I Martiri di Otranto – 1480
Il 25 luglio 1480, una flotta di 200 navi e 18.000 uomini[2] sbarcò nei pressi di Otranto in due cale, una detta di Orte, e l’altra di Vadisco. I turchi «si trincerarono in una piccola foresta di aranci e di cedri che abbellivano una grande estensione di giardini, i più giocondi d’Italia. Questo posto era comodo e delizioso ai Turchi perché li forniva di una infinità di fontane, e si estendeva fino ad un lago, che era così abbondante di pesci, che contribuì non poco alla sussistenza dell’armata»[3].
Il governatore della Piazza, Francesco Zurlo, riuscì ad armare circa 1000 terrazzani per difendere le mura e prendere tempo, sperando in un soccorso proveniente da Napoli. Ma l’armata del Re Ferdinando, non poté soccorrere gli otrantini perché era accampata presso Siena, dove combatteva contro i fiorentini e i veneziani a favore della lega concordata con il Papa. Acmet assediò Otranto con cinque cannoni e alcuni mortai che gettavano proiettili incendiari e pietre di smisurata grandezza che ancora oggi si possono vedere in più punti della città. L’Arcivescovo Stefano Pendinello convocò un’assemblea dei cittadini nella chiesa cattedrale dell’Annunziata. I più ragguardevoli e zelanti furono Angiolo Antonio, Gabriele Caetano, Antonio Primaldo, Marcantonio di Marco, Angiolo Majorano, Donodeo Colluccia, Colla Mezzapinta, e Lanzillotto Fagà. Questi deliberarono di morire, e piuttosto che dare le chiavi della città ad Acmet, le gettarono in un pozzo ch’era davanti alla cattedrale.
Dopo quindici giorni di assedio, Venerdì 11 agosto, i turchi aprirono una breccia nelle mura. Il capitano Zurlo, ferito una seconda volta, morì combattendo. Gli otrantini si barricarono nelle vie, ma assaltati da ogni lato si ritirarono nella chiesa dell’Annunziata, ossia nella cattedrale. Il giorno dopo, i mussulmani attaccarono la cattedrale e vi penetrarono mentre l’ottantenne arcivescovo Stefano, vestito degli ornamenti sacri, stava amministrando la comunione. Un negro di nome Matel, nato a Nardò da madre italiana, strappata la mitra all’arcivescovo gli troncò la testa, che espose nella pubblica piazza. «Le donne furono violate dentro la Chiesa, laddove restarono trucidati anche i Canonici e i Religiosi Basiliani, che vi stavano in orazione».[4]
A dì 11 Augusti foi preso Otranto dalli Turchi, et fero no macello grande de omne uno, che se trovava alla defencione della Cettate, et ci morio Francesco Ciurlo, et Messer Juanni Antoni delli Falcuni Capitanio delli Suldati. Quilli entrati alla Cettate andaro uccidendo omne uno, che se trovavano nnanti, e ponera omne cosa ad sacco, et ad foco, entraro alla Ecclesia grande, et vi trovaro lo Archiepiscopo Stefano Pendinello de Nerito, multi Sacerdoti, Uomini, et tutte le Donne, tutti ammazzaro excepto le Donne, le quali fora da quilli Cani dessonerate. Dio benedetto perdoni alli Florentini, et alli Vinigiani, che issi sono causa de tanti mali pe avere facto venire li Turchi in danno dello Segnore Re, et de tutto lo Reame.
A dì 12 Augusti lo Bascià ordinao, che se facesse adnotazione de omne Uomo, Donna, et Piccirillo de dodici anni ad bascio che era rimasto vivo, et cosi foe facto.
