Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

I Proverbi dell’antica Terra di Lavoro, gli Animali (IV)

Posted by on Feb 1, 2019

I Proverbi dell’antica Terra di Lavoro, gli Animali (IV)

Il gallo e la gallina
Altro animale importante per l’alimentazione era il gallo; nei secoli passati i polli dovevano essere molto comuni sia nei poderi dei ricchi, sia nelle aie dei contadini, anche dei più poveri.


Con questo va considerata anche la gallina soprattutto per le uova che regala alla padrona di casa; e poi c’erano i pulcini che formavano la nidiata della “vòccola”, cioè la chioccia.
Cominciamo col riferire un detto sul gallo:
1. Addò stanno ciénte vagli a cantà, nun se fa maje juórno (Varianti formali: Quanno stanno tanta vagli a cantà, nun schiara maje juorno), cioè: Dove (o quando) ci sono molti galli a cantare, non si fa (non schiara) mai giorno.
A discutere in troppi non si giunge mai ad una conclusione. In un pollaio è preferibile che ci sia un solo gallo, che faccia da padrone assoluto, anche nei confronti delle tante galline a disposizione, altrimenti ci sono continui battibecchi e scontri trai maschi per stabilire a chi tocchi il comando supremo!
2. Quello che segue può riferirsi sia al gallo sia alla gallina: Tené’ ‘u pizzo buóno e a scélla rótta (Tenere il becco buono e l’ala rotta): avere il becco buono per mangiare e l’ascella (la scélla) rotta così da non poter volare (in generale muoversi). Il detto si riferisce a chi è malandato nel corpo, ma ha ancora buon appetito.
3. In quello che segue son messi di contro gallo e gallina: A vaglina fa gl’uóvo e a `u vaglio ‘i ‘ngégna ‘u culo (La gallina fa l’uovo e al gallo gli brucia il culo); incerto l’etimo di `ngignà per bruciare. Se uno fa del bene, perché sei invidioso?
4. A vaglina che nun fa gl’uóvo è sempe pullastra (La gallina che non fa l’uovo è sempre pollastra). La persona anziana che non ha avuto figli è sempre giovane e ancora piacente!
5. Tiémpo ‘e vinaccia: chi vo’ ll’ova, che se le faccia! (Tempo di vinacce: chi vuole le uova, che se le faccia). La vinaccia è ciò che rimane dell’uva pigiata; la vinificazione si fa nei mesi di settembre – ottobre, periodo in cui le galline non fanno le uova. Da notare la rima vinaccia/faccia. L’uso del congiuntivo (faccia) fa pensare che il detto non sia antico.
6. ‘U pucino vó mette’ a béve’ a’ vòccula (Il pulcino vuol mettere da bere alla chioccia).Per l’etimo di vòccula si potrebbe pensare alla forma latina vocca connessa col verbo vocare = chiamare per l’abitudine che ha la chioccia di correre in giro continuamente chiamando a sé i pulcini (D’Ascoli, Diz. Etico. Nap., Napoli, 1979, pag. 719). Il detto vuol riferirsi a persone di rango inferiore che vorrebbero dar lezione a quelle di grado superiore.
7. “Fatico, fatico, sempe scàusa vaco” ricètte ‘a vaglina (“Fatico, fatico, ma sempre scalza vado” disse la gallina). Scàusa = scalza con passaggio da –1 seguita da consonante ad –u , come in gàuto da alto. Detto di persona che, nonostante tutto l’impegno messo nel lavorare sodo, non riesce a migliorare la sua posizione sociale.
8. Pinnuli ‘e gallina e sceruppo ‘e cantina (Pillole di gallina e sciroppo di cantina). Le pillole (in dialetto sono conosciute al maschile) sono le uova, la cantina è l’osteria il cui sciroppo è naturalmente il vino; pertanto chi vuol stare in buona salute deve cibarsi di uova e bere vino.
Come si vede, l’uovo compare in almeno quattro detti: la sua frequenza sta a dimostrare la sua importanza nell’alimentazione; c’è da dire però anche che la gallina fa fessa ‘a femmena, la inganna perché questa non si rende conto di quanto le costi un uovo.

La volpe
Parlando di galline e pulcini, il nostro pensiero corre al loro nemico dichiarato che è la volpe e a proposito del rapporto tra questi due animali va ricordato il famoso detto:
1. “Cunziglio ‘e vórpe: rammaggio ‘e vagline” (Consiglio di volpi: danno di galline). Rammaggio dal francese dammage, cioè danno.
Alla volpe si riferiscono poi due locuzioni da noi raccolte in zona:
2. “Pare ‘u fuóco r’a vórpe” per indicare un fuoco scarso, che sta quasi per spegnersi; e
3. “Tené’ gl’ uócchi a fessélla ‘e vórpe”, tenere cioè gli occhi quasi chiusi, come quando si è trascorsa una notte in bianco o si è ubriachi.

