GUAI AI VINTI (1^ parte)
Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato
(GEORGE ORWELL)
Soltanto ora che l’edificio unitario sembra completato si concede che “[…] un giudizio storico superiore e la pietas dell’umanità civile e delle memorie napoletane” portino a riconoscere “le ragioni e le pene di tutti i contendenti”, ben specificando, però, che la “[…] ragione di una storia superiore condannava, comunque, il brigantaggio alla sconfitta radicale”, dal momento che “[…] la storia – nel senso più pregnante e positivo dell’espressione – era dalla parte” delle “[…] coscienze più alte e severe del movimento nazionale italiano”. La pietas, dunque, soltanto come atteggiamento liquidatorio e di mera commiserazione.
Su un altro versante, ugualmente deformante, si pongono quanti partono dalle considerazioni di Antonio Gramsci sulla “questione meridionale” per proporre una lettura del brigantaggio come manifestazione della lotta di classe, identificando nella guerra per bande una forma di lotta armata condotta in prima persona dalle masse contadine contro le classi dominanti. La versione più articolata e problematica di questa interpretazione è offerta da Franco Molfese, secondo il quale è difficile negare al brigantaggio il carattere di un movimento di classe.
In esso appaiono combinati “[…] sia la protesta armata contro gli eccessi repressivi delle forze statali e contro i gravami imposti dallo Stato unitario (la coscrizione), sia l’uso della violenza armata per vendicare le sopraffazioni e i tradimenti di “galantuomini” e, soprattutto, per estorcere ai proprietari una aliquota della rendita agricola, negata sistematicamente”.
Franco Molfese in seguito ha mitigato le sue affermazioni, distaccandosi da quelle “[…] correnti politiche e ideologiche piuttosto confuse di estrema sinistra giovanile che attribuiscono al brigantaggio un contenuto anticapitalistico o, comunque, antiborghese maggiore di quanto ebbe realmente”. Infatti, una simile analisi “[…] parte dalla convinzione di una antistorica “vocazione” rivoluzionaria del “proletariato” italiano, perennemente tradita. […] Inoltre la mitizzazione dei capibanda quali leader contadini presuppone una coscienza e una autonomia nei singoli e nella “classe”, nonché una diffusa consapevolezza di massa che in realtà non potevano avere”.
Tuttavia, l’opinione ancora oggi più diffusa presso il grande pubblico è quella secondo cui “[…] alla base della rivolta dei contadini è un movente economico-sociale che non è certamente compreso da chi vuole servirsi per fini politici di povera gente vilipesa e oppressa”.
Un’interpretazione esauriente del complesso fenomeno del brigantaggio deve partire dalla considerazione che l’opposizione armata fu soltanto uno degli aspetti della resistenza antiunitaria delle popolazioni meridionali, che presentò contorni più vasti e profondi di quelli che avevano caratterizzato le insorgenze dell’età napoleonica.
Negli anni successivi al 1860, la resistenza si presenta con forme molto articolate, di cui offrono testimonianza l’opposizione condotta a livello parlamentare, le proteste della magistratura, che vede cancellate le sue gloriose e secolari tradizioni, la resistenza passiva dei dipendenti pubblici e il rifiuto di ricoprire cariche amministrative, il malcontento della popolazione cittadina, l’astensione dai suffragi elettorali, il rifiuto della coscrizione obbligatoria, l’emigrazione, la diffusione della stampa clandestina e la polemica condotta dai migliori pubblicisti del regno, fra cui emerge Giacinto de’ Sivo, che difesero con lo scritto i calpestati diritti di una monarchia da sempre riconosciuta dal consesso delle nazioni e benedetta dalla suprema autorità spirituale.
La resistenza armata fu però il fenomeno più evidente, che coinvolse non soltanto il mondo contadino ma tutta la società del tempo nelle sue strutture e nei gruppi che la componevano, come risulta dagli atti dei tribunali militari e dai processi celebrati a Napoli dalle corti civili.
Il cosiddetto partito borbonico, sulla cui reale influenza non è stato ancora tentato un bilancio definitivo, non raggiunse l’obbiettivo fondamentale di riportare la dinastia legittima sul trono, ma riuscì per anni ad aggregare quasi tutte le componenti sociali intorno a un sentimento patriottico e nazionale.