A dì 13 Augusti ordinao, che omne Uomo se vulia non essere ammazzato se avesse facto Turco, et lasciare la -fede di Jesu Cristo, et pilliare quilla di Maometto, et cusì portati innanzi allo Bascia li disse: vui aveti ammazzato tanti Turchi pe no averivi vuluti arrendere subito, ora sete tutti miei schiavi, io ve prometto di lasciarevi vivi, et darevi la libertate se rennegate Jesu Cristo, et credite a Macometto [sic]; ma Mastro Antonio Grimaldo Cusitore respondio in nome de omne uno, che vuliano stare presuni, schiavi, et murire pe no renegare la Fede de Jesù [sic] Cristo; pe quisto parlare se sdegnao multo lo dicto Bascià [sic], et ordinao che se le avesse tagliata la testa, come fece no Turco co na Scimitarra; ma lo Segnore Dio pe fare vedere la sua potencia a quilli Cani rimase lo corpo di Mastro Antonio diritto senza cadere ad Terra, come se fosse vivo, e pe quanto fera que Cani pe ordine dello Bascià di menarelo ad Terra no foi possibile, et cadio quando si finio la occisione de tutti, che fora ottocento. Lo Bascià ordinao, che omne corpo di quilli fideli Cristiani se lasciassero stare pe essere mangiati dalli Cani, ma Iddio omnipotente no lo permettio, et rimasero pe tredici mesi sani come se pe allora fossero uccisi, et le carni odoravano, et no mandavano nullo fedore, come io viddi sendo contro Turchi in difencione, et liberacione de Otranto colla armata Cristiana dello Segnore Re in quisto anno mille quattrocento ottantauono.[8]
I cronisti del tempo attribuirono ai Fiorentini e ai Veneziani la responsabilità dell’attacco a Otranto, perché li incitarono a conquistare la città per ridurre la potenza del Re aragonese.[9]
Il 1° agosto giunse a Napoli un cavaliere per informare il re Ferrante I d’Aragona. La notizia dell’assedio di Otranto raggiunse tutte le città italiane ma i prìncipi del Nord, compreso il Papa, essendo ostili alla casata Aragonese non vollero intervenire. Ferrante d’Aragona non avendo denaro per preparare l’offensiva contro i Turchi chiese aiuto ai Veneziani, che in cambio del loro intervento chiedevano di installare proprie basi sulle coste della Puglia.[10] Il Re promise a Firenze la restituzione dei territori occupati e i Fiorentini gli concessero un prestito di 10.000 ducati in oro per organizzare la riconquista di Otranto. Per queste cose i Napoletani odiarono i Fiorentini e i Veneziani. Il Papa Sisto IV temendo il dominio dei Turchi in Italia si decise a inviare un’armata genovese con ventuno galere[11] e una fusta[12] per aiutare il Re di Napoli a riconquistare Otranto. Anche il Re del Portogallo e il Re di Spagna inviarono a Napoli un’armata, il primo con diciannove caravelle[13] e il secondo con 22 navi.
D’improvviso giunse un messaggero inviato da Maometto, che ordinò ad Acmet di partire subito coll’armata per Costantinopoli, lasciando in Otranto un numero di soldati bastevoli alla difesa della città. Acmet lasciò a guardia di Otranto 7000 fanti, 500 cavalieri e 12 galee sotto il comando di Sangiacco di Negroponte e partì per Costantinopoli. Gli Storici di questo tempo hanno scritto, che per l’Italia era disperata, perché temeva di non poter affrontare centomila Maomettani comandati dallo stesso Sultano. «Di tutti gli attestati di questa costernazione, scriveva Giorgio Guillet, rapporterò che quello di Sabellico: Non avvi punto di dubbio, che era finita per l’Italia, se la Sovrana Provvidenza arrestato non avesse il cors di sì gran male colla morte di Maometto.»[14]
Degli ottocento martiri, 240 furono inviati dal duca Alfonso a Napoli nella chiesa della Maddalena, detta per qualche tempo, S. M. de’ Martiri. Poi furono trasferite, dove ancora oggi si possono venerare, nella Chiesa di S. Caterina a Formello a Porta Capuana.
Alla morte di Maometto II, avvenuta il 3 maggio 1481 all’età di 52, i figli Bajazzette, e Zim o Zizim, detto in Italia Zizimo, si trovavano in regioni diverse dell’impero, dove il padre li aveva inviati perché fossero occupati in attività di piacere e fossero distratti dal muovere tumulti e sedizioni per la successione al trono, sapendo che entrambi miravano ad esso. Avvenne ora che Bajazzette, il figlio primogenito, trovandosi più vicino alla Reggia prese possesso del trono con l’aiuto di Acmet Bassà, che da Otranto era corso velocemente in suo aiuto. Giunto poi Zizìmo con un grande esercito si affrontarono in combattimento. Zizìmo vedendosi sconfitto da fratello, persuaso che se fosse caduto nelle sue mani sarebbe stato trucidato, fuggì presso i Cavalieri Gerosolimitani a Rodi e poi in Francia, dove regnava Luigi XI. Successivamente fu affidato alla protezione del Papa Innocenzo VIII, che lo consegnò a Carlo VIII, successore di Luigi XI, allorché giunse a Roma. Zizìmo morì di dissenteria a Terracina, all’età di 42 anni.
