IL DENARO E LA SPADA
“Là è una porta che dischiude
i sentieri della notte e del giorno,
serrata da un architrave e una soglia di pietra
e in alto la chiudono grandi battenti:
Dike che molto punisce
ne tiene le chiavi dall’uso alterno […]”
Parmenide, Fr. DK-B7
Questa nuova sezione, aggiunta al sito durante l’ultima settimana di febbraio 2005, l’avevamo in progetto da tempo, ma non riuscivamo a trovare un titolo convincente.
L’idea ci è stata suggerita dalla lettura della interessante recensione – su “tuttoLibri”, inserto settimanale de “La Stampa” – di un libro sull’epoca dei comuni, dove veniva sottolineata appunto l’importanza della “spada” nella genesi della potenza comunale.
Secondo la vulgata risorgimentale, passata nelle nostre teste fin dai banchi della scuola elementare, l’unificazione dell’Italia fu il frutto di una incessante opera di liberazione dalla tirannide di vecchi regimi che opprimevano i popoli, in particolare si sottolineano le tristi condizioni in cui versavano le genti nei territori dominati dagli Austriaci, dal Papato, dai Borbone – questi ultimi vera e propria negazione di Dio eretta a sistema di governo[1].
Il nostro sito si sforza di frantumare qualche luogo comune[2].
Valenti patrioti – e ce ne furono indubbiamente – e altri meno valenti sono passati alla storia come gli artefici della unificazione, gli uomini migliori del tempo che dedicarono tutta la vita alla causa dell’Italia una sacrificando interessi e averi personali.
Col tempo si scopre che la vicenda non si svolse come ce l’hanno raccontata, che il “re galatuomo” tanto galantuomo non era, che qualche ‘eroe’ lombardo faceva il delatore per gli austriaci[3], che i generali piemontesi si resero responsabili di vere e proprie stragi e che furono orchestrate campagne di stampa diffamatorie per orientare l’opinione pubblica in una certa direzione, tipo quella sui Borbone ad opera degli inglesi [cfr. nota 1].
E si scopre anche che il Regno delle Due Sicilie non era una landa desolata, dove la gente moriva di fame oppressa da un regime infame e retrogrado. Non fu liberato tra gli applausi di milioni esseri, felici di aver avuto in dono la libertà e la democrazia[4], ma sottomesso – con la complicità di una parte degli stessi meridionali, diciamolo a chiare lettere – col ferro e col fuoco.
Migliaia di contadini imbracciarono le armi e si unirono a sbandati in uniforme che non volevano servire i ‘liberatori’ e si opposero per oltre dieci anni al nuovo regime.
Fu una carneficina[5], per la gran parte ignorata dai libri di scuola, e ancora oggi sconosciuta ai più. Migliaia di contadini furono passati per le armi e migliaia di ex soldati borbonici furono sbattuti in galere che erano dei veri e propri campi di concentramento (come la fortezza di Fenestrelle, dove non esiste neppure una targhetta per ricordare il sacrificio di quegli infelici la cui unica colpa era stata quella di non aver voluto giurare fedeltà ai Savoia). Anche i guerriglieri – definiti briganti importando un termine inventato dai giacobini francesi – diedero prova della loro crudeltà, uccidendo decine di soldati piemontesi e collaborazionisti, sequestrando e taglieggiando i liberali.
Contemporaneamente si procedeva ad una vera e propria opera di deborbonizzazione del territorio meridionale:
- si cambiavano i nomi a strade e piazze sostituendoli con quelli dei liberatori – ovvero i vari Cavour, Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele, Lamarmora, ecc.;
- si pubblicavano articoli e libri che sottolineavano le tristi condizioni dei territori dell’ex Regno delle Due Sicilie a causa del passato regime borbonico;
- si lasciava mano libera ai luogotenenti che non si preoccupavano solamente dell’ordine pubblico ma anche delle attività produttive, dando tutte le commesse a industrie settentrionali
- si definivano nemici della patria[6] tutti coloro i quali osavano contestare il nuovo corso, eliminando così sul nascere qualsiasi opposizione;
- si lasciavano poche testimonianze documentali di quanto si andava facendo (e qualche tempo dopo si distruggevano anche diversi documenti compromettenti nel cosiddetto “forno della carta”).
