IL SOGNO INDUSTRIALE BORBONICO
I poli siderurgici di Mongiana e Pietrarsa
Nel 1770, allorquando in Europa si diffondeva la notizia del fastoso matrimonio del delfino-futuro re di Francia Luigi XVI con Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, in una poco nota località della Calabria si progettò la nascita del più importante complesso ferriero del regno delle Due Sicilie.Le aree siderurgiche di Mongiana e Ferdinandea nacquero sotto il regno del giovane sovrano Ferdinando IV di Borbone,affiancato dal Consiglio di Stato presieduto dall’illuminato toscano Tanucci.
Il governo borbonico,in questa epoca di prima reggenza, era occupato a creare sviluppo economico in quei territori, che offrivano potenziali risorse naturali da sfruttare e tanta manodopera bisognosa di lavoro. Il colle calabrese Cima, con la sua Piana Stagliata Micone, disponeva di abbondanza di acque per la presenza di un ruscello ivi scorrente, nonché di fitti boschi con pregiato legname e tanto minerale ferroso. Agli albori della grande rivoluzione industriale, su questo territorio cominciarono così a sorgere delle infrastrutture per la siderurgia, come a Stilo ove furono realizzate diverse ferriere. Le due “Nuove Regie Ferriere”, che sorsero in contrada Cima, furono progettate dall’architetto napoletano Mario Gioffredo e la fonderia di Mongiana nel tempo migliorò i suoi processi di combustione, incrementando il suo ciclo produttivo.
Quando il regno fu occupato dai francesi, il polo siderurgico passò sotto il controllo di una direzione filo-napoleonica che intese comunque migliorare ed incrementare la produzione siderurgica, installando nuovi altiforni, nuove ferriere (la Robinson), una fonderia di cannoni e una fabbrica di fucili. Con il ritorno dei Borboni al trono di Napoli, il complesso, con le sue otto ferriere (Cubilotto,San Carlo,San Ferdinando,San Bruno,San Francesco,Santa Teresa, Real Principe,Robinson), continuò ad essere sostenuto dal governo che diversificò la produzione non solo per uso militare (tra cui il fucile modello “Mongiana” della fanteria) ma anche civile. Difatti, a Mongiana, ormai paese fondato nel 1771 ed ospitante le famiglie di operai ed impiegati, si realizzarono le strutture in ferro del noto ponte sul Garigliano del prof.Lippi (1822-29) o quelle del “Maria Cristina” sul fiume Calore Irpino dell’ing.Giura (1832-35), così come le rotaie della prima linea ferroviaria Napoli-Portici (1836-39). Questo insediamento produttivo che giunse ad occupare anche 2700-3000 lavoratori seguì l’inglorioso destino di decadenza delle tante attività produttive duosiciliane negli anni post-unitari, causa il disinteresse della nuova regnanza governativa italiana, dopo essere state acquistate,tra l’altro, dall’ex-garibaldino Fazzari nel 1874.Diversa sorte toccò, invece, al Real Opificio borbonico di Pietrarsa nella periferia napoletana di S.Giovanni a Teduccio. Questa struttura siderurgica fu concepita e voluta da Ferdinando II di Borbone nel 1840 in quanto intendeva proseguire quel programma di sviluppo industriale metalmeccanico,intrapreso da suo nonno a fine settecento. In cinque anni l’area di Pietrarsa (circa 36 mila metri quadri) si specializzò nella costruzione e riparazione delle locomotive con i suoi carri e vagoni ferroviari, che oltre alla linea Napoli-Portici dovevano servire per la nuova linea Napoli-Capua. Difatti, le officine ferroviarie furono progettate con tutti gli accorgimenti dovuti per la lavorazione,onde garantire una produzione finita,in loco, di mezzi di trasporto, spesso di provenienza britannica, con cui far fronte al programma di espansione viario-ferroviario (la rotabile di collegamento del Tirreno con lo Ionio e l’Adriatico) del governo borbonico.
Si utilizzò la più moderna attrezzatura dell’epoca, come i “foratoi” Manchester o i torni Withworth, oltre a garantire un’adeguata formazione alle maestranze, tecnici e ufficiali macchinisti con l’annessa scuola d’arte, sorta presso lo stabilimento.Il ciclo produttivo, seguito inizialmente da 200 occupati poi 700 ed anche circa 900 addetti, cominciò con la realizzazione di sette locomotive nel 1845 per poi incrementare il suo fatturato in pochi anni. L’eccellente lavorazione di questi mezzi di trasporto attirò l’attenzione anche dello zar Nicola I di Russia, che intese prendere a modello Pietrarsa per il suo stabilimento ferroviario di Kronstadt, nonché dello stesso Papa Pio IX, che si recò a visitarlo.
Con il regno d’Italia lo stabilimento si trovò ridimensionato e posto in second’ordine rispetto ad altri poli ferroviari nascenti nel centro-nord, seppur ha continuato a rimanere in vita fino ai recenti anni settanta, lasciando ai posteri le testimonianze della sua passata attività nell’attuale sede museale.
di Ettore d’Alessandro di Pescolanciano
fonte