Il brigante alla cena del diavolo ragazzino
Questo cunto arriva da Camerota, anzi Licusati che del centro cilentano è frazione alta. Il borgo si trova sulla collina che sovrasta il mare azzurro e limpido della costa ed è immerso tra i boschi che ne cingono il perimetro. Vittima dello spopolamento oggi, era un paese a sé in grado di rivaleggiare con quello che è adesso il capoluogo comunale.
Borgo di pastori, contadini, qualche pescatore e non pochi briganti che hanno avuto il privilegio di vivere nella bolla fatata retta dall’unica legge possibile lì, quella del mistero.
Braccato dai gendarmi e dalla milizia al soldo dei padroni, il brigante s’era rifugiato nel fitto della foresta. Era già da qualche giorno che sopravviveva all’addiaccio, campando di quanto il bosco avaro riusciva a offrirgli in un inverno straordinariamente rigido. Lui era uno dei più temuti e rispettati banditi del paese e aveva lasciato la placida vita della comunità un po’ per fame d’avventura e, molto di più, per fame dello stomaco. Inseguito, sulla sua testa pendeva una taglia. Stavolta era rimasto solo perché anche i compagni s’erano dovuti disperdere. Per evitare di essere tutti presi dalle guardie, si faceva così: ognuno per sé e Dio per tutti.
Era già da molte ore che camminava tra alberi e piante, mezzogiorno era passato da molto ed era calata la nebbia, tanto densa quanto insolita. Il bandito la salutò un po’ col fastidio di chi dovrà trovarsi a camminare nell’umida nuvola calata per terra e un po’ col sollievo dell’aiuto (a nascondersi) che gli mandava il Cielo. Mentre si faceva largo tra gli arbusti, dalla coltre grigiastra spunta uno strano ragazzino. Coperto da un pastrano smandrappato, è bianco e smunto. Zoppica vistosamente, gli occhi sono spenti. Il brigante lo vede, lo scruta, lo osserva. Capisce che è un povero diavolo e che è desolatamente solo.
“Chi sei?”. Il ragazzo abbassa lo sguardo. “Che fai qua?”, zitto. “Che ti hanno fatto?”. Silenzio. “Chi è stato?”. Tace. Non parla, trema di freddo. Sarà un povero mentecatto, muto e forse pure sordo oltre che zoppo. Il brigante, impietosito, si fa seguire e lo conduce con sé fino a una caverna dove troveranno ricetto per la notte. “Statti qua, non ti muovere”. Il bandito si allontana per poi tornare, una mezz’ora dopo, con due malevizzi, due tordi che mangeranno per cena.
L’uomo con calma e circospezione accende il fuoco. Terrà lontani gli animali notturni ma, soprattutto, servirà a cuocere gli uccelli catturati. Li pulisce, li sistema su due stecchi che ha ricavati da un ramoscello. Uno lo offre al ragazzo che con un gesto gentile lo rifiuta. E mentre, con la mano dice di no al malevizzo, con l’altra cava dal pastrano un altro spiedo con su infilzato un rospo da arrostire.
Il brigante trasecola e urla: “Allora sei diavolo!”, il guaglione fa una smorfia di rabbia, lancia in aria la pezza che ne copre il corpo e con la coscia offesa, che in realtà è una zampa caprina, dà un calcio terrificante al terreno e scompare in una nuvola di zolfo.
Giovanni Vasso
fonte
ecampania.it