Giuseppe Garibaldi……………… di Antonio Pagano
Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza il 4 luglio 1807 e morì a Caprera il 2 giugno del 1882. Il personaggio, esaltato come eroe dalla storiografia dell’attuale regime, era in realtà di ben diversa levatura.
Per poter far comprendere chi era veramente Garibaldi ho ritenuto di raccontare gli episodi della sua vita più significativi, quelli cioè a cui viene data più importanza dai suoi agiografi, solo nei fatti essenziali, senza cioè dedurne alcun commento, lasciando così ai lettori di farsene di suoi.
Attorno a questi episodi sono state pure inserite le più significative vicende storiche, durante le quali, e per conseguenza delle quali, quegli episodi avvenivano. In tal modo, mi pare, quegli stessi episodi riescono ad essere compresi e, soprattutto, riescono a delineare una immagine certamente più realistica della essenza del personaggio, definito dalla storia come “l’eroe dei due mondi”, ma che, a mio sommesso parere, fu un uomo, a dir poco, ingenuo, sia pure un avventuriero di diaboliche qualità, manovrato abilmente da un non tanto oscuro burattinaio.
I PRIMI PASSI
Il 26 dicembre 1832 Giuseppe Garibaldi, affiliato con il nome di “Pane” alla setta “Giovine Italia” fondata da Mazzini, si arruolò come marinaio di terza classe nella marina piemontese con il compito di sobillare e di fare propaganda della setta tra i marinai savoiardi.
La tecnica delle sette sovversive, con l’attivazione di episodi di rivolta quasi spesso irrealizzabili, era, infatti, quella di tenere sempre e comunque in stato di tensione i governi e quindi di provocare artatamente la loro reazione. In tal modo esse miravano a convincere, nel corso del tempo, le popolazioni che tutto ciò accadeva a causa dell’oppressione dei sovrani, sia a Napoli, sia negli altri Stati che non si uniformavano alle loro mire.
Il Mazzini, che viveva al sicuro nella Svizzera, progettò inoltre nel 1834 di invadere la Savoia con il generale Girolamo Ramorino a capo di un centinaio di rivoltosi, mentre a Genova Garibaldi avrebbe dovuto far insorgere la città ed occupare il porto.
L’inconsistenza dell’azione ed il feroce intervento delle truppe piemontesi fecero fallire l’inutile sommossa. Molti cospiratori catturati furono condannati a morte.
Il Mazzini, rimasto sempre in Svizzera (e poi rifugiatosi prudentemente a Londra), ed il Garibaldi, riuscito fortunosamente a fuggire, furono condannati a morte in contumacia.
Garibaldi prima si rifugiò per alcuni mesi a Marsiglia, dove venne raggiunto dalla notizia che, il 3 giugno 1834, il Consiglio Divisionario di Guerra lo aveva condannato a morte ignominiosa come ” bandito di primo catalogo”, e dopo s’imbarcò sul brigantino mercantile Union, diretto a Odessa, da dove si diresse a Tunisi, per arruolarsi come marinaio nella flotta piratesca di Hussein Bey, Signore di Tunisi.
Nel 1834, nella Reggenza di Tunisi, vivevano all’incirca 8000 europei. Un terzo di loro erano italiani. Provenivano dalle più disparate parti d’Italia: dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Toscana, dalla Liguria. A la Goulette, il porto di Tunisi, morì nel febbraio del 1834 il capitano Paolo Carboso, un ligure originario di Recco. Tra le sue carte si rinvennero lettere e documenti che fecero risalire alla società Carbonara, o meglio alla “Vendita”, come si diceva nel gergo segreto, la setta massonica degli “Amis en captivitè” che aveva una sua sede a Malta.
Di qui le conclusioni che furono subito tratte e che cioè : “I suoi frequenti viaggi fra Tunisi, Lisbona, Malta, avessero avuto lo scopo di portare dei pieghi in quelle regioni per le pratiche infami della propaganda”.
In realtà in quel periodo la carboneria, a Tunisi, era venuta perdendo terreno. Al suo posto però aveva già invece gettato radici la “Giovine Italia” con un programma repubblicano per l’unità dell’Italia. In quello stesso mese giunse a Tunisi un altro profugo politico.
