Il regno di Sardegna perseguitava gli omosessuali, il regno delle Due Sicilie non faceva differenza tra etero e omosessuali
- Nessuno nel regno delle Due Sicilie ha mai pensato di andare a rompere le scatole agli omosessuali. Prima del 1860 nel Sud e in Sicilia il reato di “atti non natura” non esisteva. Sono stati i piemontesi a imporre la persecuzione degli omosessuali con le loro leggi retrograde imposte anche a noi meridionali
- Il caso di Luigi De Barbieri e Antonio Marchese
Proteste o non proteste in piazza, il Parlamento francese va avanti con la legge sul matrimonio tra gay. Tuona il cardinale Bagnasco, mentre in Italia la campagna elettorale si riempie di detto e non detto sui diritti degli omosessuali. Per qualche votuncolo in più! Niente di nuovo, nel nostro Paese: è il nostro vecchio conflitto tra cultura laica e cultura cattolica. L’abbiamo nel Dna. Ah, la Chiesa e il Papa, ah quei retrivi Borbone con le loro chiusure mentali, che hanno marchiato il modo di pensare italiano! Ah, invece, quella benedetta cultura laica che fu di Cavour, Torino, il regno di Sardegna, i Savoia! Ma fu davvero così? O invece siamo di fronte ad un altro falso storico, per prevenzioni da non conoscenza? Per rispondere, basta un po’ di curiosità, leggere cosa c’era scritto nei diversi codici penali preunitari. Uno sguardo al Nord e uno al Sud. Regno di Sardegna, anno 1839, sul trono c’è l’amletico cattolico Carlo Alberto. Articolo 439 del codice penale – ci crederete? – prevedeva la punizione degli “atti di libidine contro natura”. E non solo in caso di stupro, ma “anche senza violenza e fra adulti consenzienti”. Dagli ai rapporti omosessuali! Anno 1859, sul trono c’è Vittorio Emanuele II con il suo laico primo ministro Cavour. L’articolo 439 viene ripreso nel nuovo codice dall’articolo 425.
Il caso di Luigi De Barbieri e Antonio Marchese
E in quel retrivo regno delle Due Sicilie? Se tanto mi dà tanto, a Napoli e dintorni sicuramente i rapporti omosessuali dovevano essere puniti con la fucilazione. E invece no, il codice approvato nel 1819, regno di Ferdinando I, non prevede nulla sugli “atti contro natura”. Vengono puniti solo gli stupri, senza fare differenze tra etero o omosessuali. Sembra tolleranza, o no? Ma, poiché l’unità d’Italia fu perfezionata dalle armi dell’esercito piemontese e usi, leggi e codici furono semplicemente travasati da quel regno a quello italiano, anche la sessuofobia verso gli omosessuali fu regalata dal codice penale di Torino. Dal 1860, il famigerato articolo 439 fu norma italiana. Per fortuna, su quell’assurda eredità rimediò nel 1889 il codice Zanardelli. Fu pura forma quell’articolo 439? Magari! Gli omosessuali invece se la vedettero brutta. Il caso di Luigi De Barbieri e Antonio Marchese fu il più noto. Era il 1883, dalla parete di una stanza d’albergo un tizio origliò discorsi e altro tra quei due uomini. Subito, li denunciò per “atti di libidine contro natura”. De Barbieri si difese: eravamo in una stanza privata, nessuno può provare che tra noi fu compiuto realmente “atto contro natura”. La Cassazione di Torino (allora di Corti supreme ce ne erano in più città italiane) respinse il ricorso difensivo. Pubblico o privato è lo stesso, una persona udì, avvertì la cameriera e il delegato di polizia per fermare lo scandalo e bloccare l’offesa alla “pubblica morale”, scrissero i giudici. Ah, quell’articolo 425! Ma la sessuofobia italica non era eredità del retrivo Sud? Valla a capire la storia che va contro le storielle.
Tratto da Il Mattino di Napoli – Matrimoni tra gay, la sessuofobia piemontese e la tolleranza di quei “retrivi” del Sud di Gigi Di Fiore
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Tratto da Il Mattino di Napoli – Matrimoni tra gay, la sessuofobia piemontese e la tolleranza di quei “retrivi” del Sud di Gigi Di Fiore