Alta Terra di Lavoro

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Il sacco del Sud (3)

Posted by on Giu 30, 2022

Il sacco del Sud (3)

Fatti e pregiudizi

A proposito del primo [brigantaggio], occorre precisare che non fu certamente generato dall’esito del processo unitario, ma fu vistosamente potenziato dallo stesso. Come fa notare anche Vivanti, ? sintomatico che Villari, in appendice alle sue Lettere meridionali, riportasse un sintetico ed efficace giudizio di un ufficiale piemontese che aveva partecipato alla repressione del brigantaggio: questo fenomeno “trae unicamente origine dalla triste condizione sociale delle popolazioni, non dagli avvenimenti politici, che se possono aumentargli forza, non basterebbero mai a dargli vita” [1].

Per lumeggiare il rapporto del nuovo Stato con il Mezzogiorno basti ricordare che nel 1873 “una circolare ai prefetti del primo ministro e ministro degli interni, Lanza, invitava ad ostacolare con ogni mezzo l’espatrio dei lavoratori” [2]. La decongestione del mercato del lavoro non era negli spicci interessi dei latifondisti, e con quella circolare il governo correva in loro soccorso. Non si trattava di un fatto episodico. Era un atteggiamento costante. Per farsene un’idea ? sufficiente scorrere qualche pagina al vetriolo di Salvemini, il quale descriveva con somma indignazione i comportamenti che assumevano al Sud le istituzioni statali. La tirannia dello spazio non ci consente di portare degli esempi, ma si pu? in qualche modo immaginare cosa possa esserci dietro parole di questo genere: “Un uomo del Nord – diceva – non ha la minima idea di ci? che [determinate denunce] significhino, perch? il pi? forcaiuolo e camorristico governo di questo mondo non si permetterebbe mai nel Nord neanche la millesima parte di ci? che si pu? concedere il governo pi? liberale e onesto nel Sud” [3].
Lo Stato non si presentava come equo e garante per tutti. Verso le masse, e non solo, assumeva un volto persecutorio ed oppressivo. Fa allora meraviglia se ancora oggi lo Stato viene visto come “nemico”?. Un fenomeno sintomatico del modo in cui viene percepito lo Stato si verifica continuamente sulle strade. Allorch? incontrano una pattuglia delle forze dell’ordine posizionata per servizio, tantissimi automobilisti azionano le luci lampeggianti per segnalare il “pericolo” agli automobilisti – perfetti sconosciuti – che incrociano. ? una sorta di solidariet? che scatta tra lepri di fronte al cacciatore. In Svizzera avviene l’esatto contrario.

Nell’universo mentale collettivo, il rapporto tra immagine corrente del Sud e dati reali non ha avuto fortuna neanche dopo la prima fase dell’Unit?. Procediamo schematizzando e saltando anche fasi importanti. All’epoca della prima guerra mondiale l’industria, ormai concentrata al Nord, doveva sostenere con la sua produzione lo sforzo bellico; di conseguenza nelle trincee non potevano, per ragioni ovvie e incontrovertibili, andare gli operai, bens? i contadini; quindi, per tanta parte, i contadini del Sud. La guerra, per?, fu un potente fattore di sviluppo dell’apparato industriale nazionale. Il miracolo economico del secondo dopoguerra fu anche dovuto al contributo, interno ed esterno, dei lavoratori meridionali. Contributo interno: le industrie avevano bisogno di manodopera e tanta parte fu fornita dal Sud attraverso l’emigrazione interna. Primo contributo esterno: per funzionare, le industrie avevano bisogno di carbone e fu a tal riguardo decisivo il contributo dell’emigrazione in Belgio, in gran parte meridionale; infatti, fu stipulato un accordo tra Belgio e Italia: per ogni 1000 operai italiani che lavoravano nelle miniere, il Belgio si impegnava ad esportare in Italia 2500 tonnellate di carbone al mese. Secondo contributo esterno: il massiccio flusso migratorio in Europa aliment? con le rimesse in valuta il mercato meridionale, che svolse un ruolo decisivo per il decollo dell’industria settentrionale.

Quanto alla Cassa per il Mezzogiorno, istituita nel 1950, opportunamente viene ricordato da De Rosa che “al finanziamento della Cassa, nella sua originaria impostazione, non contribu? affatto la finanza pubblica italiana, e quindi il contribuente dell’Italia centro- settentrionale o del Mezzogiorno, ma la finanza pubblica statunitense” tramite il Piano Marshall [4]. Giova ricordare che la Cassa, bench? si chiamasse “per il Mezzogiorno”, era in realt? uno strumento per risollevare le sorti di tutte le aree depresse. “Il programma della Cassa – pertanto – non riguardava soltanto il Mezzogiorno, ma anche la Maremma toscana e laziale, il Delta del Po, il basso Friuli, il fiume Arno, etc.” [5]. Fatto rilevante, e per tanti aspetti ovvio, data la struttura del sistema economi- co italiano: circa un terzo della spesa della Cassa fu assorbito dal Centro- Nord” [6].