Si trattava di Antonio Montano di Napoli, che aveva prima partecipato alla rivoluzione costituzionale e poi alla cosiddetta ” congiura del monaco” (perché capeggiata dal frate Angelo Peluso).
Verso la fine dello stesso anno riparava a Tunisi anche un altro cospiratore: Antonio Gallenga di Parma. Nella “Giovine Italia” di cui era affiliato aveva assunto il nome di “Procida”.
Mazzini aveva una grande fiducia in lui, anche se egli si era rifiutato di compiere un attentato politico per assassinare Re Carlo Alberto. Tunisi costituì in quegli anni una tra le basi della massoneria più importanti per la cospirazione contro le Due Sicilie.
Dopo qualche mese Garibaldi si portò di nuovo a Marsiglia, dove si imbarcò come secondo sul brigantino Nautonier di Nantes diretto a Rio de Janeiro.
NEL NUOVO MONDO
Agli inizi dell’estate del 1836 Garibaldi, però, accusato dalle autorità di Rio de Janeiro di loschi traffici, assieme ad altri italiani fuorusciti, ricevette l’ordine di espulsione dal Brasile.
L’avventuriero, allora, rubò una barca dal porto e, con gli altri suoi complici, si diede alla pirateria. Braccato dalla Marina brasiliana, si rifugiò nella provincia di Rio Grande presso BentoGonçalves, capo della rivolta contro la monarchia del Brasile.
Nel 1837, poi, il Garibaldi, inizialmente con una barcaccia da 20 tonnellate (da lui battezzata Mazzini), successivamente con altre navi catturate, si diede a scorrerie e saccheggi sul Rio Grande contro le navi cattoliche-ispaniche e nei villaggi rivieraschi, protetto dagli inglesi, i quali per suo mezzo raggiungevano così lo scopo di assicurare il monopolio commerciale all’impero britannico.
Nell’agosto, tuttavia, la sua nave fu intercettata e colpita da molte fucilate, ma il nizzardo riuscì a sfuggire alla cattura con l’aiuto di una nave argentina che la rimorchiò. Tra i molti feriti c’era lo stesso Garibaldi che fu internato e curato in Argentina.
Nel 1838 Garibaldi, lasciato libero dagli Argentini, si diresse a Montevideo e poi ancora nel Rio Grande, dove i ribelli di Bento gli affidarono due navi, catturate qualche mese prima ai brasiliani, per la tratta dei negri. In seguito Garibaldi si diede a veri e propri atti di pirateria nei pressi della laguna Dos Patos, dove assaliva navi mercantili isolate, uccidendo gli inermi marinai delle navi catturate.
Molte volte assalivano anche i villaggi interni dei contadini, facendo razzie, rubando oggetti di valore e violentando le donne.
Fu in questo periodo che incominciò a portare i capelli lunghi perché, avendo tentato di violentare una ragazza, questa gli aveva staccato l’orecchio destro con un morso.
Nel 1839 in Cina venne decretato il divieto di importazione dell’oppio da parte della Compagnia inglese delle Indie Orientali dal Bengala, dato lo stato miserevole in cui si era ridotta gran parte della popolazione. Un funzionario cinese, deciso a far rispettare il divieto d’importazione disposto dall’imperatore, requisì e fece distruggere oltre 2.000 casse di droga appartenenti ai mercanti britannici.
L’allora ministro degli Esteri inglese, Lord Palmerston, Gran Maestro della Massoneria, poiché il commercio della droga era una pietra miliare della politica imperiale inglese, per gli enormi guadagni che comportava, ordinò di far sbarcare dei marinai dalla flotta inglese, che sostava nei pressi dell’isola di Hong Kong, con il compito di provocare una rissa nella zona di Kowloon con i residenti cinesi, fingendosi ubriachi. Un cinese venne ucciso e il capitano inglese Elliot si rifiutò di consegnare i colpevoli alle autorità cinesi, che pertanto intimarono alla flotta inglese di abbandonare le coste della Cina.
La conseguente azione di forza del modesto naviglio cinese (sulla cui azione contavano gli inglesi) fu facilmente respinta dalle navi militari inglesi.
