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GIOSTRE E TORNEI MEDIEVALI

Posted by on Mag 4, 2024

GIOSTRE E TORNEI MEDIEVALI

Uno dei maggiori spettacoli che attraeva le folle nel passato, era la sofferenza inflitta al reo, al nemico, a colui che metteva in discussione l’organizzazione civica di una comunità. Al tempo della cavalleria e dei cavalieri, si misuravano i sentimenti di indomiti figuri, abili a cavallo e a piedi nel promuovere nel palcoscenico del convito la vita, con i suoi eroismi, l’ardore e le rinunce nell’amore, e la morte, data con la violenza dell’odio, e del disprezzo dell’altro.

Vi erano personaggi molto famosi nelle corti d’Europa, per essere abili giostrai specializzati nel corpo a corpo, nel duello con la spada, alle mazze, con le alabarde e i bastoni. Oppure, nei tornei di giavellotto con le punte e le antenne montando focosi destrieri, agghindati e riparati da gualdrappe in maglia di ferro. Famosi erano i tornei in Andalusia dove sprezzanti cavalieri affrontavano tori selvatici, come pure le corserie turche presso Costantinopoli, vanto di molte genti islamiche, ancora oggi ricordate in numerosi centri del Mediterraneo, come le giostre saracene.

Messina non era da meno visto che, da molto tempo organizzava sfide simulate nel gioco della guerra.

Sia nell’alto che nel basso Medio Evo in città, si crearono in apposite aree, luoghi attrezzati per questo tipo di rappresentazione teatrale aree apposite per i combattimenti.

Ben presto la fama dei cavalieri messinesi valicò i confini dello stretto, descrivendo la gente di Messina, fiera e consapevole di una nobiltà, derivata dai fasti del passato, fin dal tempo del regno mamertino; non che, da numerosi personaggi che avevano istoriato lo spirito ribelle dell’indomita Messina. Famosi nella storia i nomi dei cavalieri messinesi che sin dal tempo dell’impero romano, si erano distinti nell’arte della guerra. Come non ricordare il console romano al tempo di Marco Aurelio inteso appunto Mamertino. Quando in città giunse la notizia della sua nomina, la bule di allora, organizzò sontuosi giochi circensi, “ così com’era tradizione “. Neppure si può dimenticare Eufemio da Messina, il turmarca che ribellatosi all’imperatore, dopo una straordinaria impresa e cruente battaglia, si fece nominare imperatore di Sicilia. Né viene meno la memoria di vantare l’impresa dell’Arsiccio, per il quale, questa città, prima che i normanni conquistassero la Sicilia, organizzò la milizia di Messina, dalla quale dipese la fondazione della compagnia militare dei Verdi, e per la quale, si incomincia a strutturare il gioco simulato della guerra, emancipando i confratelli che si associavano, all’antica arte della cavalleria.

Nell’uso esclusivo delle armi, il cavaliere diventa l’emblema del potere se portato alle estreme conseguenze. Il gioco della guerra, venne vissuto fin dai primordi della civiltà cristiana, come pratica necessaria affinché, attraverso una ripetuta usualità di comportamenti, gli uomini si preparassero ad uccidere senza esitare.

Lo spirito di sopravvivenza veniva messo in gioco allorché, dalla pratica dell’esorcizzazione della morte, il cavaliere venendo in possesso delle tecniche militari, grazie a un quotidiano ed attento esercizio, poteva giovarsene quando si presentava l’occasione. Il perenne stato di guerra suscitato durante e dopo la dominazione araba in Sicilia, portò i cavalieri cristiani, a sperimentare l’arte della guerra, in manifestazioni e giochi militari sostenuti dal potere politico.

