Incontri Sensibili al Museo di Capodimonte: Cosimo Fanzago ~ Flavio Favelli
Fino al 29 novembre, a Napoli, al secondo piano del Museo di Capodimonte, c’è la mostra, curata da Angela Tecce e Sylvain Bellenger, con la collaborazione di Luciana Berti, di due opere: l’una è un Ciborio del grande architetto e scultore bergamasco, (ma napoletanizzato per aver vissuto e lavorato soprattutto a Napoli) Cosimo Fanzago (1591/1678), l’altra, intitolata “Interno con marmi”, è di un artista nostro contemporaneo, Flavio Favelli (1967). La mostra fa parte della serie “Incontri Sensibili”, che, in questo museo, già in varie edizioni è stata realizzata.
Consiste nell’accostare opere simili per il soggetto, ma diversissime per lo spirito e l’epoca in cui sono state eseguite. Un accostamento che spinge il visitatore a osservarle evidenziandone le diversità. Un modo per sollecitare il suo spirito di osservazione, utile per meglio discernere la realtà ed essenziale per comprendere l’arte figurativa.
“Occorre guardare un’opera almeno per un minuto” ha più volte ripetuto il direttore Bellenger. Possiamo affermare che il soggetto, comune alle due opere, sia la Casa quale testimone dell’identità di chi la abita. Così il Ciborio, ora a Capodimonte, è stato realizzato per essere la Casa di Dio. Perché il Ciborio, detto anche Tabernacolo (in latino, piccola taberna ovvero capanna) è il luogo destinato a contenere la Pisside, la coppa con l’Ostia (=Vittima) sacrificale, cioè Dio stesso, offerto all’Umanità quale Cibo.
Come tante opere sacre del museo, il Ciborio del Fanzago proviene da una chiesa napoletana nel centro antico della città. In questo caso, da una chiesa che ha due nomi: quello di San Gregorio Armeno, il santo vissuto in Armenia tra il terzo e il quarto secolo, e quello di Santa Patrizia. È una chiesa antichissima, esistente già prima del Mille, quando le monache basiliane, in fuga da Costantinopoli, durante l’iconoclastia (distruzione delle immagini), artvoluta dall’imperatore di Bisanzio Leone III (726/787) ne portarono qui le spoglie.
Che si aggiunsero a quelle di Santa Patrizia, nobile vergine della famiglia imperiale, naufragata a Napoli e tuttora adorata dai napoletani. Forse è interessante sapere che il termine tempio, che significa luogo riservato (=tagliato, dal latino temno=taglio) alla divinità, usato durante il paganesimo, è stato generalmente sostituito, nel Cristianesimo, dalla parola chiesa, che indica il luogo dove c’è un’ ecclesia (in greco= adunanza di persone ), in quanto c’è Dio nell’anima dei fedeli che vi sono riuniti.
Cosimo Fanzago ha realizzato nel suo Ciborio una chiesa in miniatura, con la sua cupola, che indica la calotta del cielo, con le classiche colonne, le nicchie e le statue. È un oggetto prezioso non solo per i materiali usati, rame e bronzo dorato, pietre dure, quali diaspri, ametista, lapislazzuli, ma soprattutto per l’arte con cui è stata realizzata.
A qualcuno potrà interessare osservare che, in greco antico, l’arte si chiamava tecné, che indicava quella tecnica che testimonia la sapienza dell’esperienza e la bravura dell’artista ispirato dalle Muse. In questo Ciborio, c’è la tecnica ad altissimo livello del commesso marmoreo, tipico dell’arte napoletana, che rappresenta, accanto a elementi puramente ornamentali, vasi, fiori, tralci di piante e uccellini, mentre piccole sculture sono collocate nelle nicchie.
Il Ciborio, la Casa realizzata da Cosimo Fanzago, esprime la bellezza e la sacralità di colui che la abita, o, maglio, di Colui che la abitava all’epoca (quando era nella chiesa di San Gregorio Armeno- Santa Patrizia). È stato detto che, in quegli anni, il popolo, la gente comune, illetterata, non partecipava al godimento dell’arte in generale né dell’arte sacra. Ma non è esatto. L’arte sacra esprimeva di quel popolo, con la fede nel divino, anche la sua inconscia aspirazione alla bellezza espressa nell’arte sacra.
