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Il Colonnello FERDINANDO BENEVENTANO del BOSCO

Posted by on Feb 28, 2019

Il Colonnello FERDINANDO BENEVENTANO del BOSCO

Un fiero avversario di Garibaldi in Sicilia

di Fernando Mainenti

Con Alfieri irrompe nel pensiero dei primi anni dell’Ottocento, una forte tensione spirituale che si traduce in un irriducibile amore per la libertà dell’uomo sempre in lotta per la propria affermazione, al di fuori di ogni possibile compromesso.

E lo stesso Alfieri dimostrò di essere il primo intellettuale veramente libero abbandonando il Piemonte che gli aveva dato i natali, poiché non sopportava più quella monarchia sabauda, reazionaria, conservatrice ed oppressiva, che reggeva lo Stato, preferendo vivere il resto della sua vita nella più colta e liberale Toscana.

Nei primi anni dell’Ottocento avvenne la fusione tra Risorgimento letterario e Risorgimento politico: un tema costante della cultura italiana nei primi decenni del secolo. Nacque spontaneo il confronto fra il glorioso passato dell’età classica, delle libertà comunali, del trionfo artistico del Cinquecento posti in relazione con la misera età presente, fatta di compromessi, di politica illiberale, di un frazionamento del Paese senza precedenti.

Fiorì spontaneo, quindi, il pensiero della rinascita di un passato glorioso in un’epoca nuova. In un secondo tempo venne a costruirsi il mito del Risorgimento politico, in quanto tutte le forze liberali dell’Italia ottocentesca si impadronirono del pensiero tendente ad indicare l’insieme dei processi politici, sociali e culturali messi in relazione all’indipendenza del Paese dalla subordinazione straniera, quella austriaca in particolare.

Nei primi anni postunitari divampò la retorica del Risorgimento: le agiografie dei protagonisti Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele, non si contarono. Sorsero monumenti, lapidi, si celebrarono discorsi, bandiere, medaglieri, corone d’alloro.

Al nome dei protagonisti della rivoluzione vennero dedicati teatri, vie, piazze, ospedali, scuole; i fatti e i fenomeni risorgimentali furono deformati, travisati, dagli storici piemontesi che inventarono una retorica riconciliazione nazionale in seno alla quale scomparivano i contrasti, le differenze, e le diverse posizioni; furono falsamente documentate monumentali menzogne (come l’incontro di Teano), nascosti i crimini e gli errori gravissimi commessi dopo l’Unità d’Italia.

La conquista e la susseguente colonizzazione del libero Regno delle Due Sicilie venne celebrata con plebisciti – truffa di annessione, con finte elezioni manipolate da Per il Meridione, l’annessione del 1860 fu, nella storia d’Italia, un disastro senza precedenti.

Il Sud conobbe gli orrori di una repressione militare e poliziesca tragica.

I suoi abitanti furono massacrati dai liberatori piemontesi; una percentuale enorme di cittadini fu costretta all’emigrazione in terre straniere; le industrie fiorenti creati dai Borbone furono smantellate e tramite un perverso sistema bancario tutte le risorse finanziarie del Sud furono confiscate dal Nord e servirono, in buona parte, al raddoppio della ferrovia del triangolo industriale Torino – Genova – Milano.

In realtà l’Unità d’Italia fu un’annessione forzata.

Da quel lontano 1860, gli storici partigiani si sono affannati a cancellare le tracce tragiche che i criminali di guerra piemontesi, i nazisti degli anni postunitari, lasciarono sul corpo dolorante del Meridione.

Per circa un secolo, i testi scolastici ci hanno propinato una storia del Risorgimento fatta di imprese eroiche, di bandiere, di trionfi militari, di medaglie al valore; hanno santificato e posto all’onore degli altari un Garibaldi, un Vittorio Emanuele, re Galantuomo e Padre della Patria (che non si peritò di spogliare il palazzo reale di Napoli rubando anche i beni personali dello sconfitto Francesco II), un Cavour tessitore con i suoi occhiali a stanghetta, tutto teso ad ordire la rete di corruzione che minò alle fondamenta il Regno delle Due Sicilie.