L’uso di questa pratica, istituita durante il Medio Evo, trovò applicazione anche in periodi successivi, dove, il modo di vivere, di pensare e di operare, trasformò l’uomo in una vera e propria macchina di morte. Questi esercizi sperimentavano nel combattimento, l’abilità e il coraggio del cavaliere costruendo a parte, tutte le possibili fasi cruente riscontrabili in battaglia. Il gioco della guerra diventa spettacolo, dove si può assistere e tifare per l’uno o l’altro cavaliere, esaltando nella bravura del combattimento la grazia dei movimenti, l’irruenza dei colpi portati contro l’avversario, l’onore o la brutalità stimata nel combattimento codificando tutta una serie di regole e di comportamenti chiamati, regole di cavalleria.

L’uso differenziato delle armi, ha generato delle discipline che col passare degli anni, hanno dato vita a delle vere e proprie scuole di pensiero. Queste scuole si possono individuare e dividere in quattro diverse etnie: quella sassone, quella polacca, quella saracena e quella armena. Dalle rispettive scuole, si può individuare una filosofia nell’interpretazione del combattimento, durante il cosiddetto “ incontro dei cavalieri;“

le prerogative essenziali di questi quattro modi di ragionare sull’ingaggio del combattimento, si basava sull’uso delle armi durante il corpo a corpo, sulla tecnica nel portare i colpi e nella ricerca della precisione nell’assestare il colpo vincente.

Col passare dei secoli, quando il gioco della guerra divenne uno spettacolo sportivo, dal quale chi lo praticasse, né riceveva dei meriti allora più importanti di qualsiasi ricompensa, si avvertì la necessità di codificare i meccanismi della competizione. Con la nascita dei regolamenti della giostra e del torneo, veniva meno, uno dei motivi principali che aveva generato queste discipline di combattimento cioè, il saper uccidere senza colpo ferire. Durante l’ultima parte storica del Rinascimento e nei secoli successivi, il gioco della guerra si trasforma in opera teatrale, dove contava moltissimo la recitazione della parte del cavaliere. Infatti, proprio con la nascita del regolamento, si codificarono delle regole che nulla avevano a che vedere con l’aspetto cruento della sfida; ma, in virtù della competizione, divenne importante l’abbigliamento, l’araldica, la gestualità nei movimenti prima e dopo l’incontro. Era opportuna una mimica del cavaliere e dello stesso cavallo: entrambi non dovevano dare l’impressione di nervosismo o sofferenza e disagio nell’affrontare un avversario temuto. Si osservavano come il giostrante tenesse la lancia, come erano curati i rifinimenti delle armi, dell’abbigliamento del fantino e quelli del destriero. Si giudicava perfino se il cavallo mordesse il freno o se mal rispondesse ai comandi del cavaliere. Tutto doveva collocarsi entro parametri studiati e codificati. Veniva giudicata la natura delle armi, la lunghezza di queste, il loro rispettivo peso, la grandezza delle armi di offesa e difesa non che la maneggevolezza delle stesse. In Italia si individuarono due tipi di scuole. Nel nord come nel centro della penisola, prevaleva la scuola sassone. Nel meridione e in Sicilia, prevaleva il pensiero armeno. 1

L’organizzazione del combattimento venne fin dai primi anni, identificata e rappresentata in due diverse categorie: la giostra e il torneo. Col tempo, per il diletto degli astanti, nell’evocazione di discipline necessarie alle prime categorie, si istituirono nuovi giochi utilizzati all’origine, durante i tempi di stanca nella giostra, oppure all’inizio o alla fine dei tornei. Per questo motivo a Messina, si organizzavano le compe- tizioni dello staffermo e del doppio staffermo, del saraceno, dei caroselli, del ballo, del nuoto e seppur in tempi molto più recenti XVIII secolo, del gioco della palla a terra, oggi conosciuto come il gioco del calcio. Se nel torneo, la prerogativa principale si fondava sulla competizione di cavalieri con pari pedigrì, assegnato dalla nobiltà, nella giostra poteva capitare il contrario; dove un nobile poteva giostrare con un prode cittadino abile nell’uso delle armi. Il modello sassone, adoperato dai cavalieri tedeschi, ma anche delle signorie e principati italiani, si basava nell’esibizione del potere di individui, talmente ostentato, da rappresentare uno stridente motivo di conflitto, fra un cives rispetto a un altro, e altrimenti alla stessa gerarchia di potere dello stato d’appartenenza.