“Il tempo dirà tutto alla posterità. È un chiacchierone, e per parlare non ha bisogno di essere interrogato.” si legge in un frammento di Euripide. Quel tempo per l’ex-Regno delle Due Sicilie è giunto.
Secondo taluni la verità sul Risorgimento[7] andrebbe lasciata nell’ombra altrimenti verrebbero minate “le ragioni stesse della nostra convivenza civile”.
A questi catastrofisti rispondiamo che la verità sui triangoli rossi e quella sulle foibe non hanno provocato alcun cataclisma istituzionale, non si capisce perché dovrebbe questo accadere riportando alla luce la verità sulla costruzione dello stato unitario.
Non potrebbe, anzi, essere un modo per rifondare questo stato dando ai meridionali un motivo per riconoscersi in esso, a testa alta, come componente essenziale, il cui contributo è stato determinante, soprattutto dal punto di vista economico?[8]
Dall’inchiesta Massari[9] in poi, fino ai giorni nostri, in migliaia di articoli, saggi, resoconti parlamentari, non si è fatto altro che dare una immagine del Sud come del grande fardello che il Nord generosamente si è accollato pur di fare l’Italia. Un fardello che negli anni si è trasformato in una pesante zavorra che impedisce al Nord di modernizzarsi appieno e di esprimere tutte le sue straordinarie potenzialità. Su queste teorie si fonda la nascita della la Lega Nord che pone sul tappeto la “questione settentrionale” e manda in soffitta la “questione meridionale”.
A destra – per tenere la Lega nel governo – e a sinistra per ingraziarsi gli elettori del Nord del Paese si fa a gara per dimostrare che la questione meridionale non esiste più, che va messa in soffitta come reperto archeologico, che la via maestra è il federalismo, vera soluzione di tutti i mali italiani e meridionali.
Certo, se il federalismo fosse stato scelto all’indomani della unificazione oggi sicuramente – è una nostra modesta tesi – avremmo una Italia migliore è più compatta, dove le popolazioni meridionali avrebbero potuto far valere i propri interessi e le proprie aspirazioni e non ci sarebbero quelle che Zitara chiama “le due Italie”, economicamente e socialmente così distanti.
Si scelse invece la via della spada[10], piemontista e accentratrice, si impose al paese meridionale col ferro e col fuoco una struttura istituzionale bonapartista lontana anni luce da una cultura giuridica che aveva dato un grande contributo alla modernità con insigni pensatori come Filangieri e tanti altri.
Si pensi che la giustizia amministrativa fece il suo ingresso nel nuovo stato solamente nel 1865 [ringraziamo l’amico avvocato Raffaele P. che un giorno nel corso di una amichevole chiacchierata ci illuminò su questo argomento che ignoravamo e che tanti ignorano] e che la giustizia militare la fece da padrona per un intero quinquennio, decidendo su tutto ciò che c’era da decidere, probabilmente anche in questioni che con l’ordine pubblico non c’entravano per niente.
Ci pare veramente ridicolo sostenere – come fa rozzamente certa storiografia di stampo marxista – che la borghesia settentrionale, espressione di una società economicamente avanzata, si alleò con i latifondisti per cambiare tutto affinché non cambiasse nulla”[11].
La verità è che chi deteneva la spada – aiutato da molti meridionali, lo ripeteremo sempre a noi stessi e agli altri – ovvero quella che Zitara chiama la “toscopadana” se ne servì per assoggettare militarmente ed economicamente[12] il paese meridionale.
