Il governo dei Nobili a Napoli: Autonomismo, decentramento, partecipazione governativa dei Seggi cittadini. (settima parte)
L’EPOCA ARAGONESE
Re Alfonso I d’Aragona, appena entrò in Napoli per la porta del Mercato (1443), sopra un imponente carro dorato ed accompagnato da un lungo e sfarzoso corteo(53) volle visitare i seggi ed incontrare gli eletti. Convocò il primo Parlamento generale del regno nella capitale e fece intervenire “gli illustri Principi, Duchi e Marchesi, e gli spettabili e magnifici Conti e gli altri magnati baroni feudatari del Regno”.
Il re ritenne opportuno negoziare, subito, con i potenti baroni, traendoli a sé con i favori e la benevolenza. Furono varati diversi provvedimenti di riforma in campo tributario e giudiziario(54) . Abolì, ad esempio, le imposizioni “per capita”, cioè le collette, sostituite con quelle per focolari (10 carlini a famiglia). Altro provvedimento riguardò la lotta al gioco d’azzardo, molto diffuso pubblicamente e privatamente a Napoli nel corso del XV secolo presso il popolo e la nobiltà. Lo stesso sovrano accrebbe il numero dei baroni e dei “titolati” dei sedili (a Nido fu accolto il conte di Borrello e Bucchianico).
In questi tempi, si entrava “nei seggi per via di parentele, d’amicizie o per favore reale; ma già ci voleva la votazione per esservi ammessi”(55). Ai baroni concesse “il mero e misto imperio”, cioè un controllo della giurisdizione civile e criminale sui sudditi vassalli. Tali segnali di riconoscenza verso i feudatari ed il patriziato locale e sua atavica organizzazione cittadina non perdurarono nel corso della regnanza di Alfonso. Nel programma di razionalizzazione dell’apparato statale, re Alfonso sottrasse molte attività amministrative-governative dal controllo baronale per affidarle a personale catalano-spagnolo o funzionari fedelissimi. Il riscatto del governo centrale statale andò, così, verso una forma di “assolutismo monarchico”, tanto respinta dall’antico patriziato, che fu così descritta dallo storico Santoro: “sotto Alfonso tutta la nobiltà vecchia era stata miseramente vessata, che appena vi rimaneva vestiario di tante famiglie illustri, di che era pienissimo il Reame, ché, ove si numeravano tanti rampolli delle Casate regali…essendo quasi estinti i Balzi, i Caldora, i Celano, i Marziani, i Monforti, Camponeschi, Belmonti, Fasanelli”.
Inoltre, tale sovrano giunse a sopprimere (10 dicembre 1456) il sedile di Popolo o della Sellaria o Pittato, posto in piazza della Sellaria, con estromissione dei cittadini dalle faccende pubbliche. Secondo talune fonti si trattò di un atto grave, uno “sgarbo” verso il popolo, solo per compiacere una sua favorita, Lucrezia d’Alagno, la cui casa non godeva di libera visuale, causa l’edificio in questione.
Altri storici, invece, riferiscono di una motivazione giustificativa pubblica ai cittadini, in cui Alfonso d’Aragona giustificò tale soppressione “perché non vole annobiliare la città, che la strada della Sellaria era bella, se leva quello Seggio, et una casa, che stava al mezzo, le quali impedivano per non poster fare la processione, feste e giostre”.
Inoltre, tale sovrano giunse a sopprimere (10 dicembre 1456) il sedile di Popolo o della Sellaria o Pittato, posto in piazza della Sellaria, con estromissione dei cittadini dalle faccende pubbliche. Secondo talune fonti si trattò di un atto grave, uno “sgarbo” verso il popolo, solo per compiacere una sua favorita, Lucrezia d’Alagno, la cui casa non godeva di libera visuale, causa l’edificio in questione.
Altri storici, invece, riferiscono di una motivazione giustificativa pubblica ai cittadini, in cui Alfonso d’Aragona giustificò tale soppressione “perché non vole annobiliare la città, che la strada della Sellaria era bella, se leva quello Seggio, et una casa, che stava al mezzo, le quali impedivano per non poster fare la processione, feste e giostre”.