Meno ovvi furono alcuni furbeschi dirottamenti di fondi dal Sud ad aziende del Nord. “Ad ostacolare l’industrializzazione del Sud – scrive sempre De Rosa – contribu? anche la tendenza a favorire la grande industria […] Era stabilito che le infrastrutture consortili fossero a intero carico della Cassa, e quelle private ricevessero da essa solo un contributo del 40%. Ma questa distinzione fu aggirata in molti casi. Come riferisce Petriccione, che della Cassa fu autorevole consigliere di amministrazione, bastava “che due o pi? imprese effettivamente indipendenti (o appositamente costituite) abbisognassero di una infrastruttura, perch? questa venisse dichiarata consortile, fruendo del contributo dell’85% anzich? del 40%’ ” [7]. Come tante volte ? accaduto, in questi casi i fondi effettivamente usati per il Mezzogiorno erano inferiori a quelli formalmente dichiarati.

Tante volte si ? quindi impropriamente potuto parlare di fiumi di denaro destinati al Sud: si trattava di denaro che il Sud in realt? non ha mai visto. Un fenomeno clamoroso, da questo punto di vista, ? stata la spesa nominalmente straordinaria che diventava sostitutiva di quella ordinaria. A tale proposito l’economista Gianfranco Viesti mette bene in evidenza lo scarto tra cifre nominali e cifre effettivamente fruite dal Mezzogiorno quando afferma che spesso la “spesa “straordinaria’ sostitui[va] la spesa ordinaria: nelle regioni del Sud ven[ivano] realizzati, con l’ausilio delle risorse straordinarie della Cassa, strade e ferrovie, impianti elettrici e di telecomunicazioni, che l’ANAS, le Ferrovie dello Stato, l’ENEL e la SIP effettua[va]no nel resto del paese con le loro risorse ordinarie”. Il Sud, dunque, finiva spesso per avere somme “straordinarie” gonfiate di aria fritta. Data la propaganda fatta sulle cifre “straordinarie”, per?, “l’opinione pubblica del Nord si convince che colossali risorse sono utilizzate (e in gran parte sprecate) nel Mezzogiorno” [8]. “Eppure – scrive De Rosa- l’intervento straordinario, come dimostr? lo stesso Saraceno, non era costato allo Stato italiano pi? dello 0,50 % del reddi-to nazionale: quasi niente, rispetto a quanto erano costati all’Italia lo sviluppo e la preservazione dell’industria centro- settentrionale” (che ovviamente ? interesse e patrimonio nazionale, come interesse e patrimonio nazionale dovrebbe essere lo sviluppo del Sud) [9].