Fu così che il governo inglese diede immediatamente l’ordine alla flotta navale, già in precedenza inviata in segreto in quei mari, di minacciare la Cina, costringendola ad accettare la libera importazione dell’oppio ed a pagare alla Gran Bretagna un’indennità di guerra di 20 milioni di dollari. Hong Kong fu occupata dalle truppe inglesi e, in seguito, fu ceduta in affitto alla corona inglese col trattato di Nanchino del 1842.
In quello stesso anno gli inglesi fondarono a Hong Kong una loggia massonica. Due anni dopo, dichiarata porto franco, Hong Kong divenne la capitale mondiale della droga sotto la protezione del governo inglese, che ne favoriva segretamente la commercializzazione.
Alla fine di agosto il Garibaldi, intanto, conosceva Anita nel piccolo borgo uruguayano di Barra. Allora la donna era già sposata con un tal Manuel Duarte, che abbandonò il 23 ottobre, giorno in cui lo stesso Garibaldi la portò via sulla nave Rio Pardo. Il Duarte dopo qualche giorno morì di crepacuore, molto probabilmente anche a causa delle ferite causategli dai banditi garibaldini.
Alla fine dell’anno una squadra navale brasiliana riuscì a intercettare ed a distruggere le navi corsare di Garibaldi. Costui, tuttavia, riuscì ancora a sfuggire, insieme ad Anita ed a pochi dei suoi filibustieri, rifugiandosi ancora una volta presso Bento.
Garibaldi, così, insieme con Bento, che aveva costituito nel 1840 un folto gruppo di banditi, si diede a compiere ancora rapine e razzie di ogni genere, vanamente inseguito dai reparti governativi. Il 16 novembre, mentre si trovavano in sosta nel paese di Mustarda, Anita diede alla luce Menotti.
NASCE LA LEGGENDA DELL’EROE DEI DUE MONDI
Dopo l’estate del 1841, Garibaldi, con 900 bovini razziati nelle campagne, si separò da Bento e si diresse verso Montevideo in Uruguay, ma qui giunse nella primavera successiva con sole trecento pelli, da cui ricavò un centinaio di scudi.
Rimasto poi senza denaro e del tutto inadatto a lavorare, fu aiutato da Anita, che per sostenere la famiglia si mise a fare la lavandaia. In quel periodo era, intanto, scoppiata la guerra tra Argentina e Uruguay.
Durante questa guerra, a Garibaldi fu affidato, nel gennaio del 1842, da parte del diplomatico inglese William Gore Ouseley, il comando di alcune navi, con le quali costituì una grossa banda formata quasi tutta da italiani, vestiti con una camicia rossa.
Questa gente, per lo più disperata, dedita solo a rapine, si diede a compiere molti atti di violenza, a cui partecipava ben volentieri lo stesso Garibaldi, tanto che, dopo una efferata rapina da lui fatta in casa di un brasiliano, dovette essere destituito e imprigionato.
Tra gli italiani vi erano anche dei tipografi settari che pensarono di stampare un giornale che intitolarono “Il Legionario italiano”, sul quale inventarono moltissime menzogne di eroismo sul comportamento degli italiani in quella guerra, in modo da attenuare la forte ostilità dei cittadini uruguayani verso le camicie rosse italiane.
Il giornale, però, fu anche fatto uscire dai confini dell’Uruguay e con la complicità dei settari fu fatto tradurre in molte lingue, tanto che, riportata da altri giornali, fecero nascere la leggenda sugli “eroici” legionari italiani.
In seguito l’avventuriero si iscrisse alla Massoneria Universale e precisamente nella loggia irregolare “L’asilo della Virtù”, regolarizzandosi poi in Montevideo il 24 agosto 1844, nella loggia “Gli Amici della Patria”, dipendente dal Grande Oriente di Francia.
Nel frattempo, l’enorme profitto commerciale che stavano avendo Inghilterra e Stati Uniti con la Cina, attirò anche l’interesse della Francia, che il 24 ottobre costrinse il governo cinese ad un nuovo trattato commerciale a Whampoa, con il quale anche i francesi si misero a vendere oppio ai Cinesi. Nel decennio successivo il consumo di oppio in Cina venne triplicato e la sovranità cinese praticamente eliminata, perché fu consentito all’Inghilterra, alla Francia ed agli Stati Uniti di vendere liberamente nell’immenso territorio cinese qualsiasi prodotto.
