 1860 l’anno prima dell’Unità d’Italia. Quando fondò a Palermo il Supremo Consiglio massonico del Rito Scozzese Antico Accettato.

Questa teoria, poi ripresa dall’economista e sociologo Giuseppe Palomba, afferma che il termine «MAFIA» non sarebbe altro che l’acronimo delle parole: «Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti».

REGNO D’ITALIA E MAFIA, UN’ALLEANZA STORICA

«Perché il Regno d’Italia sin dall’inizio sceglie il quieto vivere, la convivenza, la coabitazione con camorra e mafia – che altro non sono che gruppi di uomini che si organizzano e decidono di agire contro le leggi usando la violenza per ottenere potere e ricchezza – mentre invece combatte i briganti fino alla loro sconfitta finale?» è la domanda che si pone lo storico Enzo Ciconte nel libro: “La grande mattanza. Storia della guerra al brigantaggio”, Laterza (fonte 5).

«È una scelta precisa: lo Stato combatte i briganti fino alla loro distruzione mentre per il fenomeno mafioso imbocca la strada opposta della tolleranza e della convivenza i cui effetti si prolungheranno fino ai nostri giorni. La scelta è fatta per assecondare i desideri della grande proprietà terriera meridionale che non accetta di venire incontro alle richieste dei contadini di avere almeno uno spicchio di terra delle immense distese di terreni demaniali usurpati con l’inganno dai galantuomini. Queste erano le terre richieste, mentre non c’erano rivendicazioni su quelle dell’aristocrazia il cui possesso legittimo non era posto in discussione».

«Ma la grande paura avvinse gli uni e gli altri preoccupati del fatto che, intaccate le proprietà degli usurpatori, si finisse col prendere di mira anche le altre proprietà. La conseguenza fu che tutte le richieste contadine furono respinte. E ciò alimentò il grande brigantaggio sociale che spinse alla macchia gran parte dei contadini che avendo occupato le terre temevano di finire in prigione» rileva Ciconte.

Le conseguenze furono tremende culminando nella legge Pica. «Fu presentata come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” e, dall’opposizione parlamentare di sinistra valutata e combattuta come una violazione dell’art. 71 dello Statuto del Regno poiché il cittadino “veniva distolto dai suoi giudici naturali” per essere sottoposto alla giurisdizione dei Tribunali Militari e alle procedure del Codice Penale Militare» scrive invece Giovanni Pecora in un dettagliato blog (fonte 6) sul fenomeno in cui cita l’eloquente memoria di prebitero e patriota come Vincenzo Padula.

«Il brigantaggio è un gran male, ma male più grande è la sua repressione. Il tempo che si dà la caccia ai briganti è una vera pasqua per gli ufficiali, civili e militari; e l’immoralità dei mezzi, onde quella caccia deve governarsi per necessità, ha corrotto e imbruttito. Si arrestano le famiglie dei briganti, ed i più lontani congiunti; e le madri, le spose, le sorelle e le figlie loro, servono a saziare la libidine, ora di chi comanda, ora di chi esegue quegli arresti».

Tremende e disumane le conseguenze. La legge Pica 1409/1863, fra fucilazioni, morti in combattimento ed arresti, eliminò da paesi e campagne circa 14.000 briganti o presunti tali, precisa sempre Pecora nel suo articolo. Il complesso normativo protrattosifino al dicembre 1865 determinò 12.000 tra arrestati e deportati, mentre furono 2.218 i condannati. Nel solo 1865, furono 55 le condanne a morte, 83 ai lavori forzati a vita, 576 quelle ai lavori forzati a tempo e 306 quelle alla reclusione ordinaria.

L’AIUTO DELLE COSCHE AGLI ALLEATI

Nacque così l’intreccio perverso tra la mafia, sostenuta successivamente anche da picciotti ribelli in cerca di protezione, e le autorità dotate di poteri talmente eccezionali da non dover rispondere a nessuno per i loro abusi criminali. A nessun’altro se non a quegli uomini d’onore che furono scelti dai potentati locali per fare le veci dei giudici.

Tutto ciò fu temporaneamente spazzato via dall’arrivo del duce Benito Mussolini che inviò il Prefetto di Ferro Cesare Mori a dare la caccia ai mafiosi, facendo fuggire curca 500 famiglie di Cosa Nostra negli Stati Uniti dove si consociarono nel Sindacato del Crimine, ma vietò anche le società segrete interrompendo pertanto le occulte relazioni tra cosche e logge massoniche.

Ciò tagliò fuori i colonialisti anglosassoni che scesero a patti con il famoso boss malavitoso Lucky Luciano, al secolo Salvatore Lucania nato a Lercara Friddi nel 1897, pur di tornare in Sicilia, sbarcare senza troppe perdite ed avere una rete di potere già consolidata.

Fu creata anche con l’aiuto di Vito Genovese, l’altro padrino mafioso da cui prende il nome l’omonima famiglia di New York, ritenuto uno dei fondatori della rete distributiva di eroina negli USA ma divenuto l’interprete ufficiale dell’AMGOT, il governo provvisorio anglo-americano di Palermo che controllò la regione dal 1943 alla Liberazione d’Italia del 1945. Fu proprio tale organismo amministrativo alleato a decretare l’inizio della carriera politica di Bernardo Mattarella, spianando la strada al figlio Sergio divenuto ai giorni nostri Presidente della Repubblica.

