IL GIURAMENTO dei “BRIGANTI”
“Noi giuriamo davanti a Dio e dinanzi al mondo intiero di essere fedeli al nostri augustissimo e religiosissimo sovrano Francesco II (che Dio guardi sempre); e promettiamo di concorrere con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze al suo ritorno nel regno; di obbedire ciecamente a tutti i suoi ordini, a tutti i comandi che verranno sia direttamente, sia per i suoi delegati dal comitato centrale residente a Roma.
Noi giuriamo di conservare il segreto, affinchè la giusta causa voluta da Dio, che é il regolatore de’ sovrani, trionfi col ritorno di Francesco II, re per la grazia di Dio, difensore della religione, e figlio affezionatissimo del nostro Santo Padre Pio IX, che lo custodisce nelle sue braccia per non lasciarlo cadere nelle mani degli increduli, dei perversi, e dei pretesi liberali; i quali hanno per principio la distruzione della religione, dopo aver scacciato il nostro amatissimo sovrano dal trono dei suoi antenati,Noi promettiamo anche coll’aiuto di Dio di rivendicare tutti i diritti della Santa Sede e di abbattere il lucifero infernale Vittorio Emanuele e i suoi complici.
Noi lo promettiamo e lo giuriamo”(Marco Monnier, Notizie documenti sul brigantaggio nelle province napoletane, Barbero, Firenze 1862, pp. 73-74) Le cause della diffusione del fenomeno nacque all’inizio come fenomeno politico in appoggio ai Borboni, ma poi assunse un carattere di protesta sociale.La prima partorì la seconda.Gli eventi del 1860-61 (dopo un susseguirsi di occupazioni violente: dai barbari ai normanni, agli svevi, agli angioini e agli aragonesi) vennero accolti dalla popolazione come un ennesimo episodio di sopraffazione e di assoggettamento: il governo piemontese appariva, in definitiva, un altro usurpatore.
Quando vennero chiamati a votare per il plebiscito di annessione al Piemonte, molti credettero veramente di andare verso la libertà.Ma poi l’egoismo e l’arroganza dei padroni (subito passati dall’altra parte per “tenere tutto”) legittimarono non solo la nuova amministrazione statale, ma si arricchirono ancora di più quando ci furono le vendite dei beni della Chiesa e del Demanio.Così ci descrive la situazione il Croce “..a conseguire il fine di migliorare le condizioni dei contadini sarebbe giovato adoperare i beni ecclesiastici, bene dei poveri da restituire ai poveri e non lasciare che li divorassero invece impiegati e speculatori. Il clero e il politico ambo nemici del nuovo governo, e da questo resi solidali nell’avversione, sarebbero stati, in tal modo, divisi d’interessi”.Quindi se in un primo momento si poteva dire che la rivolta era solo portata avanti da nostalgici (fedelissimi) dei Borbone, dopo, a questi, perseguitati dall’esercito “italiano”, si aggiunsero i contadini, che ribellandosi come i primi, con questi legarono, e si ritirarono sui monti a formare squadre di “briganti” e a fare “banditismo”.
Una guerriglia dunque, condotta su un duplice fronte, quello delle incursioni per razziare e depredare i ricchi proprietari terrieri, e quello sul piano squisitamente militare contro l’esercito piemontese.Un fenomeno che inizia nel 1861 (1.184 briganti uccisi solo in Abruzzo), e pur ormai del tutto spoliticizzati, continuarono ad imperversare fino al 1870, quando il generale Pallavicini, comandante di tutte le forze per la repressione del brigantaggio, catturò gli ultimi banditi Pomponio e Crocitto. A metà 1861, il fenomeno del brigantaggio era assunto a dimensioni così dilaganti che costrinse i piemontesi a portare il numero dei soldati impiegati nel Sud dagli iniziali 22.000 a un contingente di 50.000 nel dicembre del 1861; che aumentato a 105.000 unità, l’anno successivo, fino a raggiungere il numero di 120.000. In cinque anni ci fu una ecatombe di vittime assumendo le proporzioni di una guerra civile. Si calcola che tra il 1861 e il 1865 rimasero uccisi in combattimento o passati per le armi 5212 briganti.
Fu determinante al riguardo la “Legge Pica” del 15 agosto 1863, quando venne proclamato lo stato d’assedio, con rastrellamenti di renitenti alla leva, di sospetti, di evasi e pregiudicati. Le rappresaglie furono atroci e sanguinose da entrambe le parti e spesso le masse furono coinvolte loro malgrado negli scontri pagando con la distruzione di interi villaggi e le fucilazioni senza processo di centinaia di contadini ritenuti a torto fiancheggiatori dei briganti.Massimo d’Azeglio, in una lettera al senatore Matteucci scriveva tra l’altro: “A Napoli noi abbiamo cacciato il sovrano per ristabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra ciò non basti, sessanta battaglioni…Abbiamo il suffragio universale? Io nulla so di suffragio; ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Ci dev’essere per forza qualche errore…. Bisogna cangiare atti o principi…” (ed era filo-piemontese!)
Pasquale Peluso
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