Dopo varie vicende, il 20 novembre 1847 la flotta anglo – francese sconfisse quella argentina, ponendo in tal modo fine alla guerra tra Uruguay e Argentina. Intanto la leggenda di Garibaldi fu gonfiata oltre misura anche da Mazzini, il quale poi lo invitò a venire in Italia dove “i tempi dell’azione erano ormai maturi”.
Nel 1848 venne pubblicato il “Manifesto Comunista”, elaborato da Marx ed Engels, con il finanziamento dei massoni Clinton Roosevelt e Horace Greely, entrambi membri della Loggia Columbia, fondata a New York dagli Illuminati di Baviera. Successivamente allo stesso Marx, in collaborazione con Mazzini, fu dato dagli Illuminati l’incarico di preparare l’indirizzo e la costituzione della “Prima Internazionale ” (Comunista).
LE CONGIURE IN ITALIA
La successiva mossa dei massoni fu quella di spingere alcuni affiliati, sovversivi duosiciliani, La Farina e La Masa a sbarcare il 3 gennaio 1848 a Palermo, dove, era stato loro detto, si era costituito un Comitato Rivoluzionario.
Questo comitato non esisteva, ma vi trovarono invece gli altri massoni Rosolino Pilo e Francesco Bagnasco, che al loro arrivo mobilitarono tutti i loro seguaci per iniziare la rivolta. La Masa, per poter avere l’appoggio delle popolazioni convinse il principe Ruggero Settimo a porsi a capo della rivolta per l’indipendenza della Sicilia. Le titubanze del principe furono presto superate quando Lord Mintho, con la flotta inglese nella rada del porto di Palermo, gli assicurò il suo appoggio.
I rivoltosi, poi, certi che il comandante borbonico, il massone De Majo, non avrebbe opposto che una simbolica resistenza, insorsero il 12 gennaio a Palermo, concentrandosi alla Fieravecchia. La gente si chiuse nelle case e le botteghe serrarono le porte. Le truppe, poiché vi erano stati atroci episodi di violenza e di saccheggi, si rinchiusero nel forte di Castellammare e da lì bombardarono gli appostamenti dei rivoltosi.
A Napoli, mentre i carbonari facevano espellere i Gesuiti, l’inglese Palmerston, capo del governo inglese, suggeriva al governo napoletano di riconoscere l’indipendenza della Sicilia e nello stesso tempo esaltava la liberazione d’Italia dagli stranieri.
Insomma l’Inghilterra voleva unire l’Italia e separare il Regno, per appropriarsi della Sicilia. L’isola, infatti, dopo l’occupazione francese dell’Algeria e la costituzione di una base navale ad Algeri, era diventata per gli Inglesi interessante per controbilanciare l‘accresciuta potenza navale francese nel Mediterraneo.
In Austria, nel frattempo, i massoni il 13 marzo approfittarono per promuovere una grave insurrezione a Vienna, tanto che l’imperatore Ferdinando I fu costretto a concedere la costituzione.
La setta, tuttavia, continuò nei suoi intrighi fomentando disordini in Boemia, in Ungheria e nel Lombardo-Veneto. A Milano, infatti, appena giunta la notizia dell’insurrezione di Vienna, vi fu l’episodio delle Cinque Giornate che durò dal 18 al 22 marzo.
Anche a Venezia il giorno 17 vi furono delle sommosse, tanto che le truppe austriache furono costrette a rifugiarsi nelle fortezze di Peschiera, Mantova, Legnago e Verona sotto gli ordini di Radetzky. Insomma si ripeteva in tutta l’Europa cattolica, tranne cioè nei paesi protestanti, quanto era successo con le rivolte in Sicilia.
I massoni (secondo le direttive inglesi) fomentavano le rivolte al solo scopo di sconvolgere l’equilibrio della politica europea ai danni delle potenze conservatrici : Due Sicilie, Austria, Prussia e Russia, garanti dello statu quo nato dalla Santa Alleanza.
