Gemito, le sculpteur de l’ame napolitaine: a Parigi la mostra che apre la stagione napoletana
“È un successo!” informa da Parigi Carmine Romano e il tono entusiasta delle sue parole non lascia dubbi. La mostra “Gemito. le sculpteur de l’ame napolitaine” di cui è uno dei curatori, ha conquistato pubblico e critica. La Parigi razionalista e giacobina comprende e ammira l’accorata realtà dell’artista napoletano. La mostra (dal15/10.al 26/1) è nel Petit Palais, il Musée des Beaux Arts de la Ville, un edificio, nient’affatto petit, costruito per l’esposizione universale del 1900, che non sfigura al cospetto del Grand Palais, che gli sta di fronte con la sua copertura in vetro e acciaio la più grande d’Europa.
La mostra è a cura di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais e di Silvain Bellenger, direttore della Reggia-Museo e del Real Bosco di Capodimonte e ha la curatela scientifica di Jean Loup-Champion, Cécilie Champy-Venan e Carmine Romano. Oltre alla mostra delle 120 opere di Gemito e degli artisti a lui vicini, vi sono in programma concerti, film e le conferenze di Jean Loup Champion, Cecilie Champy-Venan, Angela Tecce, Isabella Valente e Carmine Romano. Queste manifestazioni saranno accolte anche nell’Istituto di Cultura Italiana e nell’Ambasciata d’Italia, dove si aspetta il presidente Emmanuel Macron.
Con Gemito si apre a Parigi “la stagione napoletana”, che durerà quattro mesi, comprendendo una grande mostra su Luca Giordano (1834/1705): “Il trionfo della pittura napoletana” (dal 15/11.2019 al 23/2.2020), che ha la curatela di Stefano Causa e Patrizia Piscitello con Leribault e Bellenger.
Il motore di questi eventi è Bellenger, sempre impegnato nella missione che si è imposto: quella di promuovere Napoli e la sua arte nel mondo. Così la mostra Parade, di Picasso (1881/1973), che tenne a Capodimonte nel 2017, indicava come la creatività del pittore spagnolo fosse stata stimolata dalla cultura popolare napoletana. Così la mostra su Caravaggio (1573/1910), di quest’anno, riproponeva la grandezza del pittore lombardo e dimostrava come fosse stato influenzato dall’ambiente e dalla pittura della Napoli capitale spagnola.
Ora, con queste mostre parigine, Bellenger capovolge questo rapporto tra Napoli e il resto del mondo ed esalta direttamente i grandi napoletani, Gemito e Giordano, che hanno influenzato l’arte europea. Il grande amore che dimostra per la loro città ha reso popolare Bellenger presso i napoletani. Molti sono i commenti su facebook di persone che gli esprimono ammirazione e riconoscenza anche per avere restituito, dopo decenni di degrado, decoro al Museo e al Real Bosco di Capodimonte.
“Devo dirgli grazie per aver fatto riscoprire Capodimonte e la sue bellezze e aver coinvolto al meglio e fatto appassionare centinaia di migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Napoli cresce anche e soprattutto con la cultura. C’è un gran movimento in questa direzione e volentieri mi unirò ai tanti che in questi mesi stanno creando le condizioni perché Bellenger diventi cittadino onorario di Napoli. Credo che meriti in pieno questa onorificenza” ha scritto su facebook Diego Venanzoni, consigliere comunale.
E sembra che ora finalmente proprio il sindaco Luigi De Magistris abbia intenzione di concedere la cittadinanza al francese-normanno direttore di Capodimonte. Un’iniziativa che farebbe risaltare sulla Stampa internazionale il nome di Napoli.
Vincenzo Gemito ebbe una vita travagliata. E fu malato di schizofrenia, da cui guarì dopo molti anni. E anche la sua nascita ebbe un dramma. Quello di una mamma che lo depositò nella Ruota dell’Annunziata. Vincenzo, infatti, era un “figlio della Madonna”, un trovatello come tanti napoletani, che si chiamarono Esposito o Esposto; oppure Genito (= generato), come lui, che, per un errore di trascrizione, fu chiamato Gemito. Fu adottato da una coppia di povera gente. Mamma gli fu una popolana, che, prima con un marito, poi, da vedova, con un altro marito, lo allevò.