Molti sono gli intrighi siciliani narrati in precedenti reportage. Oggi vogliamo ricordare solo un episodio eclatante come l’uccisione del generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa nominato Prefetto di Palermo nel 1982 per combattere la mafia. Vi morì il 3 settembre in un agguato di Cosa Nostra insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro. L’ordine di ucciderlo sarebbe giunto dal deputato massone Francesco Cosentino, deceduto prima che i magistrati siciliani facessero il suo nome davanti alla Commissione parlamentare antimafia in relazione agli intrecci mafia-massoneria.

Questo serve a riportarci al filo rosso menzionato all’inizio… «L’uccisione del giudice Chinnici fu voluta dai cugini Ignazio e Nino Salvo e ordinata dalla cupola mafiosa, per le indagini che il magistrato conduceva sui collegamenti tra la mafia e i santuari politico – economici» scrissero i procuratori antimafia di Palermo.

IL MAFIOSO NELLA LOGGIA MASSONICA DI MAZZINI

Ma quali erano i santuari politico – economici cui fanno riferimento i magistrati? Qualche tempo dopo la sua morte di tumore, che gli evità di affrontare il maxi-processo, si è scoprì che Nino Salvo era iscritto alla Massoneria universale di Rito Scozzese Antico e Accettato. E non in una loggia qualsiasi ma nel “Supremo Consiglio d’Italia” di via Roma a Palermo, la stessa che cent’anni prima aveva conferito il 33° grado a Giuseppe Mazzini prima e a Giuseppe Garibaldi poi…

«Nella Prima Costituente Massonica Italiana (Torino, 26 dicembre 1861 – 1° gennaio 1862), in cui fu eletto Gran Maestro Costantino Nigra, Giuseppe Garibaldi fu acclamato Primo Libero Muratore d’Italia e gratificato di una medaglia d’oro massiccio, avente da un lato l’iscrizione “Costituzione Massonica Italiana” e dall’altra la dedica al “Primo Libero Muratore d’Italia Giuseppe Garibaldi”. Il massone ascolano Candido Augusto Vecchi gliela consegnò al Varignano dove Garibaldi era imprigionato dopo i fatti di Aspromonte» si legge nel sito del Grande Oriente d’Italia.

L’11 marzo 1862 il Supremo Consiglio del Rito Scozzese sedente in Palermo conferì a Giuseppe Garibaldi tutti i gradì scozzesi, dal 4° al 33° e lo nominò Presidente del Supremo Consiglio con il titolo di Potentissimo Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro. Incarico che accettò il giorno 20 dello stesso mese. Il 3 luglio successivo, Garibaldi fece diventare confratelli il figlio Menotti e l’intero stato maggiore: pare nella Loggia palermitana “I Rigeneratori del 12 Gennaio 1848 al 1860 Garibaldini”.

Giuseppe Garibaldi era entrato nella fila degli incappucciati già nel 1844 nella Loggia “Asil de la Vertud” di Montevideo (secondo altri del Rio Grande del Sud), una loggia “spuria”, emanazione della Massoneria brasiliana e non riconosciuta dalle grandi Comunioni mondiali. Nello stesso anno, il 18 agosto, fu regolarizzato nella Loggia “Amis de la Patrie” di Montevideo all’obbedienza del Grande Oriente di Francia, nel libro matricola della Loggia gli fu assegnato il numero 50. Frequentò anche la Loggia “Tompkins n° 471” di Stapleton (New York).

In tempi assai più recenti, nel marzo 2019, i Fratelli Scozzesi RSSA italiani e stranieri si sono riuniti appositamente a Trento per discettare di “complottismo” e farsi un po’ beffa della memoria del I Congresso Antimassonico Internazionale che si tenne in quella città nel 1896 ed a cui partecipò anche Papa Leone XIII, autore dell’enciclica Humanum Genus con cui il 20 aprile 1984 aveva scouminato la massoneria. I confratelli del RSAA si incontrarono per irridere le teorie dei complotti storici forse scordandosi di una tremenda analogia storica…

DALLA GUERRA DELL’OPPIO A PIZZA CONNECTION

C’è infatti davvero quel filo rosso inquietante che lega la massoneria britannica alla Sicilia della mafia. Sono i morti ammazzati per la protezione del commercio della droga.

Nel 1840 Lord Palmerston, Henry John Temple, l’amico di Mazzini e ssponsor della spedizione dei Mille, con una flotta di 40 navi intraprese la Guerra dell’Oppio contro la Cina che stava perseguendo i i mercanti inglesi adusi al contrabbando del prezioso stupefacente (fonte 8). Dopo due anni e tanti morti l’impero britannico ebbe la meglio ed ottenne la firma di un Trattato di Pace secondo il quale i commercianti inglese rimasero sotto la giurisdizione esclusiva dei loro consoli. Ciò consentì al contrabbando di oppiacei di proseguire impunemente…

Nel 1979 l’FBI avviò l’operazione Pizza Connection anche l’iuto del giudice siciliano Giovanni Falcone per smantellare il traffico della droga tra New York e Palermo. Falcone fu poi ucciso con la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della sua scorta in un attentato dinamitardo con esplosivo militare mentre si trovava in autostrada nei pressi di Capaci il 23 maggio 1992.

Se tutto questo è potuto accadere bisogna senz’altro ringraziare anche Garibaldi e la massoneria britannica che l’ha finanziato per fare dell’Italia una colonia anglosasassone prima, un feudo della NATO poi. Dove ora si è potuta avviare anche la speculazione d’affari nel mercato delle armi con dei pericolosi alleati quali i Fratelli Musulmani, ovviamente soci di quella famiglia Rothschild che consentì agli Illuminati di Baviera braccati dalla giustizia di affiliarsi alla massoneria e farla franca.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio

fonte

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