Scriveva il Giacinto De Sivo all’indomani della ‘liberazione’ del Regno delle Duie Sicilie: “Dopo tante lamentazioni contro lo straniero, non è già contro lo straniero che aguzza e brandisce le arme quella fazione che vuol parere d’esser la italica nazione.
Pervenuta ad abbrancare la potestà, ella non assale già il Tedesco, né il Fianco, né l’Anglo, che tengono soggetta tanta parte d’Italia; ma versa torrenti di sangue dal seno stesso della patria, per farla povera e serva. Ella grida l’unità e la forza; e frattanto ogni possibilità d’unione fa svanire, con la creazioni di odii civili inestinguibili; e distrugge la sua stessa forza in cotesta guerra fratricida e nefanda, che la parte più viva e generosa della italiana famiglia va sperperando ed estinguendo.
L’Italia combatte l’Italia. Gli stranieri potentissimi e formidabili sogghignano e preparano le arme; in mentre le persone, le industrie, il commercio, le arti italiane e ogni forza va in fondo, fra gli spogli, le fucilazioni, gl’incendi e le ruine.”[13]
A fondo ovviamente andava soltanto il Sud.
L’indebitato Piemonte, prossimo alla bancarotta, trova nelle casse del’ex regno meridionale il denaro necessario per sopravvivere, ma su questi aspetti sta facendo chiarezza l’egregio lavoro non ancora ultimato di Nicola Zitara [14] e – d’altro canto – non mi pare che nessuno abbia mai smentitio il fatto che le finanze napoletane fossero floridissime rispetto a quelle sabaude. A dir la verità, qualche panzana si legge qua e là, io ne ho sentita una conversando amabilmente con amici della costiera sorrentina: esistevano grandi quantità di risparmio ma non si era in grado di utilizzarle per avviare lo sviluppo capitalistico (sic!).
Alla mia domanda “E’ questo dove lo hai visto scritto?” la risposta è disarmante: “Lo dice il testo del mio professore di economia all’università”. Questo insegnano nelle università gli esperti di storia economica – noi non lo siamo ovviamente, ma ci permettiamo di affermare che questa teoria è assolutamente insostenibile.
La verità, molto più prosaica, è che nello scontro fratricida il Sud perde e il Nord vince, con tutto quello che ne consegue, sul piano istituzionale, politico ed economico.[15]
Ora tocca a tutti gli uomini di buona volontà, del Sud e del Nord, rifondare questo stato su basi di verità dove tutti i cittadini abbiano pari dignità e si riconoscano nella nuova struttura statuale per libera scelta, senza imposizioni.
Solo così avremo un paese migliore.
Vogliamo chiudere con le belle parole tratte da un sito che si è affacciato sul web da poco:
“Luogo e Simbolo delle Genti di Calabria e dei Popoli Italioti. Italia del Sud, espressione geografica della diaspora e dell’abbandono.
Storie di generazioni che inseguono la memoria e trovano ancora residui fossili di passate culture e di civiltà luminose, ma non trovano più l’anima vivente della società futura.
Aspirazioni senza riscatto, fughe senza ritorno. Alla ricerca della propria Coscienza, della propria Nazione, del proprio Meridione, aspettano tutti un pensiero comune che raccolga, che rafforzi, che nobiliti le azioni di migliaia, di milioni di persone migranti che vogliono tornare a casa.
Nei Documenti, nelle Testimonianze dei pochi irriducibili ottimisti che conoscono le falsificazioni della Storia, che denunciano le false coscienze, che parlano alle generazioni future il linguaggio della trasparenza, della tolleranza, della dignità umana. Ecco la via futura.”[16]
Zenone di Elea
fonte
https://www.eleaml.org/sud/den_spada/den_spada.html#Vogliamo
[1] Una vera bufala spacciata per vera per un secolo nei libri di scuola. E i luoghi comuni sono duri a morire, tanti giornalisti e accademici la riportano ancora oggi nelle loro argomentazioni! Leggi in questo sito l’ottimo articolo di Giuseppe Ressa: “La calunnia come arma politica: negazione di Dio” tratto dal sito di Brigantino.