Il 14 dicembre 1771, i Martiri furono dichiarati Beati dal Papa Clemente XIV. Il 12 maggio 2013, sono stati dichiarati santi dal Papa Francesco I.
[1] Il ritratto a lato è tratto da un quadro del pittore veneziano Bellini, che su richiesta dello stesso sultano Maometto II si recò a Costantinopoli per eseguire il dipinto (Poliorama Pittoresco, 1840, p. 180).
[2] Cfr. GIROLAMO TOMMASO MARCIANO, Descrizione, origini e successi della provincia di Otranto, con aggiunte del filosofo e medico Domenico Tommaso Albanese di Oria; prima edizione del manoscritto, Stamperia dell’Iride, Napoli 1855, p. 385.
[3] GIORGIO GUILLET, Storia del regno di Maometto II, imperadore de’ Turchi, traduzione dal francese, ed osservazioni dell’abate Francescantonio Soria. Tomo II, Stamperia Simoniana, Napoli 1771, p. 346.
[4] Ivi, p. 350.
[5] Così detto perché nell’antichità vi era un tempio dedicato alla Dea Minerva.
[6] Il dipinto della decapitazione, olio su tela, è sull’altare della Chiesa di S. Caterina a Formello, nella cappella dedicata ai martiri, a Porta Capuana a Napoli.
[7] GIORGIO GUILLET, op. cit., p. 352.
[8] MICHELE TAFURI, Opere di Angelo, Stefano, Batolomeo, Bonaventura, Gio. Bernardini e Tommaso Tafuri di Nardò, ristampate ed annotate da Michele Tafuri, Napoli 1851, vol. 2, p. 570. – Diarii di Luciani Caardani, nato a Gallipoli il 31 dicembre 1410. –
[9] Le calunnie de’ Napolitani, che accusavano i Veneti di aver tirate l’armi di Maometto in Italia, son rapportate in questa guisa da Michele Marziano, che ha tradotto dal latino in italiano, la Relazione di Antonio de Ferrariis: Questi (Veneziani ) par che temevano , che allargando il Re Ferdinando i confini del suo dominio, non venisse a farsi Signore della Lombardia, presa l’occasione che lor si offeriva di abbassar i disegni del Re ,fecero sì che Maumet Bega Re de’ Turchi mandasse una grossa armata a danno di detto Regno. L’Autore.
Tutti i nostri Storici si querelano non solo dei Veneziani, ma anche de’ Fiorentini; e Costanzo particolarmente libro 20. assicura, che Lorenzo de Medici trattò questa invasione con Maometto per mezzo di alcuni mercatanti Italiani, che trafficavano in Costantinopoli. (GIORGIO GUILLET, op. cit., nota a p. 355.)
[10] Nel 1484 i Veneziani saccheggiarono Gallipoli e altri luoghi pugliesi. Nel 1496 il re Ferrandino in cambio di un prestito di 20.000 ducati concesse ai Veneziani Trani, Brindisi e Otranto.
[11] La galera o galea era una nave lunga circa 40 metri, e larga circa 12; veloce e leggera, di bordo basso con due o più ordini di remi e due alberi con vele latine (ossia a forma triangolare). Una galera aveva 26 remi per ogni lato e cinque schiavi rematori per ogni remo (quelle grosse avevano 30 remi). Una galera trasportava più di 300 uomini di cui 260 rematori schiavi e circa 80 guerrieri saraceni; aveva un cannone centrale a prua e due più piccoli ai lati.
[12] La fusta è una piccola galera leggera e veloce a bordo basso, con numerosi rematori; fornita d’un albero centrale con vela latina, era armata con due o tre pezzi di artiglieria a prua.
[13] Nave in legno, fu introdotta nel 1441 dai portoghesi a Lisbona. Leggera e robusta, era adatta a lunghi viaggi. Furono utilizzate da Cristoforo Colombo nel 1492 per scoprire l’America.
[14] GIORGIO GUILLET, op. cit. p. 357.
Vincenzo Giannone
Onore al popolo Otrantino che con il loro Martirio e la resistenza dei paesi limitrofi, hanno effettivamente scongiurato una rapida ascesa turca.