La battaglia del Volturno E Le Fasi del combattimento
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Da pag.73 A 86
CAPITOLO SECONDO
Battaglio del Volturno.
I.
La città di Capua, di Santa Maria, di Caserta e di Maddaloni si trovano presso che esattamente sur una medesima linea, dall’ovest al sud. Tutti questi punti sono uniti fra essi da molte strade, ed hanno di dietro altre strade che portano a Napoli. L’armata di Garibaldi occupava queste posizioni a partire da Santa Maria ed accampava sur una linea di dodici chilometri. Santa Maria sulla sinistra, di fronte il Monte Sant’Angelo, all’estrema destra Maddaloni, ed alle spalle il villaggio di San Tammaro. Quest’ultimo si trova nella posizione di una linea parallela al Volturno, che cadrebbe ad angolo retto sulla linea di battaglia, passando lungo i bastioni e il campo trincerato a Capua. La città di Caserta ha davanti San Leucio e il Monte Caro. Maddaloni estrema destra, è posta in faccia al Ponte’ della Valle.
Il generale dittatore comandava il corpo di armata di Santa Maria e aveva scelto per posto la sommità del Monte Sant’Angelo, intanto che i generali Turr e Medici tenevano Santa Maria, e il colonnello Fardella, San Tammaro. Il generale Sirtori si trovava a Caserta, il general Bixio a Ponte della Valle e Maddaloni.
Il generale napoletano Ritucci si decise a riprendere l’offensiva ed a spingere le sue truppe verso Santa Maria, Sant’Angelo e Maddaluni. A tale oggetto si disposero tre colonne. La prima, sotto gli ordini del generale Von-Mechel, formando l’ala sinistra dell’esercito, muover doveva per Dugento e Maddaloni, a fine di riconoscere il nemico da quel lato.
Delle altre due colonne, l’una comandata dal maresciallo Afan da Rivera e dai due comandanti di brigata generale Barbalunga e colonnello Polizzi, riconoscer doveva le fortificate alture di Sant’Angelo in Formis ed il sottoposto villaggio: l’altra, comandata dal generale Tabacchi, aveva ordine di minacciare sulla fronte Santa Maria e distrarre il nemico da qualunque operazione militare che avesse potuto fare contro il generale Von Mechel.
La cavalleria, in seconda linea, doveva sostenere le colonne, che procedevano innanzi, in caso di positivo combattimento, ed in pari tempo guarentire l’ala destra dell’esercito napoletano.
III.
All’alba del primo ottobre la fortezza di Capua fece varie scariche, e quindi i napoletani sortirono dalla piazza, dirigendosi in colonne serrate ed in tre corpi sul monte Sant’Angelo, Santa Maria e San Tammaro. Alla stessa ora Sirtori era attaccato a Caserta e Bixio a Ponte della Valle. L’armata napoletana marciò, con vigore e compatta su tutto il fronte di battaglia.
I napoletani che s’avanzavano, contro il monte Sant’Angelo, si misurarono col dittatore in persona. Garibaldi non ha che pochi uomini con lui, e questo piccolo numero di combattenti non è nemmeno de’suoi migliori. Egli slancia in avanti, contro il nemico che si arrampica sulle rocce, il battaglione siciliano, comandato da alcuni inglesi; ma i regii si spingono innanzi, tagliando la comunicazione con Santa Maria e involgono il dittatore.
La posizione del pugno d’italiani è compromessa. Si telegrafa per chiamar Bixio, ma Bixio dalle otto del mattino combatte ed ha respinto quattro volte l’assalto de’ regii. Alle tre pomeridiane gl’italiani avevano perduto due cannoni.
Garibaldi non si perde di coraggio, grida che la giornata debb’essere degl’italiani, e comprende che la vittoria si deciderà a Santa Maria. I suoi uffiziali, il suo stato maggiore, e le guide mettono mano alla sciabola. Cento uomini si slanciano, col dittatore alla testa, dalla parte della città, riaprendo la comunicazione, riprendendo due pezzi e ritornano riconducendo soccorsi e prigionieri.
Allorchè Garibaldi ordinò questa mossa, vi fu alcuno il quale disse che si mancava di cartucce. Egli rispose che avevano le baionette.
Il dittatore restò un momento a Santa Maria; vide che i suoi soldati tenevano fronte a’regii e che questi non avrebbero potuto riacquistare la batteria in posizione e ripartì di galoppo per monte Sant’ Angelo.
Arriva e trova i napoletani battuti, che abbandonavano, ritirandosi le chine del monte, verso le 5 ore e mezzo di sera. L’estrema destra era vittoriosa. ..
Da una parte e dall’altra si era combattuto con accanimento, con perdite enormi. I volontarii avevano resistito con un coraggio impareggiabile.
Ma l’armata italiana è sempre sotto la minaccia di una sconfitta. San Tammaro non è più suo. I garibaldini , che v’erano, si sono ritirati verso Santa Maria , lasciando ai regii il villaggio, che saccheggiarono ed incendiarono. La cavalleria del re aveva caricato sei o sette volte nella giornata su’ piani di San Tammaro ed aveva recati gravi danni.