[2] Vedi anche in questo sito: https://www.eleaml.org/sud/futuro/perle.html.
[3] Alcune recenti acquisizioni storiografiche sostengono che il Maroncelli fosse un delatore.
[4] La farsa del plebiscito ne fu prova immediata. Nella stessa Sicilia che tanto aveva dato al processo unitario accogliendo e sostenendo “l’eroe dei due mondi”, se ne accorse Pasquale Calvi, presidente della Corte suprema per la Sicilia, costretto il 4 novembre 1860, a rendere noti i risultati dal balcone del palazzo Steri a Palermo,
[5] “Tappa fondamentale nella lotta al brigantaggio post-unitario è l’emanazione, nell’agosto 1863, della legge Pica. Tale legge, contraria a molte disposizioni costituzionali, colpiva non solo i presunti briganti, ma affidava ai tribunali militari anche i loro parenti e congiunti. Gli effetti della legge Pica furono resi ancora più gravi dallo spregiudicato modo in cui furono attuati i suoi cinque articoli: fucilazioni sommarie ed incendi di villaggi in cui si rifugiavano i briganti erano all’ ordine del giorno. I caduti nella guerriglia furono molte migliaia, sia tra i briganti che tra i soldati piemontesi; atrocità furono commesse da entrambe le fazioni in lotta. Molte violazioni dei diritti di cittadini inermi furono perpetrate in applicazione delle teorie di Cesare Lombroso, consulente medico nella campagna di repressione del brigantaggio, convinto di poter individuare i briganti sulla base di rilievi antropometrici.” [Tratto da http://it.wikipedia.org/ ]
[6] Aveva iniziato già Bixio a Bronte a prendersela con i nemici della patria passandoli per le armi. Leggi la trasfigurazione letteraria che ne fece Giovanni Verga nella novella “Libertà” in questo sito: https://www.eleaml.org/poesie/verga.html.Scrive Francesco Leoni ne “Il brigantaggio postunitario” (Cfr.La rivoluzione italiana – storia critica del Risorgimento a cura di Massimo Viglione, Il Minotauro, 2001): “Con il sistema generalizzato degli arresti di massa e delle esecuzioni sommarie, con la distruzione di casolari e di masserie, con il divieto di portare viveri e bestiame fuori dai paesi, con la persecuzione indiscriminata dei civili, si mirò – sul versante governativo – a colpire nel mucchio, per disgregare con il terrore una resistenza che riannodava continuamente le fila. Viene introdotto per la prima volta nel diritto pubblico italiano l’istituto del domicilio coatto, che risulta particolarmente odioso per la sua arbitrarietà. La moltiplicazione dei premi e delle taglie crea una vera e propria “industria” della delazione, che è un’ulteriore macchia indelebile nella repressione e ispira amare riflessioni sulla proclamata volontà moralizzatrice dei governi unitari nei confronti delle popolazioni meridionali. Attenzione particolare è stata dedicata alla guerra psicologica, condotta su larga scala mediante bandi, proclami e soprattutto servizi giornalistici e fotografici, che costituiscono i primi esempi di una moderna “informazione deformante” (di cui si dà conto nell’Appendice fotografica),
In questo modo venne distrutto il cosiddetto “manutengolismo”, cioè quel vasto movimento di sostegno e di fiancheggiamento alla guerriglia, che rappresenta un fenomeno così ampio e articolato socialmente da non poter essere stroncato con il solo ricorso alla legislazione penale, anche se eccezionale, e che la storiografia deve ancora indagare nelle sue motivazioni e nelle sue articolate manifestazioni . Infine, la proclamazione dello stato d’assedio, le uccisioni indiscriminate, il terrore, il tradimento prezzolato stroncano la volontà di resistenza della popolazione. Quando le bellicose energie furono esaurite, l’estraneità al nuovo ordine si manifestò più pacificamente, non meno drammaticamente, nella grandiosa emigrazione transoceanica della nazione “napoletana”, che coinvolse alcuni milioni di persone. Anche questo, un aspetto che attende approfondimenti e ricerche.”