La questione settentrionale

Generalmente si pensa che, comunque, l’intervento straordinario, che in realt? ? stato straordinario solo in parte, avrebbe potuto sviluppare il Mezzogiorno, ma, precisa De Rosa, “se guardiamo all’intervento straordinario attuato nell’ultimo dopoguerra -come ha osservato giustamente Cafiero- “l”intervento nell’area non pot[eva] essere sufficiente a determinare il decollo dell’economia meridionale’” [10]. Ma lo sviluppo del Sud, dice ancora De Rosa, ? un obiettivo mancato dallo Stato unitario anche per via di “un’incapacit?” che ha un “vizio d’origine: di avere cio? negato al Mezzogiorno, al momento dell’unificazione politica, l’autonomia necessaria e indispensabile per adattare entro un ragionevole lasso di tempo la sua concreta struttura all’indirizzo di politica economica perseguito dalla nuova classe dirigente” [11]. Nel discorso pubblico, dunque, diventa un peso il contributo nominale al Sud, ma non fanno peso ed opinione i dati appena espressi ed i fiumi di denaro che sono stati effettivamente fruiti dal Nord con una infinit? di leggi, opportunamente citate da De Rosa, della cui dotazione il Sud ha beneficiato per lo 0,4%, 0,5%, 7%, 9% e via dicendo [12]. Un altro dato, non certamente marginale ai fini di un discorso di equit? e di sviluppo: fino al 1961 (nazionalizzazione dell’energia elettrica) il Sud ha pagato tariffe elettriche “pi? onerose” [13]. Ma il Sud, come dice la vulgata della Lega, non paga meno tasse del Nord? Per il passato, dati alla mano, Nitti ha dimostrato quanto fosse lontana dalla realt? questa convinzione. Ed oggi? Idem. Per appurarlo ? sufficiente consultare i dati ufficiali, che Viesti ha messo a disposizione del grande pubblico mediante due saggi pubblicati di recente [14]. Si ? spesso detto che negli ultimi venti anni di attivit? della Cassa per il Mezzogiorno si sono registrati sperperi di pubblico denaro. C’? qualcuno che pu? ragionevolmente negarlo?. Assolutamente no. Quando si levano queste sacrosante lamentele, tuttavia, sul banco degli imputati sale solo il Sud (in forma indistinta, peraltro). Come gi? accennato, si tace sulle responsabilit? delle tante imprese del Nord che hanno beneficiato di quegli sperperi, talvolta organizzandoli. Tutti colpevoli e dunque nessun colpevole? Non ? questa la logica che qui si vuole proporre. Gli sperperi e i latrocini sono fenomeni che vanno combattuti indipendentemente da chi e da quanti siano i responsabili. Si vuole semplicemente dire che la Lega e il suoi seguaci (interi o all’acqua di rose) non possono tenere insieme tre cose che non si conciliano: a) aver incassato notevolmente ieri; b) scaricare oggi sul solo Sud tutte le responsabilit?, con contorno di contumelie; c) lanciare angelici saluti di addio. Non si pu? approfondire l’argomento complessivo, perch? qui – ancora una volta per ragioni di spazio – la maggior parte del discorso resta necessariamente dietro le quinte, ma sul punto giova lasciare la parola a Giovanni Russo quando cita un dato significativo per capire che c’? un Mezzogiorno niente affatto indulgente, ma anzi decisamente stanco, nei riguardi di certe pratiche malsane. Russo rammenta che a suo tempo c’? stata una “raccolta [di] firme per il referendum che intende[va] abrogare gran parte dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno” e fa osservare che “met? di quel milione e pi? di sottoscrizioni provenivano dal Sud” [15].

? la questione settentrionale che agita il sonno a Bossi. Di che si tratta? Pu? essere schematizzata con le parole di Viesti. Dopo aver sintetizzato alcuni pregiudizi correnti sul Sud, tipo “la storia del Mezzogiorno ? storia di sprechi infiniti, ripetuti in tutte le forme immaginabili, che hanno solo aggravato i problemi di quelle regioni”, l’economista pugliese dice: “Peccato che tutte queste opinioni siano espresse, normalmente, senza portare alcuna prova documentale; sulla base del sentito dire, della conoscenza episodica, della lettura di un articolo di giornale” [16]. Come ai tempi di Nitti, anche oggi le cifre dicono una cosa e i pregiudizi affermano altro. E Viesti lo dimostra puntualmente: “Fino agli anni Sessanta la spesa pubblica italiana era molto inferiore a quella degli altri grandi paesi europei, e largamente inferiore era la tassazione; con gli anni Settanta sono state realizzate importanti riforme che hanno notevolmente modificato questo quadro: dai cambiamenti nel sistema pensionistico al nuovo sistema sanitario nazionale” [17]. Queste riforme hanno comportato una notevole spesa non bilanciata da un corrispondente aumento della pressione fiscale. Negli anni Settanta e Ottanta il “Centro-Nord aveva un flusso di spesa pubblica pari al suo gettito fiscale” [18]. Il suo dare in termini di tasse, insomma, era pari a quanto otteneva. Il Sud, per?, area economicamente debole, otteneva pi? di quanto dava e questa differenza “era finanziata con nuovo debito pubblico. Lo Stato italiano si indebitava prevalentemente con i pi? ricchi cittadini del Centro-Nord, a cui pagava lauti interessi per garantire la spesa al Sud. Ma cos? il debito pubblico italiano ? cresciuto dal 55% al 120% del PIL” I [19]. In quelle condizioni, insomma, il Nord non solo non ci rimetteva in termini immediati, ma anzi ci guadagnava, dato che in misura maggiore beneficiava degli interessi sul debito pubblico.