D’altra parte il dittatore sente che Sirtori aveva perduto terreno a Caserta.
Ed, in fatti, ecco ciò che era avvenuto da quella parte. Sirtori era stato attaccato dal grosso delle forze regie, all’improvviso, cioè da colonne vegnenti da Caserta Vecchia e S. Leucio. La metà de’soldati italiani ebbe appena il tempo di schierarsi in battaglia. I calabresi ritiravansi battendosi male; il generale batte la ritirata abbandonando Caserta e fa fronte più lungi. Invia a domandar da tutte le parti soccorsi, ma tutti sono impegnati. Allora egli telegrafa a Villamarina, ministro di Sardegna, esponendo la posizione come disperata. Gli si risponde che i piemontesi arriveranno, ma che bisogna loro accordar tempo per arrivare. Sirtori si vede battuto,sente Garibaldi compromesso,ma sa che Bixio è vincitore e si sostiene sempre, gettando in prima linea i migliori de’suoi soldati. la giornata intera si passa senza che la situazione migliori, anzi diventa più grave. La notte pose fine al combattere.
IV.
Ecco come viene narrato il fatto avvenuto al 1 ottobre dalla Gazzetta di Gaeta del 4, dietro i rapporti uffiziali:
” Alle 2 antimeridiane dei 1° ottobre uscirono le truppe da Capua, liete e fidenti nel loro valore, per la porta di Napoli.
All’alba, aprirono il fuoco i cacciatori dell’ala sinistra ed il battaglione tiragliatori della guardia, che per la prima volta combatteva e con valore.
Allo avanzarsi dei nostri uscirono gli avversarii da Santa Maria e discesero da Sant’Angelo, ma in breve tern¬o po furono vigorosamente respinti ed obbligati di ritornare alle lor forti posizioni. La colonna de’ cacciatori alla sini¬stra, con vivo fuoco di fucileria, protetta dalle artiglierie di montagna, si spinse risolutamente innanzi, e, giunta sulla dominante posizione di Sant’ Angelo, conquistò alla baionetta tre batterie colà piantate, i pezzi delle quali parte furono inchiodati, altri rovesciati ne’sottoposti burroni, trasportò nella piazza sei pezzi di artiglieria da campo e di montagna, e procedendo sempre innanzi superò la prima e la seconda barricata del villaggio di Sant’Angelo in Formis, fece molti prigionieri, prese armi e munizioni in gran copia, cavalli e muli , e poscia si ristorava colla zuppa preparata pei nemici, vinti e messi in fuga.
“Non è a descriversi l’energia e l’ardore dimostrato dagli uffiziali e soldati de’ cacciatori e dalla cavalleria di questa colonna nella ricognizione di Sant’ Angelo, e la bravura degli uffiziali e soldati di artiglieria, i quali, colla precisione de’loro tiri, furono di possente aiuto alla fanteria.
Nè altrimenti poteva avvenire, poichè la presenza di S. M. il Re in quel punto animava e sosteneva il coraggio de’ prodi, che combattevano, e coi quali in seguito divise la gioia del successo.
La colonaa, destinata a minacciare Santa Maria, riconobbe il nemico e tentò un attacco, nel quale alcune compagnie del 9° e del 10° di linea, ed altre dei tiragliatori, con islancio incredibile, giunsero nel paese, superando le prime barricate sotto il fuoco micidiale di molte batterie.
Le LL. AA. RR. il Conte di Caserta e il Conte di Trapani non lasciarono dal guidare quelle colonne, e divisero colle truppe le fatiche e pericoli. Meritate lodi si debbono all’artiglieria, la quale perdè diversi uffiziali, sott’uffiziali e soldati nell’attacco delle prime batterie di Santa Maria , ove si vide obbligata di lasciare due pezzi, solo perchè, feriti e morti il maggior numero degli animali, tornava impossibile di ritirarli sotto il vivo fuoco della mitraglia nemica.
Eguale onorevole menzione meritarono i cacciatori a cavallo pel loro brillante modo di combattere.
Sulla destra della linea, il brigadiere Sergardi, con meno di duie squadroni di lancieri ed un distaccamento di zappatori e quattro pezzi, attaccò il villaggio fortificato di San Tammaro, superò le barricate, se ne impossessò, prese una bandiera e tolse al nemico molte armi, munizioni e prigionieri.
Il generale Colonna, rimasto sulla sponda destra del Volturno, impedì al nemico di passare il fiume a Trifrisco, ove si presentò con forze imponenti, le quali furono respinte nel bosco di San Vito, e poscia da’bravi cacciatori snidate e disperse. »
V.
Dalla parte di Bixio, non vi fu, in paragone agli altri combattimenti, che una scaramuccia. Sirtori aveva dinanzi a sè 80Q0 uomini; Bixio non ne aveva che 2000, tenendo pure al Ponte della valle sei pezzi di cannone trincerati.