Fu così che, mentre Garibaldi, chiamato da Mazzini, partiva il 15 marzo da Montevideo, imbarcandosi con 150 uomini sulla nave Speranza, Carlo Alberto, spinto dalla setta, dichiarò il 24 marzo la guerra all’Austria. Poi i massoni, con la complicità dei governi liberali, che erano riusciti a insediare negli altri Stati italiani, costrinsero questi ad inviare dei corpi di spedizione contro l’Austria.
A Roma il 27 venne da Torino il conte Rignon per chiedere al Papa un appoggio materiale e morale per la guerra. Pio IX inviò le truppe pontificie al comando del generale Durando e di d’Azeglio, ma con l’ordine di fermarsi sul Po e solo per scopo difensivo. In quanto all’appoggio morale, egli affermò il 29 aprile che non avrebbe mai dichiarato una guerra offensiva.
Il Rignon si recò anche a Napoli, dove già erano all’opera gli arruolamenti di volontari da parte dei liberali. Ferdinando, tuttavia, aveva già deciso cosa fare. Egli, infatti, si era reso conto che il movimento, non avendo l’appoggio del popolo, si sarebbe esaurito da solo nelle gravi agitazioni che esso stesso provocava.
Concluse che l’unico modo per vincerlo, era quello di accelerarne gli effetti. Dichiarò così inaspettatamente il 7 aprile guerra all’Austria e concesse 16.000 uomini al comando del generale Guglielmo Pepe, che il 4 maggio partì, anche lui con l’ordine di attestarsi sul Po.
Le truppe piemontesi, che avevano adottato una nuova bandiera con i colori verde, bianco e rosso, che erano i colori che identificavano la massoneria dell’Emilia, ebbero il 30 maggio 1848 un primo successo a Goito contro gli Austriaci, grazie alla resistenza delle truppe napolitane e dei volontari toscani che li avevano fermati a Curtatone e a Montanara. Gli Austriaci così furono costretti a ritirarsi verso il quadrilatero, fatto che consentì ai liberali l’annessione di Milano ai Savoia e a Venezia la proclamazione della repubblica.
Numerose furono le decorazioni e le onorificenze concesse ai Napolitani, ma nell’obelisco, eretto nei luoghi della battaglia, vi sono solo i nomi dei toscani, mentre quelli dei Napolitani furono deliberatamente omessi.
Ferdinando II, tuttavia, dovette richiamare in Patria il corpo di spedizione napolitano per ragioni di ordine pubblico. In Calabria, infatti, la massoneria aveva fomentato alcune sommosse, approfittando del fatto che l’esercito borbonico era impegnato in Lombardia. La diplomazia inglese, inoltre, aveva spinto il governo rivoluzionario della Sicilia ad offrire la corona al savoiardo duca di Genova, che però declinò l’offerta, non sentendosi sicuro di mantenerla.
In giugno, in esecuzione dell’ordine del Re Ferdinando, tutte le truppe napolitane rientrarono a Napoli, tranne il traditore Pepe e circa mille soldati che, plagiati dai settari, si recarono a Venezia.
Nel frattempo, Garibaldi dopo essere sbarcato il 21 giugno a Nizza con i suoi avventurieri, si era recato il 5 luglio a Roverbella, nei pressi di Mantova, per offrirsi volontario al re Carlo Alberto, che però lo respinse.
Allora il nizzardo si recò a Milano, dove il governo provvisorio lombardo, presieduto dal conte massone Casati, lo nominò il 14 luglio generale di brigata
I piemontesi, tuttavia, senza l’aiuto delle truppe napolitane, vennero ignominiosamente sconfitti a Custoza il 25 luglio dalle poche truppe austriache e furono costretti a firmare il 9 agosto un armistizio a Salasco con Radetzky.
Alle battaglie avevano tentato di partecipare anche i volontari di Garibaldi, ma il 4 agosto, senza neanche affrontare le avanguardie austriache incontrate a Merate, i più incominciarono a disertare e i rimanenti con Garibaldi, travestito da contadino, riuscirono a giungere in Svizzera, dove, come sempre, il prudente Mazzini si era già rifugiato .
Tranne la città di Venezia, rimasta assediata, tutto il territorio occupato dai savoiardi ritornò all’Austria.