Con quella situazione di bilancio, per?, che registrava un debito pubblico del 120%, lo Stato si veniva a trovare sull’orlo della bancarotta. Occorreva apprestare dei rimedi. Il risanamento delle finanze pubbliche “ha comportato pi? un aumento della pressione fiscale che una riduzione della spesa” [20]. Fu allora che cominci? a cambiare qualcosa. Aument? la pressione fiscale (al Nord e al Sud), ma con una differenza. Il gettito fiscale del Nord non ritornava pi?, grosso modo tutto intero, alle regioni di provenienza, ma una parte veniva utilizzata per compensare la minore capacit? fiscale del Sud, meno ricco. Nella nuova situazione, tanto il Nord quanto il Sud avvertivano il maggior peso fiscale e nel contempo percepivano un corrispettivo non soddisfacente in termini di servizi pubblici. Questa nuova situazione finanziaria e questa insoddisfazione sono alcuni degli aspetti etichettati come questione settentrionale. La distanza tra accresciuto peso fiscale e scarsa qualit? dei servizi pubblici, dice giustamente Viesti, non ? un fatto localizzato al Nord, ma coinvolge tutto il Paese. Pertanto, afferma, sotto questo profilo, “la definizione [ossia, la questione settentrionale] ? assai impropria: la questione vale a tutte le latitudini, ? una vera e propria questione italiana“. [21].

Dove va la spesa pubblica

C’? un particolare, tuttavia. ? vero che la crescente pressione fiscale grava sia sul Sud sia sul Nord, ma ora, a differenza di prima, il Nord paga anche per il Sud (anche se, come vedremo, non di pi? rispetto al Sud, bens? – in proporzione – di meno). Da qui la protesta, che ha trovato il proprio paladino nel movimento leghista. In termini brutali, il messaggio e l’obiettivo sono chiari: ognuno si arrangia con i soldi che ha. Che un simile modo di pensare appartenga a Bossi e sodali non fa meraviglia. Desta meraviglia e perplessit?, invece, che sia fatto proprio anche da Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, e della sua assemblea regionale. Secondo Formigoni, seguace esterno di Bossi, le risorse fiscali non sono dello Stato, ma “appartengono” alle regioni “perch? sono del cittadino che paga” [22]. ? sulle sue posizioni, come accennato, la maggioranza di centro – destra; ma, dal canto loro, i gruppi che poi hanno dato vita al Partito Democratico non sono andati oltre l’astensione sulla relativa proposta di legge approvata nel 2007 dalla Regione Lombardia per inviarla al Parlamento. Ancor pi? meraviglia desta una simile impostazione quando viene fatta propria a livello nazionale. Come ricorda Viesti, infatti, quella proposta diventa un obiettivo esplicito del programma elettorale del Popolo della Libert? nel 2008 [23].

Bisognerebbe ricordare che il Sud, nei primi quaranta anni di vita unitaria, ha versato all’erario, senza ritorno, circa 100 milioni di lire in pi? del dovuto? Il Mezzogiorno, che avrebbe dovuto avere sussidi per via delle sue condizioni, dava di pi? a tutto vantaggio del Nord. Ricordarlo a Formigoni e Bossi serve sul piano polemico e su quello della verit? storica, ma non ? su quella via che va indirizzato seriamente il discorso. Uno Stato non dovrebbe avere per obiettivo e consuetudine la logica degli egoismi, bens? quella di un’equilibrata distribuzione delle risorse in base a criteri di solidariet? (principio peraltro stabilito dalla Costituzione, come opportunamente ricorda Viesti). Ad ogni buon conto, il Nord ? quello che ? in virt? di un passato dal quale, pi? che dare, ha avuto. Ed ora si converte alla logica del “chi ha avuto ha avuto; chi ha dato ha dato”?

Inoltre, la Costituzione stabilisce due principi: la tassazione progressiva, in virt? della quale paga pi? tasse chi ha pi? reddito, e la perequazione per i territori pi? deboli sul piano economico. Cosa ne deriva? A parte ogni considerazione di carattere civile circa la solidariet? nazionale – civile, appunto, e non pelosa – ed a parte la considerazione gi? fatta circa le radici storiche dell’attuale benessere delle regioni del Nord, sviluppando fino in fondo la ratio della posizione egoistica e immemore della Lega, si dovrebbe giungere alla conclusione che, per simmetria di strampalato ragionamento, anche i pi? ricchi cittadini dello stesso Nord potrebbero adottare la medesima linea di ragionamento e rivendicare per s? il gettito fiscale di loro competenza. Ben si vede dove si pu? arrivare, di piccineria in piccineria. Pu? una nazione impigliarsi in simili sterpaglie? Si pu? anche comprendere la sopravvivenza di pulsioni tribali in qualche sottocultura, ma non si pu? ammettere che questa sottocultura infetti la nazione nel suo complesso.