Gemito è cresciuto da libero scugnizzo, per le strade di Napoli con il suo amico pittore Antonio Mancini (1852/ 1929), detto ‘Totonno”. che frequentò anche più tardi, cosicché si ritrovarono entrambi a Parigi negli anni 1877 e 1878. Vincenzo è “un ragazzo che si guarda attorno e con estremo realismo ritrae quello che lo circonda, dai pescatori agli scugnizzi, traendo ispirazione anche dalle antichità studiate al Museo Archeologico – dice Bellenger. Che ora aggiunge: “È la prima volta che qui a Parigi viene organizzata una mostra su Vincenzo Gemito, eppure quello di Gemito può definirsi un ‘ritorno’.
Fu proprio a Parigi, infatti, che l’artista, all’età di 25 anni, incontrò la fama internazionale partecipando prima al Salon e l’anno successivo, nel 1878, all’Esposizione Universale, dove presentò ‘Il pescatore napoletano’. Fu proprio a Parigi che Gemito divenne l’artista invidiato da Rodin, guardato da Degas, famoso in tutta Europa.”. Dove, poi, fino a oggi, era stato assolutamente dimenticato.
“Ogni mostra è valida soprattutto se dà un nuovo apporto agli studi.”- ha detto più volte il direttore Bellenger. “Ritraggo quello che esiste” – diceva Vincenzo Gemito. Una visione del mondo profondamente diversa da quella del citato Eduard Degas (1834/1917), che pure disprezzava gli accademismi, che pure cercò di essere realista e tentò di imitarlo. E forse, dal paragone, riusciamo a comprendere meglio il realismo naturalistico di Vincenzo, così diverso, anche per condizione familiare, da Eduard, che era di famiglia nobile e danarosa. Il nonno di Eduard, che, infatti, si chiamava René Hilaire de Gas, con la nobiliare “d” minuscola, durante la Révolution scappò dalla Francia e riparò a Napoli. Qui comprò il grande Palazzo Pignatelli di Monteleone, nel centro antico, chiamato dal popolo napoletano, che ne ricorda, ancora una volta storpiandolo, il nome, “ ‘O Palazzo d’ ‘o gas”.
Degas, anche lui innamorato della realtà, cercò di studiarla attentamente e di rappresentarla precisamente. Famose, in pittura, sono le ballerine che lui, amando un realismo senza orpelli, rappresentò nella loro vita quotidiana, quando, affaticate, si grattano la schiena o finalmente fanno un bagno ristoratore. Ma non esprimono il ristoro, la piacevolezza di questo bagno. Il fascino dell’arte di Degas è nell’eleganza e nel ritmo ben calibrato della composizione più che nel corpo delle ballerine, le quali, generalmente, si librano leggere solo nel colore.
Purtroppo l’artista francese via via perse la vista. Allora abbandonò la pittura dandosi alla scultura. Anche le sue ballerine a tre dimensioni esprimono la bellezza nel ritmo della struttura più che nella naturalezza del movimento, che invece è propria delle figure di Gemito. Il quale sa che dentro i corpi di questi suoi ragazzini, le bocche socchiuse, gli occhi profondi di vivaci pensieri, c’è la forza del vivere, anche tra le lacrime. Gemito comprende la sensazione inconsapevole della vitalità corporea che anche lui ha provato, anche lui è stato un libero scugnizzo felice, a volte, pienamente, pur nella miseria.
Quei ragazzini appollaiati sugli scogli, quelli che per la strada portano una mummera d’acqua non esprimono fatica ma l’inconsapevole gioia dell’essere vivi, di sentirsi agili e sciolti, di muoversi liberamente, come libera è l’anima napoletana. Non per niente la mostra si intitola Gemito lo scultore dell’anima napoletana.
Adriana Dragoni