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Gli ultimi sovrani angioini: Giovanna II

Posted by on Gen 29, 2018

Gli ultimi sovrani angioini: Giovanna II

Giovanna II è conosciuta più per la sua vita licenziosa che per i suoi meriti di sovrana. Di lei si è scritto di tutto e di più: che era una mangiatrice di uomini insaziabile, una ninfomane che mandava a cercare i più bei ragazzi nelle strade per poi ucciderli dopo l’uso, facendoli precipitare da una botola della sua stanza. Non possiamo veramente sapere dove finisce la storia e dove inizia la voce popolare, ma sicuramente di amanti Giovanna  ne ebbe tanti.

Quando Ladislao morì improvvisamente, Giovanna aveva i suoi 41 anni, essendo nata il 1373 (qualche storico dice 1371), ed era già vedeva del duca Guglielmo d’Austria. Ladislao non aveva avuto figli legittimi dalle sue tre mogli  ed allora la corona di Napoli le cadde letteralmente sulla testa, trovandola alquanto impreparata. Era vissuta, sì, all’ombra del fratello a corte, ma senza mai interessarsi di politica; sembra fosse solo interessata a soddisfare, in quell’ambiente vizioso, i suoi appetiti sessuali che le diedero fama di donna lussuriosa e libertina, tramandata fino ai nostri giorni.

Il Regno di Napoli era un grande regno e faceva gola a molti nemici. In quel mondo di prepotenza maschilista Giovanna non era certo avvantaggiata, anzi ebbe il suo bel da fare a difendersi dagli attacchi che le venivano da ogni parte. Ladislao aveva lasciato in sospeso diverse situazioni che ora andavano risolte: la guerra con i vari Luigi D’Angiò (l’uno moriva e il figlio lo sostituiva), il contrasto con il papa e quello con Sigismondo d’Ungheria, per non parlare dei continui scontri con i baroni del Regno. Non avendo l’abilità politica del fratello né le sue doti di grande condottiero di eserciti, Giovanna si senti fin da subito non all’altezza della situazione e cambiò quindi politica, cercando di fare la pace con tutti. Ma gli altri, consci della sua debolezza politica, non vollero fare la pace con lei e così perse i domini napoletani che Ladislao aveva conquistato nell’Umbria e nello Stato della Chiesa. Inoltre sulla regina avevano troppa influenza le persone sbagliate: amanti, famigli e baroni interessati solo ad acquistare sempre maggior potere, e questo non le era certo di aiuto.

Lo capì subito Muzio Attendolo Sforza, famoso condottiero e capitano di ventura già al soldo di Ladislao, il quale ritornò a Napoli chiamato anche da Giovanna, che lo elevò alla carica di Gran Connestabile. Lo Sforza non ci mise molto a cadere in rotta con Pandolfello Alopo, amante di vecchia data della regina, perché costui aveva troppa influenza su di lei. Praticamente, non era lei a regnare, ma il suo amante venuto dal nulla. Quanto fosse potente Pandolfello presso la regina lo dimostrò il fatto che questi arrivò al punto da far imprigionare lo Sforza con false accuse. I baroni si risentirono e per limitare i poteri dell’Alopo fecero pressione sulla regina affinché si trovasse un marito.

Dopo varie considerazioni e ponderazioni, la scelta cadde su Giacomo di Borbone, giovane e ambizioso francese, principe della Marca. Con il matrimonio, celebrato nell’agosto del 1415, Giacomo non ottenne il titolo di re, come aveva sperato, ma solo quello di Duca di CalabriaPrincipe di Taranto e Vicario Generale del regno. Con questa carica, Giacomo ebbe la possibilità di fare arrestare Pandolfello nella stessa camera della regina e farlo giustiziare. Giovanna era atterrita dalla crudeltà e dall’ambizione di quel suo marito francese, il quale non si era accontentato dei titoli concessigli, ma si era assicurato il governo del Regno, mettendo nei posti chiave uomini di sua fiducia. Fattosi associare al trono con la forza dalla spaventata Giovanna, la relegò poi  a Castelnuovo e la tenne prigioniera a lungo. Furono di nuovo i baroni a salvare la regina, portandola al sicuro nell’Arcivescovato durante una cerimonia a cui ella presenziò e assediando il principe in Castelnuovo.  Giovanna riebbe il suo trono e Giacomo fu allontanato da corte finché, nel 1419, se ne tornò in Francia. Dopo varie vicissitudini, Giacomo si pentì dei suoi peccati e si fece frate.

Il nuovo amante della regina fu Giovanni Caracciolo, meglio conosciuto come Sergianni, che ella  nominò Gran Siniscalco. Ma anche con Sergianni si ripeté quello che era accaduto con Pandolfello. Sergianni cominciò ad avere troppa influenza sulla debole regina e il suo potere cresceva sempre più. L’ inevitabile rivalità tra Sergianni e lo Sforza si tradusse in un aperto conflitto tra le milizie di quest’ultimo e quelle regie. La regina, dalla parte di Sergianni, privò Attendolo Sforza dalla carica di Gran Connestabile e lo dichiarò fuorilegge, privandosi così dell’unico uomo che davvero poteva aiutarla.