I napoletani, che lo avevano attaccato, invece di venire da Capua, come le colonne di Santa Maria e di Caserta, vennero lungo il corso del fiume, da parte di Salapala e di Lumatola.
Il generale garibaldiano fece ripiegare i suoi avamposti e attese dietro i cannoni che il nemico lo assalisse; allora ordinò il fuoco ed una carica alla baionetta. I napoletani vennero respinti.
Bixio ebbe cognizione della posizione di Sirtori, e appena si sentì libero, lasciò qualche compagnia a Ponte della Valle e si portò a passo di corsa sulla strada di Caserta.
VI.
In questo fatto si narra il seguente episodio riguardante a Garibaldi :
Garibaldi era partito col suo stato maggiore da Caserta alle 5 e un quarto del mattino, e, arrivato a Santa Maria, saliva in calesse e si avviava alla volta di Sant’Angelo. Tre carrozze seguivano il cocchio del generale, in cui trovavansi il colonnello Deideri, il capitano Baffo e due altri ufficiali. Missori e Paverini erano nella seconda, col conte Arrivabene, che aveva preso il posto accanto al cocchiere. Altri dieci ufficiali seguivano nelle altre due.
Mezz’ora prima della partenza di Garibaldi da Caserta, il capitano,Gusmaroli aveva ricevuto l’ordine di scortare un pezzo da 18 a Sant’Angelo, e fu egli incontrato da Garibaldi a 400 metri dal piccolo ponte , che attraversa la strada consolare, a un miglio da Sant’Angelo.
Giunte che furono le quattro carrozze a 100,metri dal ponte, un battaglione di cacciatori napoletani movendo dalla direzione di Capua , era giunto a 80 passi dalla strada consolare che esse percorrevano. Il pericolo era imminente, ed ove i regii fossero arditamente corsi alla carica, avrebbero indubbiamente avviluppati ed arrestati que’cocchi. Ma invece di precipitarsi sulla strada, i cacciatori napoletani aprirono un vivissimo fuoco contro le carrozze, che già strascinate dal corso velocissimo dei cavalli, erano giunte a 20 passi dal ponticello. La pioggia di palle era talmente fitta, che uno dei cavalli della seconda carrozza cadeva morto in un col cocchiere che lo guidava. A vedere que’calessi, sembrava impossibile che coloro che gli occupavano avessero potuto salvarsi. Vennero essi traforati da centinaia di palle.
Arrestati i cocchi, Garibaldi scese il primo; gli ufficiali lo seguirono, e, come per orizzontarsi in quel periglioso tafferuglio, scesero nel fossato, che corre perpendicolarmente alla strada. Serrarsi tutti attorno di Garibaldi, fu un momento; eglino erano decisi a vendere a caro prezzo le loro vite minacciate. Gli avamposti di Medici, che guardavano quel punto, erano bensì indietreggiati, ma ordinatamente e senza cessare il fuoco.
Erano eglino milanesi, ed alla voce di Garibaldi, che gli eccitava a resistere, quel pugno d’uomini perdurava nel fuoco, dietro le piante della strada e dietro il parapetto del ponte. Quell’ordine fu dato ed eseguito in un momento, ed accadeva che i napoletani, sebbene s’avanzassero sempre, pur il facessero lentamente. Più dei soldati di Medici, però, valeva ad arrestarli il cannone del Gusmaroli, il quale, avvedutosi come Garibaldi e i suoi compagni fossero sul punto d’esser fatti prigionieri, aveva diretto il pezzo contro gl’irrompenti cacciatori. Garibaldi aveva guadagnato cinque minuti, e per lui cinque minuti non è breve corso di tempo.
Calmo e sereno, cogli occhi sfolgoranti d’ardire, rinvenne egli sulla strada per giudicare la situazione, e, sguainando la spada, al grido di viva l’Italia, s’apprestava a caricare i napoletani.
Erano venti ardimentosi, che intendevano opporsi allo avanzare di un intero battaglione. Veduto però come i cacciatori napoletani avessero rallentata la marcia, quello stuolo scese di bel nuovo nel fossato, seguendo la via che, attraverso le radici di quei colli conduce a sant’Angelo.
In questa via Arrivabene,poggiando troppo nella direzione di S. Prisco, fu ferito in una gamba e poi fatto prigioniero dai napoletani, che avevano girato il monte.
VII.
Garibaldi, sendo nella notte andato a visitare la posizione di sinistra trovò che Monte Sant’Angelo era bene difeso, e che Santa Maria aveva poco sofferto. Finalmente sentì che i napoletani, vincitori a San Tammaro, avevano abbandonato quella posizione e si erano ripiegati con quelli ch’erano stati battuti a Santa Maria e a Monte Sant’Angelo. Il dittatore vide che non v’era nulla a temere da questa parte e corse immediataniente a Caserta.