Nei primi anni il motivo legittimistico fu dominante e le modalità della guerriglia, capace di unire aristocratici e popolo, furono tali da richiamare alla mente l’epopea vandeana. Questa continuità contro-rivoluzionaria non è affatto simbolica, ove si consideri che a capeggiare gli insorgenti “[…] il fior fiore della nobiltà lealistica europea discese dalle brume dei propri castelli nel fuoco di una lotta senza quartiere “per il trono e l’altare”, “per la fede e la gloria”, come era scritto su uno dei pannelli della mostra su Brigantaggio, lealismo e repressione, organizzata a Napoli nel 1984.
Il conte Henri de Cathelineau – discendente di uno dei più valorosi condottieri della guerra di Vandea -, il barone Teodoro Klitsche de La Grange, il conte Edwin di Kalckreuth, il marchese belga Alfred Trazégnies de Namour, il conte Theodule de Christen, i catalani José Borges, che fu definito “l’anti-Garibaldi”, e Rafael Tristany, furono artefici di memorabili imprese e fecero a lungo sperare in una conclusione vittoriosa della guerriglia.
Con queste considerazioni non si intende sottovalutare il carattere anche sociale delle insurrezioni. L’eversione della feudalità e la privatizzazione dei beni della Chiesa durante l’età napoleonica, che avevano trasformato l’assetto della società e dato origine alla questione demaniale, ebbero una parte rilevante nello stimolare la partecipazione dei contadini alla lotta armata, ma questo aspetto non basta da solo a spiegare l’intensità, l’estensione sociale, l’ampiezza territoriale e la durata del brigantaggio.
L’attribuzione di un prevalente carattere sociale alla resistenza antiunitaria è causata sia da pregiudizi ideologici, che inducono gli storici a sottovalutare o a negare la componente politica del fenomeno, sia dalla diffusione e dalla persistenza del mito della oggettiva potenzialità rivoluzionaria delle sommosse contadine, secondo le tesi del sociologo inglese Eric Hobsbawn.
Questa impostazione è caratterizzata da una generale incomprensione e negazione della cultura delle popolazioni italiane, e ciò vale in particolare per la componente religiosa, che ne rappresentava l’anima. L’elemento religioso è generalmente presente nelle raffigurazioni d’epoca, così come sui vessilli e sulle insegne di battaglia; frati e sacerdoti sono presenti in gran numero nelle schiere degli insorgenti, sebbene fossero passati per le armi in caso di cattura; i vescovi – benché spesso scacciati dalle loro sedi – sostengono efficacemente l’insurrezione, stampando pastorali di tono antiunitario e ribadendo le proteste e le scomuniche provenienti dalla Santa Sede.
L’autorevole La Civiltà Cattolica esprime ripetutamente il suo appoggio a quello che era ritenuto uno spontaneo movimento di massa, a carattere legittimistico, contro le usurpazioni del nuovo Stato liberale. Il brigantaggio, dunque, è stato un fenomeno composito, manifestazione del contrasto fra due mentalità, fra due differenti impostazioni culturali – che ha indotto l’antropologo Carlo Tullio Altan a parlare di “reazione di rigetto della società meridionale nei confronti di una realtà storica diversa” e di “uno scontro di civiltà” – , ma soprattutto ha rappresentato l’espressione più macroscopica della reazione di una nazione intera in difesa della sua autonomia quasi millenaria e della religione perseguitata e, dunque, costituisce l’ultimo tentativo compiuto in Italia, insieme con “la difesa di Roma a opera degli zuavi”, per “combattere la Rivoluzione con le armi”.
Edmondo De Amicis offre un quadro esauriente del fenomeno: “Era l’estate dell’anno 1861, quando la fama delle imprese brigantesche correva l’Europa; quei giorni memorabili in cui il Pietropaolo portava in tasca il mento di un ‘liberale’ con il pizzo alla napoleonica ( … ), quando a Viesti si mangiavano le carni dei contadini renitenti agli ordini dei loro spogliatori; ( … ) quando s’incendiavano messi, si atterravano case, si catturavan famiglie, s’impiccava, si scorticava e si squartava“.
fonte sudindipendente.superweb.ws