[7] “Negli Stati Uniti d’America, pochi anni dopo la Guerra di Secessione, cominciarono a fiorire pubblicazioni che – con equilibrio – misero in rilievo le ragioni di chi aveva perso e i torti di chi aveva vinto. Ma anche chi lo fece con spirito fazioso non fu escluso dalle biblioteche. Il film Via col vento diede conto di una pagina di guerra civile dove potevano riconoscersi gli uomi-ni di entrambi gli eserciti e anche chi era stato sconfitto non appariva né ignobile né detestabile.
In Italia – a forza di anteporre ragioni politiche su quelle documentali – l’immagine che si è riusciti a esibire è quella de Il Gattopardo, che rappresenta quanto di meglio – e di peggio – si possa immaginare sul terreno dell’opportunismo.” (cfr. “Indietro Savoia” di Lorenzo Del Boca, pag. 9)
[8] Ti consigliamo la lettura de “L’unità truffaldina” di Nicola Zitara, un e-book che puoi scaricare gratuitamente da questo sito: https://www.eleaml.org/nicola/economia/unita1truffaldina.html.
[9] Vedi in questo sito: https://www.eleaml.org/sud/briganti/massari.html.
[10] Nelle “Ricordanze della mia vita”, il Settembrini definì l’esercito «il filo di ferro che ha cucito l’Italia e la mantiene unita».
[11] Il romanzo di Tomasi di Lampedusa, “Il gattopardo”, opera pregevole sul piano letterario e da cui è stato tratto anche un bellissimo film, ha dato la stura ad una serie di argomentazioni storicistiche che con la storiografia, secondo il nostro parere, nulla hanno a che vedere. Le ricostruzioni storiche vanno giustificate su basi documentali e non su frasi ad effetto ripetute ad ogni piè sospinto
[12] “In seguito la ‘questione meridionale’ diventerà una vera e propria giustificazione dello sviluppo capitalistico post-unitario. La borghesia settentrionale se ne servirà per coprire le proprie responsabilità quale artefice del sottosviluppo del Regno di Napoli. Sottosviluppo che verrà appunto spiegato come arretratezza, assenza dello sviluppo invece che quale prodotto del particolare tipo di sviluppo capitalistico che si ha in Italia tra il 1860 e il 1900. Ritornando ai fatti che si svolge solo nei primi anni di vita ‘unitaria’ vediamo che la sconfitta della guerriglia contadina segnò definitivamente la consegna del Meridione -senza contropartite- nelle mani del Nord. Passata al suono dei fucili piemontesi la grande paura del brigantaggio la borghesia agraria meridionale si sentì sicura e lasciò il controllo del potere centrale (cioè dello Stato) alla borghesia settentrionale che fu, in questo, avvantaggiata anche dall’aver diretto l’unificazione. Il brigantaggio impedì alla borghesia meridionale di capire in tempo il rischio di lasciare via libera ai conquistatori. E a ciò contribuì anche il liberismo economico a cui essa era interessata per ovvi motivi di carattere economico. L’appoggio ai dominatori fu fatale al Mezzogiorno poiché la borghesia settentrionale, possedendo il controllo dello Stato, riuscì nel giro di un trentennio -1860/1890- a sottosviluppare il Sud (come hanno dimostrato Capecelatro-Carlo).