Intanto Villamarina, ministro sardo, aveva ricevuto i dispacci di Sirtori, il cui linguaggio era pressante. Il ministro divise le inquietudini del generale ed inviò sul campo di battaglia 1500 piemontesi, cioè un battaglione della brigata del Re e due batterie che si trovavano in città. Questi soldati, partiti la sera, arrivarono nella notte al campo.
VIII.
Allo spuntare del giorno 2 ottobre Garibaldi, Sirtori, Bixio e i 1500 piemontesi si trovavano fra Marni e Caserta. Il segnale della partenza era dato e si marciava in avanti.
I napoletani nella notte non istabilirono alcun trinceramento e neglessero le cautele le più elementari della guerra. Affaticati, si riposarono nel parco di Caserta.
I piemontesi marciavano alla testa ai garibaldini, e, da truppe fresche, piombarono con furore sui regii storditi. I soldati di Francesco II resistettero, ma senz’ordine; vennero stretti su tutt’i punti, si sbandarono e vennero fatti in gran parte prigionieri.
Alle undici ore del mattino non vi era più resistenza in nessuna parte, e Garibaldi potè scrivere alle 2 ore pomeridiane : La vittoria è completa su tutta la linea.
IX.
Un milite che si trovò in questo combattimento così scrive: « Dirvi con qual furore i combattesse colà non sarebbe possibile. Io ho fatta l’ultima campagna di Lombardia, mi sono trovato a Magenta ed a Solferino, ma ora credetti assistere un’ altra volta a quelle orribili carneficine. Le posizioni de’garibaldini furono prese e riprese tre volte alla baionetta. La mitraglia solcava profondamente il suolo. Cosa strana! si combatteva senza neppure levare un grido, con un silenzio fremente. Il cannone solo rimbombava da tutte le parti; il cielo era sereno: il sole brillava con tutta la pompa de’ suoi splendori. »
Tutte le forze regie, che hanno preso parte all’azione, erano in numero di 25 mila contro soli 15 mila garibaldini. Il re Francesco II comandava in persona vestito da borghese, e fu veduto qualche volta al fuoco.
Garibaldi trovavasi, quasi per miracolo, dappertutto e specialmente dove più ferveva la lotta e maggiore era il pericolo. Durante il fiero combattimento visitò tre volte tutt’i punti annunciando la vittoria ed incoraggiando i suoi soldati alla tenzone.
I carabinieri genovesi fecero prodigii di valore. Essi soli fecero prigioniero un battaglione di napoletani. I carabinieri non toccarono gravissime perdite. La quinta brigata stette sempre in prima linea a Sant’Angelo e si segnalò per rara intrepidezza di fronte alla mitraglia nemica.
Il maggiore Morici con soli 30 uomini riprese una batteria dalle mani de’regii con ardimento ed intelligenza incomparabili. Garibaldi lo promosse al grado di tenente colonnello.
Il brigadigre Assanti, dopo aver, combattuto co’suoi tutta la giornata dei 1° ottobre, apportando gravi perdite al nemico, nel successivo giorno indefessamente continuò a combatterè con tutta la sua brigata, a seguito dei generale dittatore dalla parte, di Caserta Vecchia, una,colonpa di regii che ascendeva a 8000 uomini, costringendo il nemico a, lasciare un’immensità di prigionieri circondati dalle sue colonne, e grave danno arrecandogli per morti, e feriti.
X.
Ecco l’ordine del giorno pubblicato da Garibaldi; dopo questo fatto, in data 2 ottobre:
“Militi dell’armata italiana!
” Combattere e vincere è il motto dei valorosi che vogliono ad ogni costo la libertà dell’Italia, e voi l’avete provato in questi due giorni di pugna.
Ieri su tutta la linea la vittoria vi coronava. Oggi in Caserta e sulle sue alture si compiva uno di que’fatti d’armi che la storia registrerà tra i più fortunati.
I prodi e disciplinati soldati del settentrione, comandati dal valoroso maggiore Luigi Soldo , hanno mostrato oggi di che è capace il valore italiano riunito alla disciplina, e se sarà calpestata ancora questa antica regina del mondo, quando i suoi figli sieno concordi tutti al riscatto della loro terra, guai !”
Nella rivista che nel giorno 6 ottobre Garibaldi fece a Caserta, il dittatore volse parole cortesi a tutti, ma allorchè si trovò dinanzi di un decimato corpo di bersaglieri. Túrr disse a Garibaldi: – Eccovi i bravi bersaglieri milanesi. – Il generale li osservò e disse loro: – Mi ricordo; sono quei prodi che caricarono così bene nella giornata del primo ottobre, e ch’io ebbi occasione di vedere. Bravi vi batteste da veri italiani, da vecchi soldati; io vi ringrazio a nome anche d’Italia.
XI.
Poco mancò che le schiere di Francesco II piombassero sulla capitale. La strage dell’una e dell’altra parte fu grande, e dopo il tripudio del popolo nelle prime ore del cessato pericolo, la capitale era atteggiata a serietà confinante colla mestizia pensando allo sparso sangue italiano.