A queste vicende non vi fu alcuna partecipazione popolare. Anzi le masse erano per lo più favorevoli agli Austriaci, come dimostrarono le manifestazioni della maggior parte del popolo che, al loro ritorno, aveva gridato “Viva Radetzky” .
LA REPUBBLICA ROMANA
A Napoli il 1° febbraio del 1849 vennero riaperte le Camere. Nel frattempo erano affluiti a Roma i più importanti capi massoni, tra cui anche Garibaldi e Mazzini, che il 5 febbraio proclamarono la Repubblica Romana.
Il 9 febbraio fu formata l’assemblea costituente che proclamò la repubblica e la fine del Papato. L’assassinio fu l’ordinario espediente della setta per contenere la popolazione col terrore, le cui vittime furono preti, cittadini, ufficiali e perfino il ministro Pellegrino Rossi.
Nessun assassino fu punito, nemmeno il Zambianchi, colonnello delle Guardie di Finanza, che fece uccidere tanti innocenti nel quartiere di S. Callisto. Anche in Ancona furono commessi degli efferati omicidi, per ordine sempre del sanguinario Mazzini. A questo governo il primo ministro inglese, il massone lord Palmerston, dichiarò di essere pronto a portare qualsiasi aiuto.
Il 20 marzo Carlo Alberto, disdetto l’armistizio, attaccò nuovamente gli Austriaci, che in soli tre giorni sconfissero i piemontesi a Novara.
Vi fu un intervento “moderatore” inglese sull’Austria, che impedì al generale Radetsky di invadere il Piemonte dopo la vittoria ed indusse l’Austria a contentarsi di una semplice “indennità di guerra”, pur se di notevole importo per l’epoca: 75 milioni. Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II, che fu spinto a nominare Presidente dei ministri il massone Massimo d’Azeglio.
A Genova alla notizia dell’armistizio di Vignale il popolo cercò di ribellarsi dall’opprimente dominazione piemontese e nei tumulti furono uccisi due ufficiali piemontesi. La rivolta venne, però, sanguinosamente soffocata il 4 aprile con un feroce e devastante bombardamento della città da parte del cinico La Marmora, che comandava un esercito di sedicimila soldati piemontesi inviati nella città per la repressione. Il bombardamento durò tre giorni e causò la morte di 500 genovesi.
Seguirono poi feroci repressioni e tra i numerosi condannati a morte vi fu anche il generale Ramorino, che fu fucilato, come capro espiatorio, il 22 maggio. Con queste atrocità iniziava il suo regno il “re … galantuomo”.
Il Papa, nel frattempo, aveva lanciato un appello a tutte le nazioni cattoliche, tranne al Piemonte, per essere restaurato sul trono di Roma. Lo raccolse per prima la Francia di Luigi Bonaparte, che inviò il 25 aprile 1849 un corpo di spedizione a Roma, comandato dal generale Oudinot, facendo credere che ci andava per fare da paciere tra il Papa e il governo rivoluzionario.
In realtà Luigi Bonaparte mirava ad essere fatto re e voleva, per questo, assicurarsi il favore dei cattolici di Francia, oltre che eliminare l’influenza del repubblicano Mazzini, che con le sue idee contrastava gli accordi con i Savoia.
Intanto anche l’Austria e, successivamente, la Spagna, che stava approntando una spedizione navale, avevano raccolto l’appello del Papa. Napoli, pur se ancora alle prese con la riconquista della Sicilia, inviò il 28 aprile le poche truppe di cui poteva disporre, ma abbondava di cannoni, che dovevano servire per aiutare i Francesi.
Al rifiuto del Mazzini ad intavolare qualsiasi trattativa, i Francesi attaccarono Roma il 30 aprile con seimila uomini, ma a causa della mancanza di artiglieria che non consentiva loro di superare le grosse mura, si ritirarono in attesa dei cannoni. A questa battaglia partecipò, tra i rivoluzionari, anche il massone Carlo Pisacane, disertore dell’Armata Napolitana. Nei giorni successivi, invece, tra il 7 e 9 maggio, le truppe napolitane comandate dal generale Lanza e attestate a Palestrina, sgominarono facilmente un attacco di tremila uomini comandati dal massone Luciano Manara.