Tutti santi, eroi e navigatori nell’Italia postunitaria, i Padri della Patria; e invece furono briganti ed assassini, politici corrotti, criminali di guerra, magistrati partigiani.
I meridionali furono massacrati: basti pensare agli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni, dove i mercenari ungheresi con la coccarda azzurra dei Savoia sul petto, appoggiati dalla truppa piemontese -garibaldina, trucidarono centinaia di popolani fra cui quattro sacerdoti, donne, vecchi e bambini.

Eppure noi italiani abbiamo provato un forte senso di orrore dinanzi alle stragi naziste di Marzabotto, delle Fosse Ardeatine, e quanto altro negli anni drammatici della Seconda Guerra Mondiale.
Ma abbiamo preferito accettare la filosofia delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo!

Così il mito dell’invincibile Garibaldi, dello eroe dei Due Mondi, ha attraversato indenne la nostra storia postunitaria, sempre celebrato ed osannato dagli ignoranti, dai mestatori politici e dai pennivendoli piemontesi.

L’aggressione al Regno delle Due Sicilie fu un colpo di Stato programmato e preparato minuziosamente da Cavour in piena combutta con la massoneria inglese.

La spedizione dei Mille fu resa possibile grazie alle numerose fedi di credito che Cavour appoggiò al Banco di Napoli per corrompere uomini politici, generali, ammiragli, funzionari dello Stato di Francesco II; furono corrotti lo stesso Ministro di Polizia Liborio Romano e il Principe di Siracusa zio del sovrano.

L’Inghilterra mise a disposizione di Garibaldi tre milioni di franchi francesi in piastre d’oro turche, equivalenti a parecchi milioni di dollari di oggi (così gli Inglesi politicamente si defilavano dall’avventura mercenaria dell’eroe, restando nell’ombra).

Gli storici concordano nel ritenere il costo in denaro che il governo di Sua Maestà Vittorio Emanuele dovette sostenere per finanziare la campagna di aggressione al libero e sovrano Regno delle Due Sicilie, in tre milioni di ducati e di sei altri milioni appoggiati da Cavour al Banco di Napoli prima che Garibaldi toccasse il suolo del continente.

Inoltre gli emissari piemontesi avevano già contrattato, per conto del governo sardo, un prestito di 4.800.000 ducati con l’interesse del dodici percento.
Così furono reperiti i fondi per la gloriosa, futura annessione. Ma i pennivendoli piemontesi parlarono di una fortuna propizia e senza limiti di Garibaldi, affidando a tale favore del cielo le ragioni della riuscita dell’impresa dei Mille.

Fu il potere del denaro e la forza devastante della corruzione, uniti alla complicità dell’Inghilterra e della mafia meridionale, a far crollare il Regno del Sud, non certamente la fede nel tricolore sabaudo né la causa dell’unità del Paese.

L’interesse inglese, infatti, non era più compatibile con la monarchia dei Borbone, che aveva tolto all’economia britannica l’appalto e lo sfruttamento delle zolfare di Sicilia, per cederlo alla Francia più competitiva in fatto di appalti e commesse.

Garibaldi conosceva bene questo retroscena politico – economico, ma doveva assumere il pieno ruolo “dell’eroe” imbattibile, del fulgido condottiero, del duce liberatore.
Con questo denaro Garibaldi passò “mazzette” a dignitari borbonici, generali ed ammiragli con il preciso scopo di ammorbidire la reazione dell’esercito borbonico (uno dei migliori d’Europa per addestramento, armamento e lealtà).

I più importanti giornali inglesi appoggiarono e propagandarono l’impresa garibaldina: il Daily News, Times, Morning Herald, Morning Post celebrarono a lungo l’eroe che si accingeva a liberare il Sud dalla barbarie borbonica.

In appoggio a Garibaldi partirono da Genova la nave inglese Amsterdam con mille uomini, le navi americane Washington e Franklin (su quest’ultima Garibaldi attraversò lo Stretto di Messina sotto la protezione della bandiera americana).

1 Comment

  1. Complimenti a Fernando Mainenti per la sintesi e la chiarezza sulle vicende tragiche e misconosciute alla base della fantomatica unita’ tricolorata!… da mie letture ricordo che non era andato in porto il tentativo del Re di sostituire gli inglesi coi francesi per la commercializzazione nel mondo dello zolfo estratto nelle miniere della Sicilia… Due navi inglesi piazzate nel porto di Napoli per minacciarlo se non avesse firmato il rinnovo della concessione! caterina ossi

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