La mancanza di cavalleria e la scarsità di artiglieria dei garibaldini fece risaltare la loro prodezza, ma rese assai più lunga e sanguinosa la lotta,
La vittoria riportata da’ garibaldini al Volturno occupò non solo la stampa napoletana, ma quella di tutta Europa. L’importanza, la durata e la ferocia dell’azione, lungamente dubbiosa, l’ardito tentativo del Borbone, sebben fallito, e il capitale pericolo che corse Garibaldi, scossero l’opinione pubblica.
Dopo i fatti del 1 e 2 ottobre Garibaldi mandò al sig. Villamarina, ministro sardo, un suo aiutante, per ringraziarlo dell’aiuto che gli avevano recato i piemontesi.
fonte Pontelandolfonews.it
Le Fasi del combattimento
RICERCA EFFETTUATA TRAMITE GOOGLE LIBRI SUL TESTO “Fasti Militari della Guerra dell’indipendenza d’Italia dal 1848 al 1862 ” di Martino Cellai -VOL IV
PAG 437-442
-L’esercito regio era messo parte in Capua, parte lunghesso il Volturno, e parte più indietro sulle strade che menano al Garigliano dal lato
di Sessa e di S. Germano, colle estreme riserve a Gaeta (1). Richiamavansi in gran parte le soldatesche ancora ferme negli Abruzzi, e se ne lasciava la difesa ai corpi franchi realisti già cominciati a formarsi, contandosi altresì sovra un’indiretta cooperazione del Lamoriciére che, liberato dal pericolo della spedizione di Terranova passata in Sicilia, era pienamente tranquillo riguardo a un possibile assalto contro gli Stati Ecclesiastici dal lato settentrionale. Enumeravansi le forze regie raccolte ne’luoghi indicati a 60 mila uomini, tra le quali era la intera i Guardia reale, la maggior parte de’battaglioni stranieri, e de’ battaglioni de’ cacciatori, com’anche della cavalleria. Oltre a ciò imprendevasi a formar nuovi battaglioni di cacciatori volontari. Era a questi promesso un premio d’ingaggio, e, meglio ancora, che ogni mese valeva un anno di lor servizio. Allettamento adatto per attirare i giovani in folla, fuori di sé dalla gioia di potere in otto mesi sbarazzarsi dagli otto anni di servizio obbligatorio nell’ esercito attivo. Ma per ragione delle smilze finanze la parte pecuniaria svanì; in quanto all’altra, era mestieri che Francesco vincesse perchè sortisse l’effetto.
Allorché il Garibaldi evasi apparecchiato a partir per Palermo aveva trasmesso al generale Turr il comando delle schiere dell’esercito meridionale, già ragunate per essere disposte come antiguardo e concentrate nel distretto di Caserta contro la linea del Volturno. Otto in nove mila uomini potevano essere riunite in tre o quattro giorni a Caserta, e il di 11 settembre cominciarono a muovere le brigate giunte in Napoli, nonché la brigata Milano che perveniva a Mola dalla spedizione d’ Ariano (2).
Il di 15 settembre ebbero principio le avvisaglie sulla linea del Volturno. Le brigate Eber e La Masa, di circa tre mila uomini insieme, erano a S. Maria; gli estremi posti ulteriormente a S. Agostino sulla linea della fornace. Una gran guardia della legione ungherese veniva assalita in quella mattina da una schiera di cavalleria napoletana che fU respinta. Entrarono allora in linea lo fanterie, e si mosse lor contro il battaglione de’carabinieri della brigata Eber, e un battaglione del reggimento Corrao della brigata La Masa. Dopo un lieve combattimento i feritori assalirono colle baionette i Napoletani e respingendoli sino alla spianata della fortezza ponevan fine a cotesta prima scaramuccia. La brigata Sacchi, rafforzata dal battaglione Ferracini e dalla compagnia del genio milanese della brigata Poppi , era a S. Leucio. Volendosi acquistare terreno per volteggiare in seguito e stringere i Borbonici nella fortezza, conducevansi innanzi il di 16 quegli ultimi due corpi sino al Volturno per via di Gradillo,comandati dal tenente-colonnello Winkler. Approssimandosi al fiume, i Napoletani li molestavano vivissimamente dalla riva destra. I garibaldini, ignari della località, né scorgendo il fiume quivi molto incassato, vollero assalirli colle baionette. Dietro questa mostra i regii , che pur sapevansi spartiti da essi, si diedero a vergognosa fuga.