Bossi e sodali hanno forse ragione sulle tasse? Il Sud paga forse meno del Nord? Se cos? fosse, dato che ? la parte meno sviluppata del paese, sarebbe normale. Ma i dati che si possono reperire tranquillamente, e doviziosamente forniti da Viesti, conducono alle stesse conclusioni a cui giunsero ieri Nitti ed altri studiosi. Il Mezzogiorno, in altri termini, dovrebbe in proporzione pagare di meno e invece paga di pi?: “Fra il 1996 e il 2006 le entrate fiscali pro capite al Sud sono cresciute del 56,4% […] [e] nel Centro- Nord del 36,4%, pur in presenza di una crescita economica grosso modo simile fra le due aree”. Come si spiega? “Con meno risorse disponibili -dice Viesti- enti locali e Regioni del Sud hanno utilizzato la propria capacit? di imposizione fiscale. L’addizionale IRPEF in media ? dell’1,23% al Sud e dell’1,03 al Nord; la leva fiscale dei Comuni dell’81,1% al Sud e del 69,1% al Nord. [In definitiva] i cittadini delle regioni pi? povere (e con meno servizi pubblici), a parit? di reddito, pagano pi? tasse” [24].

D’accordo, pagano pi? tasse; per? – si potrebbe pensare- introitano bastimenti di trasferimenti pubblici che derivano da tasse pagate da altre regioni. Un aspetto dell’argomento (il principio di perequazione territoriale, con l’aggiunta delle radici storiche dell’attuale ricchezza del Nord) ? gi? stato trattato prima. Resta da vedere quanto il Sud dovrebbe avere e quanto in realt? ottiene. Non ? possibile riportare tutti i dati contenuti nel saggio di Viesti, ma vale la pena notare quanto segue: “Nel 2006 le spese per investimenti pubblici sono ammontate a 58,3 miliardi di euro nel Centro-Nord (72% del totale) e a 16,3 miliardi di euro nel Mezzogiorno. Nella media 2000-2006 gli investimenti pubblici pro capite sono stati 680 euro al Sud e 946 euro al Centro-Nord, con uno scarto che si ? significativamente ampliato nel tempo” [25]. Ed ? oltremodo significativo quanto Viesti fa ancora notare: “Scopriamo cos?, guardando alle cifre ufficiali, che tutta questa colossale spesa per lo sviluppo del Sud negli ultimi dieci anni non c’? stata, cosa curiosamente sfuggita a tanti dotti commentatori” [26]. Ma a quale ammontare, espresso in percentuale sul totale, aveva diritto il Sud? Fatti tutti i calcoli, tra risorse interne e comunitarie, avrebbe dovuto avere il 45%. [27]. Questo obiettivo, “che – dice Viesti – i diversi governi di centro-sinistra e di centro-destra si erano dati, non ? mai stato raggiunto” [28]. Perch?? Perch? ancora una volta ci? che doveva essere “straordinario”, e quindi aggiuntivo, ? stato “sostitutivo di mancata spesa ordinaria” [29], che ? rimasta nelle casse dello Stato. Il Sud, in definitiva, ora come allora (Cassa per il Mezzogiorno), non ha ottenuto quanto era stato concordato. Eppure, nonostante ci? e tra le mille difficolt? che incontra ovunque ogni area arretrata, il Sud ? cambiato e sta cambiando, grazie all’impegno tenace ed alle lotte della sua parte onesta e responsabile contro la parte che costituisce una pesante zavorra.

Per concludere, pur senza avere esaurito l’argomento, andiamo a verificare la spesa corrente. ? almeno l? che il Sud ottiene di pi?? “Il cittadino del Sud – riporta Viesti, riferendosi ai luoghi comuni- riceve troppo rispetto a quanto riceve un cittadino del Nord. Questa ipotesi, di senso comune in Italia e su cui moltissimi, indipendentemente dalla latitudine a cui vivono si sentirebbero di convenire, ? perfettamente verificabile. Ma, sorpresa, ? falsa. Nel 2006 la spesa pubblica pro capite ? stata in Italia pari a 14.141 euro. Il valore sale a 15.719 euro nel Centro-Nord e scende a 11.253 nelle otto regioni del Mezzogiorno. Dunque, un cittadino del Sud, in media, beneficia di una spesa pubblica corrente del 28% inferiore rispetto a un cittadino del Centro-Nord. Tale scarto ? rimasto costante nel corso degli anni: quello che vale per il 2006 vale anche per gli anni precedenti” [30]. Anche se incompleto, questo quadro di dati smentisce la vulgata leghista circa la questione del Meridione e ribadisce il concetto del Mezzogiorno come questione nazionale.

[fine]

da Mondoperaio 3/2010 – pagg. 49-64 [60-64]

fonte

DI SANTO PRONTERA – DA MONDOPERAIO 3/2010

mercoledì 28 luglio 2010

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