Intanto in Sicilia, dopo una brillantissima campagna militare, elogiata da tutta la stampa estera, il 14 maggio, fu liberata Palermo ed il Filangieri, comandante della spedizione, come da disposizione reale, promulgò l’amnistia per tutti, tranne per i capi della rivolta. Il 15 maggio tutta l’isola era pacificata, esattamente un anno dopo dal giorno della rivolta a Napoli. Alle milizie straniere, polacchi, francesi e nizzardi, che avevano combattuto contro l’esercito napolitano fu concesso magnanimamente di rimpatriare.
Successivamente, il 17 maggio, si ebbero dei contrasti con Oudinot, che si era opposto alla presa di Roma mediante l’aiuto di Napoli e dell’Austria, in quanto aveva ricevuto dal Lesseps, deputato dell’Assemblea Nazionale francese, l’ordine di non operare con le truppe del governo napolitano e di quello austriaco, considerati reazionari.
Tali affermazioni, indussero lo sdegnato Ferdinando II a spostare le sue truppe nella campagna romana, nella zona di Velletri. Poiché Oudinot aveva fatto da solo un armistizio con la Repubblica Romana, tutto l’esercito repubblicano, composto da undicimila uomini e dodici cannoni, approfittando della tregua con i Francesi, assalì il 19 maggio l’esercito napolitano, formato da diecimila uomini e da quattro batterie di artiglieria.
Rosselli, che comandava i repubblicani, credeva di sconfiggere i Napolitani sorprendendoli durante la fase critica del movimento, ma venne violentemente respinto ed ebbe moltissime perdite. Qui c’era anche il Garibaldi che tentò un assalto, ma fu sconfitto dal 2° battaglione cacciatori del maggiore Filippo Colonna. Anche questa volta le bande settarie vennero messe in fuga e lo stesso Garibaldi, sbalzato da cavallo, si salvò a stento.
Il 27 maggio sbarcò a Gaeta il contingente spagnolo forte di circa novemila uomini. Cessate le operazioni in Sicilia, furono inviate altre brigate napolitane al comando del generale Nunziante, che si unì il 7 giugno alle truppe spagnole. Mentre Napolitani e Spagnoli provvedevano a liberare i territori a sud di Roma, proteggendo l’ala destra delle truppe francesi, Oudinot riuscì finalmente a entrare in Roma il 3 luglio, ristabilendo il potere temporale del Papa.
Anche questa volta Mazzini e Garibaldi riuscirono a scappare. Mazzini si rifugiò a Londra, mentre Garibaldi, rifugiatosi a S. Marino, dopo aver tentato avventurosamente di raggiungere Venezia, s’imbarcò il 16 settembre a Genova per la Tunisia.
La sera del 19 settembre 1849 a bordo della regia nave Tripoli, arrivò nella rada di Tunisi. Tuttavia questa volta Ahmed Bey si rifiutò di farlo sbarcare e Garibaldi fu costretto a lasciare Tunisi il giorno dopo, imbarcandosi su un’altra nave diretta verso gli Stati Uniti d’America.
Ritroviamo poi l’avventuriero il 15 ottobre del 1851, quando gli fu affidato da un certo armatore genovese Pietro Denegri il comando della nave Carmen, alla fonda nel porto della Concia (Perù) per il trasporto di schiavi cinesi (coolies) nelle isole Cinchas (Perù), dove esistevano giacimenti di guano (sterco di cormorani). Il Garibaldi successivamente, il 10 gennaio del 1852 si recò, con un carico di quello sterco, a Canton (Cina), da dove riempì la Carmen di schiavi cinesi che scaricò nelle isole Cinchas, dove quei poveri coolies venivano brutalmente utilizzati per la raccolta del guano.
In seguito viaggiò con vari carichi da Lima a Boston, poi da Baltimora a Londra e, infine, dopo essere rimasto alcuni giorni a New York, si recò nel febbraio del 1854 a Londra con la nave Commonwealth. Da Londra il negriero Garibaldi si recò a Newcastle e da qui proseguì per Genova dove giunse il 10 maggio del 1854.
Fu così che Garibaldi, con il denaro ricevuto per il trasporto degli schiavi cinesi, si comprò mezza isola di Caprera.
Antonio Pagano
Direttore
Rivista Due Sicilie