II Garibaldi aveva date le necessarie istruzioni per una impresa di molto conto che doveva essere effettuata il 19, e che aveva un doppio scopo, cioè di occupare Cajazzo affine di farne un perno per opere decisive sulla destra del Volturno ; poi sapendosi che i Napoletani volevano il di di S. Gennaro assalire i posti avanzati de’garibaldini, così si volevano prevenire. Laonde fino dal di 16 il generale Turr spedito aveva a Maddaloni il maggiore Csudafy con 300 uomini, affinchè da quivi s’inoltrasse sulla destra del Volturno sino ai monti di Vairano e Marzanello, passando per Ducenta, Solopaca e Piedimonte. Egli aveva ordine altresi di rafforzarsi coi volontarii del paese, e d’inquietare i nemici da tergo. Con quella spedizione egli assicurava altresi la importante linea di Maddaloni per Ducenta. Alla Divisione Medici era commesso d’impadronirsi di Cajazzo, e di condurre in generale la occupazione della destra del Volturno; ma poichè non era giunto ancora il battaglione de’ cacciatori bolognesi, comandati dal maggior Cattabene, così ebbe ad inoltrarsi da sola contro Cajazzo. Per divergere l’attenzione del nemico da quel lato e prevenire una mossa de’regii da Capua , dovevansi in quel di stesso eseguire diversi attacchi su parecchi luoghi della sponda destra. Al qual uopo, lo stesso Túrr colla brigata Sacchi, il battaglione Ferracini e parte della compagnia del genio di Milano, in tutto 1700 uomini, e due de’cannoni presi in Ariano, doveva inoltrarsi da S. Leucio al Volturno. Ciò che rimaneva d’uomini, davasi al comando del colonnello brigadiere Rústow, nominato il 16 capo dello Stato Maggiore generale dell’avanguardia.
(1) Ecco il prospetto delle forze dell’esercito borbonico.
Col movimento 60,380 uomini.
Col re fra Capua e Gaeta:
Due reggimenti di granatieri 4674
Cacciatori della Guardia . 2337
Dieci battaglioni di Cacciatori di linea 11600
Due reggimenti ussari della Guardia 1500
Due reggimenti di Dragoni 2500
Artiglieria 1100
Totale uomini 23711
(2) Giova qui dare uno sguardo strategico ai luoghi dove i due eserciti stavano per appiccare battaglia.
Prenderemo, dice il Rústow, come punto centrale la fortezza di Capua. Il Volturno, fiume tortuoso meritevole del nome che gli è dato, si scarica in mare a circa 20 chilometri inferiormente a Capua in vicinanza di Caslel Volturno; in questa inferior parte del suo corso ei si dirige da levante a ponente, e del pari quasi per altrettanto superiormente a Capua. Partendosi dalla Scafa del Torello sempre superiolmente fino all’imboccatura del torrente Titerno, suo influente, scorre da tramontana a mezzodì; al di sopra di codesto punto la generale direzione del suo corso superiore é da greco a scirocco. A noi non giova occuparci senonchè del corso inferiore del fiume, cioè da Scafa del Torello sino a Castel Volturno, e più specialmente del paese di Capua.
In cotesto spazio il Volturno è quasi dovunque profondamente incassato, quantunque non manchino luoghi dove i pendii delle vallate di entrambe le sponde si scostino assai l’un dall’altro, e dove il letto del fiume sia per conseguente talvolta in luogo piatto. La sua larghezza oltrepassa di rado i dugento piedi, e ne’luoghi dov’essa è maggiore, ne’caldi estivi rinvengosi altresì parecchi guadi; i quali però non possono tornar utili che mercè guide paesane, nè debbono essere attraversati che a drappelli a cagione della mobile natura del fondo del fiume. Dalla Scala del Torello in basso fino a Capua, i passi usuali sono o guadi o chiatte. Sonvi le chiatte di Limatola, di Cajazzo, di Formicola e di Trilisco. Quest’ultimo passo è più di tre chilometri dal ponte di legno di Capua. La distanza che separa gli altri tra loro varia da un chilometro e mezzo ai quattro e mezzo.
