Il Brigantaggio alla Frontiera Pontificia- Tristany
Scendo finalmente alla Banda Tristany
Era costui uno spagnuolo come il Borjés, che dopo aver agitato il paese nativo per la causa di Don Carlo, esulò e visse oscuro ed ignorato non so in qual parte di Europa, e quando sorse la questione della unità italiana e le operazioni militari contro Gaeta e la capitolazione e il viaggio di re Francesco II per l’esilio di Roma, egli, al pari di tutti gli avventurieri della terra, venne a offrire la sua spada, il suo cuore ed i suol talenti allo spodestato Borbone, e n’ebbe subito lodi, blandizie e pecunia.
Ma essenzialmente pecunia desiderano ed anelano questi filibustieri, e come ne fosse avido il Tristany l’abbiamo visto nel capitolo che de’suoi principj, della sua onestà, del suo carattere io discorsi, e nel quale accennai come essendo a Roma preconizzato capo delle bande che infestavano la frontiera, facesse stipulare la sua astensione o la sua immobilità mediante grosso compenso pecuniario, e come sdegnosamente e nobilmente vi rispondesse il giovane, quanto intelligente e baldo generale Govone, pur dissi.
Malgrado questa debolezza dal lato dell’interesse, debolezza ch’egli ha comune con tutti i capitani di ventura antichi e moderni, io lo credo uomo amante, sincero e convinto della legittimità e della grazia di Dio, e fortemente persuaso di difendere una causa giusta, sostenuta dalla maggioranza del popolo.
Uomo già avanzato in età, ma complesso, nerboruto e vegeto assai, assennato e fermo, diede principio alla sua nuova carriera facendo fucilare alcuni dell’ex-banda di Chiavone perché ladri, e fucilando (a quanto han detto alcuni briganti arrestati) Chiavone stesso, percbè si era appropriato la maggior parte del denaro ricevuto da Roma; ma, e forge meglio, per non avere antagonisti nel comando. Sembrò tuttaprima intento ad organizzare la sua banda militarmente, ma ciò era impossibile. Coloro erano ladri per costume e per natura, e ladri volevano rimanere, e rubare volevano; quindi dovette accontentarsi di comandare quanto meglio poteva una frotta di ladri e di assassini. Si dice ch’esso abbia riconosciuto, dopo qualcbe tempo di prova, di servire una causa perduta nella pubblica opinione: certo che non gli è mancato modo per convincersene. Si dice per soprappiù cbe una volta, essendo invitato ad un pranzo, si fosse espresso che “riteneva delitto abbandonare una causa comunque perduta,
quando si era giurato nei suoi momenti felici di difenderla”.
Io non saprei ben dire quali fossero i momenti felici per la causa che Tristany sosteneva, perocchè nè a me nè ad altri risulta ch’egli abbia mai servito re Francesco durante il breve suo regno, nè il padre suo Ferdinando; cito però la frase soltanto per mettere in evidenza il carattere di questo Capobanda, del resto non troppo fanatico, anzi ritenuto dal partito soverchiamente prudente.
In tutto il tempo ch’egli ebbe il comando della banda (e sono meglio che ventiquattro mesi), una sol volta valicò il confine, e comparve a Sant’Oliva, paese posto ad otto miglia circa nell’interno. Montava un bianco cavallo, ed egli stesso faceva sventolare un bianco stendardo, ma a nulla riusci. Trovò opposizione nelle Guardie Nazionali di quel paese ed in quelle delle campagne circostanti. In un attimo accorsero le truppe da San Germano, da Pontecorvo e da Roccaguglielma, e dovette ritirarsi più che di fretta sul Pontificio, contando a gran ventura l’essere sfuggita la sua banda al totale esterminio.
Da quell’epoca in poi nulla ha più tentato. Ora era a San Lorenzo, ora ai Prati di Campoli, ora a monte San Giovanni. Più d’una volta ha scandagliato il Liri per vedere dove meglio fosse guadabile: non lo ha passato giammai. La sua banda è ora arrivata, dicesi; a trecento individui, ma da ciò che dirò in seguito sembrerebbe minore di molto.