Si ebbero, così, grossi tumulti(56) per la richiesta della “restituzione del suo sedile e della sua rappresentanza”, tanto da farlo, poi, ripristinare su decisione di Carlo VIII di Francia (con sede collocata nel chiostro di S. Antonio), seppur limitato nel diritto di rappresentanza politica in ambito amministrativo (editto 1495).
In occasione del giuramento di fedeltà della città di Napoli al re Ferrante (Ferdinando I), figlio di Alfonso, i seggi di Capuana e Nido ebbero “la precedenza del primo luogo”. Difatti, risultava ancora che “sempre queste due Piazze precedevano alle altre tre di Montagna, Porto e Portauova”.
Re Ferrante favorì l’attenzione per le attività economiche tra il corpo dei baroni con cui patteggiò accordi sulla gestione del commercio interno ed estero. Per il suo interesse all’economia accolse grossi mercanti di umili origini alla sua corte, assegnando loro alte cariche statali (come per Francesco Coppola) e contrariando quella nobiltà cittadina tradizionalista con atavici pregiudizi. Seppur una buona parte del patriziato della città reale, la Universitas Civitatis Neapolitanae, fin dal novembre del 1459 manifestò il proprio fiducioso apporto alla corona aragonese, i baroni del Regno, memori dell’innata volontà indipendentista, cominciarono a tramare contro il potere regio. In occasione del fallito attentato allo stesso re Ferdinando, per mano di alcuni baroni ribelli (Marzano, Orsini, Cantelmo, Caracciolo, Torellas, Centelles), i gentiluomini e cittadini napoletani confermarono la propria fedeltà al sovrano, che fu premiata con un decreto di tutela degli affitti immobiliari, “li pesuni de case”, nonché riconoscendo una particolare priorità alla città, rispetto alle altre demaniali.
Con l’obiettivo di rafforzare la “fazione regia” e garantirsi maggiore fedeltà, re Ferdinando emanò dal 1476 numerosi capitoli a favore di Napoli, tra cui la “prammatica sanzione” del 1479 con la quale i diritti ed i privilegi dei cittadini napoletani furono estesi anche ai forestieri ivi residenti. Inoltre, furono riconosciuti, formalmente, i poteri del corpo degli Eletti dei seggi cittadini. Lo stesso sovrano emanò delle ordinanze per una maggiore divisione dei possedimenti territoriali, nonché prese delle decisioni per rendere più indipendenti i vassalli dai baroni, cercando di ridurre il loro potere. Con il crescere degli arresti e processi di signori, lo scontro con i baroni fu inevitabile con la grande rivolta citata del 1485, cui fecero seguito gli anni delle sanguinose vendette contro i più eminenti ribelli feudatari, anche di origine spagnola.
Sotto il successivo re Federico, tra il 1496 ed il 1501, il sedile di Popolo riacquistò stessi diritti degli altri seggi nobili. Si accentuarono, tal volta, le rivalità tra le due classi sociali, che si manifestarono principalmente in occasione della festa del Corpus Domini; sia nel 1499 che nel 1505 il deputato del Popolo riuscì ad ottenere il diritto di portare l’ostia, facendo così ritirare i seggi dalla processione.
Nel 1448, tra l’altro, era stato dichiarato “esser tutti i seggi pari in nobiltà ed in dignità”, in virtù del decreto di re Ferrante in cui si annunciava che “tutti gli abitanti devono essere eguali tra loro, ed ognuno deve godere liberamente i diritti garantiti dallo Stato”. Nonostante ciò, i seggi di Capuana e Nido mantennero una loro regola di imparentamento tra le famiglie residenti, nonché fondarono loro monasteri per le proprie donzelle. Regnando re Ladislao, fu concesso agli eletti con il “grasciero” di soprintendere all’annona ed alle grasce, nonché punire i loro dipendenti per reati con gli Angioini ed Aragonesi. L’ammissione al seggio, in tale epoca, continuò a dipendere dalla decisione della maggioranza delle famiglie o per matrimonio, contratto con talune di queste ed altri requisiti.
fonte
nobili-napoletani.it