Anche l’opera di Flavio Favelli vuole essere una casa. È una sorta di cabina di legno con qualche inserto di marmo e ceramica. Favelli ha raccontato che, accompagnato da Angela Tecce, aveva girato per le sale del museo di Capodimonte, cercando un’opera con la quale la sua avrebbe potuto confrontarsi. Così ha scelto il Ciborio, la Casa dell’Uomo-Dio, per confrontarla con la sua opera di cui ha determinato il carattere come “casa dell’uomo” tout court, escludendone la divinità.
Infatti il modello d’uomo realizzato da Favelli appare prettamente laico, e, sulle pareti della sua casa, non vi sono immagini sacre, ma, al loro posto, c’è la pubblicità della Nastro Azzurro, un tipo di birra Peroni, e la scritta “birra alla spina”. Tanto da spingerci a immaginare la casa abitata da un uomo un po’ panciuto, gran bevitore della bevanda, che ingurgita a garganella nello stomaco sempre più ampio. Possiamo dire che l’uomo di Falvelli ha sostituito l’appeal della divinità con quello di un prodotto industriale? Niente di male.
Sennonché questo voler confrontarsi con l’opera sacra di un grande artista come Fanzago, può non essere esente da critiche. Secondo Falvelli, questa sua costruzione, “Interno con marmi”, l’hanno abitata uno alla volta, in solitudine, degli uomini d’oggi, come suggeriscono le diverse verniciature del legno sovrapposte l’una sull’altra. Il legno delle porte, che hanno delle semplici modanature, con qualche inserto di marmo e qualche mattone di ceramica, ormai sbrecciato, non riesce a realizzare un’idea piena della modernità né un senso coerente della bellezza dell’antico.
Il passato non ha molto posto in quest’uomo che probabilmente considera il mondo come Condorcet, senza passato, e si accontenta della povertà di idee della sua quotidianità. Infatti il colore della sua casetta è monotono, come ingrigito dal tempo di un già vecchio presente. Immaginiamo quest’uomo contemporaneo svolgere la sua vita in un ambiente piccolo, piuttosto ristretto, senza una visione del mondo di fuori; forse è l’uomo single, un uomo senza famiglia. Di quest’uomo scorgiamo l’intimo osservando l’interno della casa lasciato scoperto dalla mancanza di una parete: è vuoto.
Tuttavia quest’uomo è considerato importante, e la sua casa è già un monumento, come testimonia il piedistallo sul quale poggia. E forse lui, Flavio Favelli, la ha immaginata come un monumento a se stesso. Peraltro Favelli è un gran lavoratore, che ha molto lavorato per affermarsi. Nella sua biografia, ci sono una laurea in Storia Orientale, delle residenze, dei corsi di arte e qualche collaborazione con l’industria. E ci sono anche mostre di altre case in miniatura, come una del marzo 2003, “Interno con vista”, un’altra, sempre del 2003, “Giovane Arte” e un’altra, del 2010, “Sale interne”. Insieme ad altri progetti di modelli architettonici, quasi a confidare la sua intenzione di volere essere un architetto.
Il lavoro di Flavio Favelli è stato definito “Arte Povera”, che, secondo la definizione sintetica e onnicomprensiva di Germano Celant è “lo specchio della realtà”. Quindi via le leggi dell’Accademia! e un evviva! alla materia così come è, al contatto diretto con il vero. Una definizione che suggerisce i nomi di grandi artisti quali Jackson Pollock (1912/1956), l’inventore del dripping (la tecnica di far gocciolare il colore direttamente sulla tela, lasciando un certo margine al caso), di Jannis Kounellis (1936 1980), l’innamorato dei colori della natura come del rosso delle piume di un pappagallo e di Robert Rauchenberg (1925/2008), che racconta la vita vera attraverso delle scatole di cartone e una vasca da bagno scrostata. Sono autori che parlano con la materia stessa, che è il linguaggio della realtà.
Ora, nel museo di Capodimonte, c’è l’arte povera dell’“Interno con marmi” di Flavio Favelli, sistemata nella stessa sala delle opere del Seicento napoletano della mostra “Oltre Caravaggio”curata da Stefano Causa e Patrizia Piscitello.
Tra queste, al centro della sala, un meraviglioso angelo ligneo del Seicento, di ignoto autore napoletano e poco noto ai più.
di Adriana Dragoni
fonte
http://www.agenziaradicale.com/index.php/cultura-e-spettacoli/mostre/7004-incontri-sensibili-al-museo-di-capodimonte-co