Si disse che il Comitato Borbonico di Roma stanco dello enorme sciupio che si faceva del suo denaro, senza mai vederne il frutto, lo aveva privato del comando, ma di positivo nulla si conosce. In sul principio del marzo 1863 mandò una ventina d’uomini comandati da un Planes, spagnuolo esso pure , e dal famigerato Fuoco, del quale ho parlato antecedentemente, per una esplorazione al Monte Cesima. Costoro furono sorpresi dalla truppa del 60° di fanteria stanziata a Mignano. La banda ebbe un morto in conflitto, sei furono presi colle armi alla mano e fucilati, molti feriti, che però si salvarono negli antri oscuri ed invisibili del monte. I fucilati, prima di morire; confessarono aver avuta missione da Tristany di esplorare il territorio e prender lingua co’partigiani: doverne riferire subito dopo Pasqua (1863). Fra questi, due avevano brevetti recenti di ufficiale firmati a nome di re Francesco Il di Borbone da Tristanv Matesciallo di campo dell’altezza M. S.!
Nel momento in cui scrivevo questa narrazione storica il partito Borbonico-Clericale si dimenava convulsivamente in Roma. Pareva ei volesse tentare un colpo, che il partito stesso chiamava l’estremo. Si diceva che tre colonne dovevano per varie direzioni irrompere nel nostro Stato. Si faceva credere agli arruolati che appena sarebbero pervenuti nell’interno, quaranta mila insorti verrebbero al loro incontro, ed altre fiabe di egual risma; ma sinora, a quel che io mi sappia, nulla di quello che s’andava vociferando si è avverato, anzi le condizioni del brigantaggio alla frontiera sono più tristi che mai …
Risulterebbe d’altronde, sempre secondo le confessioni dei sei fucilati di Mignano, di cui ho parlato poco fa, che Tristany trovasi in pessime contingenze; pochi uomini , meno denari ed i arnnesi peggio ! Cotesti esploratori eran tutti malamente vestiti ed alla caffona; avevano cattivissimi fucili da soldato; erano insomma individui senza direzione, quantunque il Planes ed il Fuoco se ne dicessero i capi. Si mandavano all’avventura ed al sicuro macello, soltanto per satollare le voglie ingorde del feroce Comitato Borbonico di Roma, che sempre vinto e sempre illuso domandava un olocausto alla sua speme scellerata di ristaurazione ! Forse lo stesso Tristany con quella spedizione sperò di riassodare il vacillante suo comando.
Del resto io credo troppo astuto e troppo prudente quel Capobanda, per avventurarsi in un’impresa che esso stesso conosce disperata, e lo ritengo abbastanza uomo di senno e di proposito, e troppo conscio de’proprj interessi, per saper approfittare di questi momenti di effervescenza e di accecamento per smugnere con ogni possa il Comitato di danaro, promettendo cose che scientemente sa di non poter fare… Ho studiato per bene Tristany e credo senza burbanza di conoscerlo per segno e per filo, egli è un pezzo di conio !
In ogni modo si può esser certi cbe qualora Tristany, o quegli cbe gli succederanno probabilmente (perché la commedia della reazione non è ancor finita !) tentassero una irruzione nel nostro territorio, le truppe li accoglierebbero in modo da fargliene perdere per sempre la voglia.
Qui termina il racconto storico dell’epopea brigantesca alla frontiera, per quell’epoca che io mi era prefisso descrivere .
Parmi, se non erro, che da esso, per quanto breve sia, chiaramente risulti che molto ebbero a fare le truppe; ma che le diverse bande non mai giunsero ad organizzarsi fermamente e fortemente, e quindi le loro imprese momentanee, ma numerose e svariate e qualcuna rarissima non priva di un certo ardimento, furono sempre e tosto accompagnate da una certa e completa sconfitta.
Ricerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da: “Il Brigantaggio alla Frontiera Pontificia dal 1860 al 1863” Milano 1864
PAG.317 – 321
omissis…pag 317