Il Volturno, là dove è Capua, descrive la curva più rimarchevole. D’un tratto ei volge da scirocco a maestro, e mantiensi in quella direzione per circa 2200 passi, poi fa una breve giravolta da greco a scirocco per la lunghezza di 1100 passi, per riprendere la direzione di greco a scirocco, ch’egli conserva per una certa lunghezza dopo essere uscito dalle opere di Capua; al qual punto di uscita è situato a 1100 passi circa dall’ultima giravolta. Cotesta curva racchiude una penisola, aperta dal lato di scirocco, appena larga 300 passi. La città di Capua situata interamegte sulla sinistra riva, occupa cotesta penisola e stendesi inoltre dal lato di mezzodì; di modo che la parte del suo recinto fortificato che non ha il Volturno per fossa e che fronteggia il mezzodì, stendesi per una lunghezza di circa 2 mila passi dalla prima giravolta che esso fa per raggiungere il punto indicato più sopra: in quest’ultimo luogo accosto il fiume sorge la cittadella, opera quadrilatera, regolare ma di piccole dimensioni, rafforzata però da fuori con lunette avanzate. La difesa della piazza, dalla cittadella al Volturno, è composta di quattro fronti bastionate, alquanto irregolari; le fortificazioni di Capua, erette dal Vauban, sono state ristaurate e migliorate sotto il regno di Ferdinando II, ma hanno sempre l’impronta delle opere costruite dal celebre ingegnere francese. La parte della città situata nella penisola non si prolunga fino alla sua estremità, ma ne è discosto 300 passi. Una fronte bastionata taglia la penisola in cotesto luogo, e va a raggiungere lungo il fiume la parte del recinto già descritto ai due punti in cui esso abbandona il Volturno per raggiungerlo con due linee di difesa egualmente bastionate, ma ordinate secondo la configurazione del suolo. Come scorgesi , è il fiume stesso che nella maggior parte dello sviluppo di questo recinto, forma la eccellente fossa di quelle opere: le sue acque riempiono inoltre la parte della fronte volta a mezzodì, la quale tocca al Volturno dal lato di ponente
La sola opera permanente situata sulla destra riva, è una semplice testa di ponte di terra in forma di freccia, che ha un ridotto consimile nella penisola sulla riva sinistra esteriormente alle fortificazioni del corpo della piazza. II ponte è situalo all’ultima giravolta del Volturno, prima di riprendere la sua direzione generale verso libeccio. Il prin¬cipale egresso sulla riva sinistra è la porta di Napoli, fatta a un dipresso in mezzo alla fronte non coperta dal Vol¬turno. Questa uscita è costruita come in tutte le fortezza alla Vauban; dalla porta propriamente della, aperta attra¬verso alla cortina tra due bastioni, giungevi al ponte che sbocca alla mezzaluna, poi da questa si passa ad un secondo ponte che fa capo ad una via coperta, e finalmente si giunge prima sulla spianata per un declivio chiuso da una barriera, poscia alla strada di Caserta o meglio alla stazione della ferrovia, che sorge a soli cento cinquanta passi dalla via coperta. Un’altra porta, quella delle sortite, attraversa la fossa, ed è ugualmente sulla medesima fronte nel luogo dove essa raggiunge il Volturno a ponente: essa é principalmente servibile per mandare la cavalleria sulla spianata o ritirarla in città. Dal ponte sul Volturno e per la testa di ponte della quale abbiamo parlato, si varca sulla sponda destra, ove si trova la strada di Gaeta e di Roma. La piazza è sguernita di opere avanzate permanenti; vi era bensì stata incominciata, con vaste proporzioni, una seconda testa di ponte sulla riva destra del Volturno, a maestro della penisola, e a tergo di cotest’opera era riunito nulla riva tulio il materiale di un ponte che poteva esser fatto non appena sa ne avesse il bisogno. La spianata, chiamata campo d’istruzione, lungo la fronte meridionale ha una larghezza media di {200 passi ; sulla parte orientale alcuni edifizii sono più prossimi alla fortezza. La piazza era profusamente armala, sessanta cannoni erano in batteria sulla sula fronte meridionale, e in lutti gli altri hsoghi 1′ armamento era in pro¬porzione di celesta cifra.
La ferrovia da Capua a Napoli, uscendo dalla città volge da maestro a scirocco, e non è che partendosi da Caserta ch’essa piega direttamente a mezzodì per raggiungere la capitale. Nella parte che più c’interessa pei fatti presenti scorre in vicinanza di tre importanti enti, Santa Maria, poi Caserta e per ultimo Maddaloni. Queste rimangono fuori della ferrovia, le due prime dal lato settentrionale, la terza dall’orientale: la loro posizione é la stessa relativamente alle eccellenti strade che le uniscono. La piazza rotonda del mercato di Santa Maria è circa a tre chilometri e merw dal ponte di Capua; la grande facciata del paiano di Caserta ne è poco oltre a nove; il centro di Madilaloni intorno a quattordici.
E qui giova, a maggiore intelligenza e a scanso di noia ne’ racconti ulteriori, di esaminare l’insieme delle diverse strade di comunicazione specialmente dalla parte del Volturno. Prenderemo Maddaloni come punto di partenza. Da questa città una breve strada quasi dritta, mena a Benevento da un lato, e dall’altro ad Avellino, attraversando le Forche caudine ed il villaggio di Forchia. Nello stesso paese un altro passo poco lungi da guelfo, essere doveva il luogo di una diafana sanguinosa delle schiere napoletane, come già fu l’ altro in antico dei Romani, ed è la gola di Valle. Da Maddaloni intatti una seconda strada mena a selleadrione, quantunque pieghi alquanto a levarlo dinanzi Villa Gnaltieri, e passa sotto ad un gigantesco acquedotto, che conduce dalle colline del Taburno al parco di Caserta le acque della famosa cascata, costosa fantasia de’ Borboni. Oltrepassato l’acquedotto, questa strada è serrata trai ver¬santi meridionali di un’altura bastevolmente considerevole del monte Longano e del monte Pancaro, che la separano dalla strada di Benevento, e le pendenze occidentali del monte Caro; tra queste eminenze è incastonalo Valle. Poco dopo questa uscita, la strada attraversa una valle assai larga, e dopo aver varcato il torrente Isdero, conduce a Da¬cesta poi a Solopaca. Quivi sovn un ponte di ferro varca il fiume Calore, che da oriente scorrendo a ponente giltaai nel Volturno, di cui è un influente. Un altro varco del Calore, prossimo alla sua imboccatura, conduce ad Amoroso passando vicino alla Scafa dei Torello.