La borghesia industriale meridionale, cresciuta all’ombra del protezionismo borbonico, non riuscirà da sola ad opporsi all’azione dello Stato post-unitario (Stato al servizio della borghesia settentrionale) che provocherà: – il soffocamento dell’industria meridionale mediante la concessione delle commesse al Nord; – la subordinazione del Banco di Napoli, mediante il corso forzoso, alla Banca Nazionale che nuotava in brutte acque; – il drenaggio degli ingenti capitali liquidi esistenti al Sud nel 1860 verso il Nord dove serviranno a finanziare lo sviluppo industriale allora agli inizi; – una forte pressione fiscale in agricoltura che dovrà sborsare ben 70 milioni invece dei 50 che pagava sotto i Borboni…; – la concentrazione del Centro-Nord di quasi tutta spesa pubblica (scuole, strade, opere i bonifica ecc.); – la scelta protezionista del 1887 che, per difendere l’industria ormai situata in prevalenza al Nord, metterà definitivamente in crisi l’economia meridionale che poggiava su prodotti agricoli d’esportazione.
E il Sud viene così ridotto al ruolo di colonia poiché il salto forzato nel sottosviluppo gli impose il compito di fornire al Nord: – manodopera a basso costo; – capitali attraverso i prelievi fiscali; e i risparmi attraverso i circuiti bancari e le rimesse degli emigrati tramite i depositi postali; – prodotti agricoli da scambiare svantaggiosamente con i manufatti delle industrie settentrionali. Per non parlare dei costi umani e materiali dell’emigrazione che diventerà quasi un altro modo di continuare la lotta dei briganti-contadini, una fuga dall’oppressione e dalla miseria. “ (cfr. FAGLIUSCHE – poesie e appunti per una via meridionale al socialismo, Mino Errico, Galzerano Editore, 1997).
[13] Cfr. “I Napolitani al cospetto delle nazioni civili – Polemiche su un plebiscito“, Giacinto de Sivo.
[14] “Tra 1848 e il 1858 il Regno sabaudo registrò una sensibile inflazione dei prezzi espressi in valori cartacei. Quando si parla di Cavour e del Piemonte, la parola inflazione non si può pronunziare, come al tempo del Duce non si poteva sputare per terra, nonostante che i fazzoletti fossero scarsi in tasca alle persone. Neanche Romeo ha il coraggio di scrivere la parola inflazione. Utilizzando però le cifre che egli fornisce sul rapporto tra quantità e valore delle importazioni e delle esportazioni (Romeo* III, p. 372), si ricava che in un solo anno la svalutazione della lira piemontese toccò una cifra compresa tra il 17 e il 18 per cento. Le reazioni furono allarmate. Il 15 maggio 1858, alla camera il deputato Roberti di Castelvero poté affermare che lo Stato sabaudo aveva speso negli anni precedenti un miliardo e duecento milioni; una cifra sonante, anzi da bancarotta per una formazione politica le cui entrate annuali stavano sui 130 milioni. Lo stesso deputato denunziò il fatto che la rendita era scesa alla metà, 53 lire, rispetto alle cento nominali (Romeo, ivi) e l’aggio dell’argento e dell’oro sulle banconote toccava punte intorno al 10 per cento.” Cfr. in questo sito L’unità truffaldina, cap. 4, Nicola Zitara.
[15] “Negli Stati Uniti d’America, pochi anni dopo la Guerra di Secessione, cominciarono a fiorire pubblicazioni che – con equilibrio – misero in rilievo le ragioni di chi aveva perso e i torti di chi aveva vinto. Ma anche chi lo fece con spirito fazioso non fu escluso dalle biblioteche. Il film Via col vento diede conto di una pagina di guerra civile dove potevano riconoscersi gli uomi-ni di entrambi gli eserciti e anche chi era stato sconfitto non appariva né ignobile né detestabile. In Italia – a forza di anteporre ragioni politiche su quelle documentali – l’immagine che si è riusciti a esibire è quella de Il Gattopardo, che rappresenta quanto di meglio – e di peggio – si possa immaginare sul terreno dell’opportunismo.” Cfr. “Indietro Savoia!“, Lorenzo del Boca, Piemme 2004.
[16] Cfr. “Le Persone e gli Eventi della Identità” nel sito https://www.nazionemeridionale.org/