Ci pensarono i Venti a rimettere a posto le cose. I Venti era una deputazione di nobili e popolani, equamente distribuita in 10 e 10, con il compito di sostenere il potere reale. Essi riuscirono a sanare il dissidio tra i due, ottenendo la reintegrazione della carica di Gran Connestabile per lo Sforza e l’allontanamento di Sergianni, che riparò a Roma per circa sei mesi, dove non rimase con le mani in mano, ma negoziò l’incoronazione di Giovanna con il nuovo e finalmente unico papa Martino V.

Ma dopo un mese dall’incoronazione, che avvenne nell’agosto del 1419, Martino scomunicò Giovanna  perché la regina, in difficoltà finanziarie, non aveva pagato il censo alla Chiesa  e si era  rifiutata di dare altri possedimenti al fratello del papa che già aveva avuto il Ducato di Amalfi, ilDucato di Venosa e il Principato di Salerno. Lo scontro tra il papa e Giovanna fu inevitabile e Martino decretò che erede della corona fosse  Luigi III d’Angiò oppure, in caso di morte prematura di  costui, il fratello minore Renato, sostenuti anche dallo Sforza.

Il papa aveva dalla sua anche un altro valido condottiero, Braccio da Montone, e, inoltre,  tutti i baroni del Regno parteggiavano per gli angioini. Giovanna si trovò ad affrontare una situazione molto critica e rischiava di perdere il regno. In un simile frangente, nel 1420 Giovanna decise di chiedere aiuto al re di Sicilia Alfonso V d’Aragona, a cui promise l’adozione e la successione al trono, innescando quell’altalena di adozioni e annullamenti tra l’angioino e l’aragonese,  con relativi scontri tra i due, che costarono ai francesi la definitiva perdita del regno.

Alfonso non si fece scappare l’occasione di riunire di nuovo le due parti del regno sotto di lui e corse in aiuto di Giovanna.  Sconfisse gli angioini e grazie a una cospicua somma di denaro fece passare dalla parte della regina Braccio da Montone. Prese poi dimora a Castelnuovo (la corte di Giovanna dimorava allora a Castelcapuano), cominciando a comportarsi già come un re e facendo imprigionare il favorito della regina, Sergianni, che gli dava fastidio.

Giovanna riebbe il suo favorito solo grazie ad uno scambio di prigionieri con l’aragonese, ma ormai era una sessantenne stanca e disillusa. Nel 1424 aveva perso anche l’aiuto di Attendolo Sforza, morto annegato mentre guadava il fiume Aterno per portare aiuto alla città dell’Aquila, assediata dall’aragonese che ora era in rotta con lei perché aveva annullato l’adozione a favore dell’angioino. E nello stesso assedio era morto anche Braccio da Montone che invece era passato al soldo dell’aragonese.

Forte della sua influenza sulla regina, Sergianni chiedeva invece sempre di più per la sua famiglia e quando arrivò ad insultare Giovanna, che non volle concedergli il Principato di Salerno per il suo unico figlio maschio, Troiano, firmò la sua condanna a morte.

A convincere la regina a far arrestare Sergianni fu sua cugina Covella Ruffo, una donna che conosceremo meglio più avanti perché madre di Marino Marzano, la quale odiava a morte Sergianni proprio per il potere che questi aveva sulla regina a discapito del suo. Covella raccontò alla regina che Sergianni stava progettando di spodestarla e formare un triumvirato insieme al condottieroGiacomo Caldora e al Principe di Taranto, con cui spartirsi poi il regno. A sostegno di ciò che diceva, Covella portò ad esempio le imminente nozze del figlio di Sergianni con la figlia di Caldora, che avrebbero sancito il patto tra i due.

Convinta delle ragioni che le portava la cugina, la regina firmò l’ordine di arresto di Sergianni. Ma i congiurati, conoscendo la pericolosità del Caracciolo,  non si accontentarono dell’arresto: ne vollero la morte.

Ritiratosi nelle sue stanze di Castelcapuano dopo una serata mondana, Sergianni fu svegliato all’improvviso da grida concitate fuori della sua porta che gli dicevano che la regina si era sentita male e chiedeva la sua presenza. Appena aprì la porta, l’ignaro fu trafitto a morte dai congiurati. Alla regina fu invece detto che Sergianni aveva opposto resistenza armata all’arresto ed era rimasto ucciso nello scontro.

Due anni dopo la morte di Sergianni, il 2 febbraio del 1435, anche Giovanna morì, lasciando come erede e successore, nel suo testamento, Renato d’Angiò, fratello minore di Luigi III, morto pochi mesi prima.

Alfonso non accettò le ultime volontà della regina e cominciò una dura lotta con l’angioino, lotta che durò sette anni. Infine, il 2 giugno del 1442 gli aragonesi riuscirono a prendere la città di Napoli e a sconfiggere gli angioini. Dieci giorni dopo, Renato d’Angiò e la sua guarnigione francese lasciarono per sempre Napoli, mettendo la parola fine alla dominazione angioina. Cominciava per il Regno di Napoli un nuovo periodo, quello aragonese.

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