Nel XVI secolo in Europa, l’uso di giostrare e di torneare, riguardava l’eletta nobiltà che puntava al merito e all’onore. Questi principi che resero grande nella morale l’ordine equestre dei cavalieri, era anche un espediente degli aristocratici che non volendo misurarsi con i ceti più bassi, eliminarono dalle competizioni i compensi in denaro, o quantomeno li resero di entità molto irrisorie, tanto da scoraggiare l’intervento di gente di ventura, o peggio ancora di senza scrupoli come i mercenari.

A Messina questo modo di interpretare il cimento era una prerogativa dei primi tempi; diverse erano le ragioni che portavano alla competizione i cavalieri che prendevano scudo e lancia. L’origine delle giostre e dei tornei medievali, si fanno risalire al tempo dell’impero Romano d’Occidente, durante il governo dell’imperatore Marco Aurelio. Quando il Mamertino, com’era costume presso la sua gente, allietò i messinesi di allora, con giochi circensi per la sua nomina a uno dei due posti di console di Roma. In quegli anni una delle prove più avvincenti fra i giochi praticati nell’arena, era l’incontro di cavalieri che si sfidavano con scudo e gladio sopra cavalli senza sella. Anche i messinesi ebbero grandi meriti fra i soldati romani nell’epopea dell’impero; fin da quando Tiberio Augusto istituì la decima legione, meglio conosciuta con l’appellativo di Legio Fretensis, cioè, i soldati di Messina. Dall’ora in poi, quei cavalieri, si ritroveranno nelle province di Giudea ( dal 15 al 68 d.C. ); nell’Illiria, durante la fine del primo secolo d.C. non che, qualche anno dopo, anche nei territori germanici. Ma i cavalieri di Messina, così come vuole una cronaca del Duchesne, tradotta nel ‘600 dal Balunzio, si distinsero nel soccorrere l’imperatore d’Oriente Arcadio in momentanea difficoltà. Il quale, riconoscente dell’aiuto ricevuto, concesse l’utilizzazione del sigillo imperiale alla Città dello Stretto, che dall’anno 407 d.C., esporrà nei suoi stemmi civici, la croce d’oro in campo rosso.

Durante la dominazione araba, lo spirito indomito dei cavalieri di Messina, passò tra incerti tempi storici, a patire momenti di gloria a momenti di decadenza, con l’impeto e l’arroganza degli arabi che non l’ebbero mai a vassallaggio. E quando la città, ripopolata più volte dai sovrani bizantini, ha potuto combattere misurandosi fiera della sua fede e delle proprie libertà, non tardò a rispolverare le glorie negli antichi costumi. Infatti, con la costituzione l’anno 1037 di due sodalizi militari, in seguito identificati con la compagnia dei Verdi, nascerà a Messina il gusto della sfida, inscenando i primi tornei e le prime giostre d’armi.

Di questo corpo specializzato nè dà memoria Michele Amari lib. I, cap. IX, p. 321, …al tempo di Giustiniano imperatore, furono spediti in Sicilia, ufficiali pubblici, soldati delle province d’Europa o dell’Asia Minore e relegati per ragion di stato. Tra gli altri v’ebbe un corpo di mille uomini avanzo delle soldatesche armene sollevatesi a Costantinopoli nell’anno 792 d.C., che furono mandati nelle isole, soprattutto in Sicilia, ove fecero stanza.

Alessandro Fumia

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  1. Il gioco della guerra: Giostre e tornei medievali | Corriere Aristocratico - […] Fonte articolo www.altaterradilavoro.com  […]

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