l cavallo
Già in epoca classica esso aveva una grande importanza, che s’accrebbe nel Medio Evo, grazie alla fusione della civiltà latina con quella dei Germani i quali tenevano questo animale in grandissima considerazione fin dai tempi più antichi.
Il cavallo continua poi ad essere d’ indispensabile aiuto per l’uomo nel lavoro, nel trasporto delle persone e delle cose, nella caccia, in guerra, ecc. L’uso di gareggiare nei tornei impone ai nobili i quali costituiscono lo strato più elevato della società medievale, di avere cavalli che per bellezza e attitudini guerresche rendano più grande il loro prestigio.
Nella nostra raccolta il cavallo è presente poche volte.
1. ‘U cavallo ‘e corsa se vére `ncopp’o tiro a lluóngo (Il cavallo da corsa si vede sul tiro a lungo).
Il cavallo valido e capace si riconosce sopra il tiro a lungo; cioè la sua resistenza si valuta non su percorsi brevi; le persone capaci a lungo andare, col passar del tempo manifestano le proprie qualità.
2. A cavallo jastemmato ‘i luce `u pilo (A cavallo bestemmiato gli luce il pelo).
A cavallo contro cui è stata lanciata una imprecazione luce il pelo; chi è mal visto dagli altri ha sempre un bell’aspetto (S. Zazzera, Proverbi e modi di dire napoletani, Roma, 1996, p. 13).
3. ‘Nu fascio ‘e malèreva avanza a ciénte cavalli (Un fascio di cattiva erba basta e avanza a cento cavalli).
Un detto di segno negativo, diverso dai due precedenti di segno positivo.
Il cane
Nella graduatoria delle frequenze degli animali nei detti popolari da noi raccolti, al secondo posto troviamo il maiale e, grosso modo alla pari, il cane, che naturalmente si segnala per un altro motivo, quello cioè della difesa e dell’amicizia dell’uomo.
Elenchiamo i detti che riguardano il cane.
1. Chi nun rispetta `u cane, nun rispetta manco lu padrone (Chi non rispetta il cane, non rispetta neanche il padrone).
Il rapporto tra cane e padrone è molto stretto; il padrone vuole bene al suo cane che gli è fedele; perciò in questo caso, rispettare il cane è lo stesso che rispettare il padrone. Se tra due persone (padre e figlio, marito e moglie, due amici, ecc.) c’è stima reciproca, esse si equivalgono, perciò è necessario rispettarle entrambe; offendere l’una è come offendere l’altra.
2. ‘U cane ‘e caccia, quanno ha da caccià, ‘i vène ra piscià (Il cane da caccia, quando deve cacciare, gli viene da urinare).
Qui si sottolinea una caratteristica negativa che colpisce in particolare il cane da caccia perché l’arte venatoria era nel Medioevo disapprovata in generale dalla Chiesa.
3. ‘Na vota ‘u cane jètte a messa e ‘u caccèreno pure for’ (Una volta il cane andò a messa e lo cacciarono anche fuori).
Quando si dice “vita da cani” si vuol dire “vita randagia” perché nessuno ti accoglie; sei cacciato via da ogni luogo. Andare in chiesa ad ascoltare la messa è per i cristiani una buona azione, anzi un precetto da osservare, ma nemmeno lì il cane troverà accoglienza.
4. ‘U cane mózzeca ‘u stracciato (Il cane morsica lo stracciato).
I deboli sono sempre sopraffatti: una persona sta male? La cattiva sorte sembra accanirsi contro di essa, facendole capitare altri malanni. È interessante qui sottolineare che a rappresentare la cattiva sorte sia scelto il cane visto nell’azione dell’azzannare.
S. Me pare ‘u cane `ncòpp’e cannaùcciuli (Mi pare il cane sopra i pezzi di canapa).
Qui il cane è assunto a simbolo di chi è costretto a muoversi continuamente, senza mai trovar requie come appunto chi sta disteso sopra pezzetti di canna di canapa, certamente non soffice, anzi duri e pungenti; quindi l’espressione è riferita al comportamento di quei ragazzi molto vivaci che si agitano sempre.
6. Attaccà i cani cóglie e cóglie (Attaccare i cani testicoli e testicoli).
Se si riesce ad attaccare i cani legandoli in questo modo, i due animali creeranno un pandemonio; il detto vuol esprimere perciò l’idea di “mettere zizzania”.
7. È meglio esse’ parente a’ cana che a ‘o cane (È meglio essere parente alla cagna che al cane).
Tra maschio e femmina, meglio quest’ultima. Tra i parenti le donne sono più accomodanti; da loro si ottiene qualcosa di più.
8. Pòzzano accìrere a te, no a i cani ricènno (Possano uccidere te, non i cani dicendo).
Una imprecazione contro l’essere umano, che spesso si comporta in modo peggiore delle bestie. Il gerundio finale sembra quasi un ricredersi: ‘per così dire’!
Dunque il cane va rispettato come simbolo di fedeltà; ma esso è anche segno della cattiva sorte che azzanna; vien cacciato via, è vagabondo (non trova mai requie), mette zizzania. Il cane quindi ha sempre avuto un significato ambivalente: fedele, ma anche una creatura demoniaca.

Antonio Martone

fonte http://www.erchempertoteano.it/Teano/Tradizioni/Detti_pop/Detti_pop006.htm

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