“Il Real Albergo dei Poveri” di Ciro La Rosa
“Per volere di Carlo di Borbone, Re illuminista, nel 1751 – con prammatica (legge) reale del 25 febbraio – venne emanato l’atto di fondazione di un “General Albergo dei Poveri di ogni sesso ed età e quivi introdurre le proprie e necessarie arti”.
Iniziò così la costruzione del ricovero dei mendicanti e la loro riabilitazione come esseri umani, posto nell’odierna via Foria, allora chiamata via del Campo, che univa Napoli ad Aversa, segnando l’ingresso alla città per chi giungeva da Roma e dai paesi dell’entroterra.
L’edificio avrebbe dovuto accogliere 8.000 diseredati debellando la piaga dell’accattonaggio.
Progettato da Ferdinando Fuga, doveva essere composto da 5 cortili con una lunghezza di 600 m, ma si realizzò solo la facciata di 384 m, con alle spalle 4 edifici con al centro una chiesa (della quale furono realizzate solo le fondamenta), giardini, refettori, officine, abitazioni.
Ogni edificio accoglieva uomini, donne, ragazzi e ragazze con criteri di distribuzioni ottimali.
Alle spese contribuirono Carlo, la stessa regina Maria Amalia che donò i suoi gioielli, il popolo Napoletano, gli enti religiosi con notevoli somme e donazioni di proprietà ecclesiastiche, il tutto per l’ammontare di un milione di ducati.
Venne istituita l’assistenza sanitaria per gli anziani e gli inabili, ai giovani venne impartita una adeguata qualificazione professionale con avviamento al lavoro.
Venivano loro insegnate varie arti: calzolaio, fabbro, falegname, tornitore, filatrice, oltre allo studio della grammatica e dell’aritmetica.
Fu tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX che l’ospizio ospitò le “donne perdute” e fu adibito anche a casa di “correzione dei minori” da cui il nomignolo di reclusorio” e di “serraglio”.
Tra il 1800 e il 1816 furono terminate le parti frontali e laterali, i lavori proseguirono sino al 1829.
Solo la lungimiranza di Carlo di Borbone e dei suoi discendenti ha permesso che fino ai giorni nostri, un gran numero di emarginati, diseredati abbia potuto godere e assicurarsi un sicuro asilo, un pasto quotidiano, cure mediche ed istruzione, ancor oggi il palazzo conserva la memoria edificio che ha svolto sempre un ruolo di pubblico servizio (costruito per riqualificare le fasce sociali sottraendole all’emarginazione).
Il periodo di maggior splendore lo ebbe sotto la direzione di Antonio Sancio che seppe sfruttare al massimo le capacità intellettive e lavorative dei giovani.
Nel 1908 vennero definite le direttive di gestione, nacquero le scuole-officina professionali, amministrate all’inizio dall’ente “Governo dell’Albergo dei Poveri”, poi dai privati che avevano l’obbligo di impiegare i giovani assistiti come aiutanti, sia per il tirocinio che per l’apprendistato: le scuole erano specializzate in meccanica, falegnameria, motoristica e tipografia.
Nel 1942/43 nacque l’ente “Collegi Riuniti Principe di Napoli” che aveva in gestione l’Albergo dei Poveri, ma nel 1981 con la legge dell’abolizione degli enti inutili esso venne assorbito dal Comune di Napoli che incamerò di conseguenza anche l’ospizio.
Dopo il terremoto del 1980 e il conseguente crollo mesi dopo dell’ala nord (lato orto botanico) con la morte di una degente e di una assistente sociale, […] si è riacceso il dibattito sull’utilizzo del “Palazzo” la cui superficie utile è di 103.000 mq.Il Palazzo deve essere salvato per mille ragioni, lo deve nell’interesse dei Napoletani nel riscoprire le proprie radici, per il benessere socio-economico legato al suo recupero, come simbolo della solidarietà che lotta contro la povertà. […]”