Le colline del monte Caro stendonsi in due principali catene, e tre se vuotai tener conto dé loro eontratiorli egual¬mente volgenti da scirocco a maestro, con diramazioni verso greco dal lato di Limatola sino al Volturno. Coteate alture dividonsi in parecchi gruppi ed hanno differenti nomi. Oltre il monte Caro, evvi il monte Viro, Vagliola, Briano, sui Banchi del quale trovasi il castello e la colonia di S. Leucio; e ne indicheremo 1′ insieme col nome di Casetta Vecchia, attesochè le rovine di quella città sono presso a poco al centro di quella località. Le colline sono pienamente boschive e servono alle tacete reali; annoveriamo per esempio le foreste del monte Caro e il parco di S. Leucio sul monte Briano nella parte di maestro di coleslo gruppo di morali.
La principale comunicazione tra bladdaloni e Caserta è la strada ben fatta e ben tenuta che, passando per S. Cle¬mente, Centorano e in vicinanza degli alloggiamenti di falciano, conduce a quell’anima città; dal centro di Madda¬Ioni abili soldatesche giungono alla piazza del castello di Caserta in ore una e mezzo circa. Presso Cenlorano havvi il convento di Santa Lucia, posto in luogo elevato e simile a una cittadella ; dopo questo convento, per sentieri in parte disastrosi, si pub arrivare alle rovine di Caserta Vecchia, dove altresì si giunge dopo la strada di Valle, seguendo i sentieri di caccia sulla vetta delle colline, a traverso il monte Caro.
La strada principale che da Caserta mena al Volturno costeggia il recinto orientale dei parco reale, passa sotto l’acquedotto della grande cascata, e di colà piega quasi drittamente a settentrione, passando dinanzi al palazzo di S. lancio, tra il monte Briano ad oriente e il monte Tifala a ponente. Circa 2 mila passi prima di toccare al Voi¬turno, entra nel piano, dove si biforca vicino a Gradirlo; la strada di destra conduce alla Scafa di Cajazxo, e quella di sinistra alla Scora di Formicola. Un sentiero alpestre assai ardua conduce da Caserta a Limatola ed alla Scafa di Limatola per la cima delle colline di Caserta Vecchia. Questo sentiero si divide dalla strada innanzi descritta; là dove casa passa sotto l’acquedotto, gira dal lato orientale, attraverso le roccia ed i boschi di Poccianello, e prosegue nodo tàslel Morone, che è fabbricato sul contrafforte meridionale del monte Vagliola, per metter capo a Limatola. Questa ultima località ai congiunge inoltre, ad oriente de’luoghi incolti delle colline di Caserta Vecchia, tra Valle e Da¬cesta nella valle del(‘ Isdero, colla strada di Valle, e di colà con SanfAgala dé Golia settentrione del monte Longano nella direzione orientale. Salendo da Poocianello dalla parte di Limatola, si lascia a sinistra Caserta Vecchia e le scoscese colline, sulle più alte delle quali un’antica torre, o alcuni avanzi di muri porgono ali luogo di riposo, e alle quali è fabbricata cotesta città.
Da Caserta ai giunge a Santa Maria, non contando la ferrovia, per la vasta ed eccellente strada che lascia Casanova a destra, Cssapulla a sinistra, e che entra in Santa Maria dalla parte meridionale della città. Santa Maria, o Santa Maria di Capua, è l’antica Capua che fu si fatale ad Annibale. Vi,p r veggono ancora le famose rovine di quell’ann¬tealro nel quale s’istruivano i gladiatori di tutto il romao0 impero. il punto centrale, non geometricamente, ma ri¬guardo alla circolazione ed alle operazioni militari, è una piccola piazza di forma circolare, da dove staccassi quattro strade, una per Capua, l’altra per Sanl’ Angelo, la terza per la ferrovia, poi per S. Tammaro , l’ultima per Caserta. Quella di SanC Angelo continua quasi direttamente dal mezzodl a settentrione; buona strada, ben tenuta, ma stretta. Quantunque partisi a Santa Maria di una Porta Sant’ Angelo, non è che un modo di dire, giacché la città da quella parte è aperta. Coteata strada lascia l’anfiteatro a ainiatra, nonchè la fertile pianura di Terra di Lavoro, che di celA si stende verso mezzodì e ponente, intanlochè a destra, o ad oriente, sorgono le alture del monte Ti(ah. Vicino a SanCAngelo (Sant’Angrlo in Formis), che b sul pendio di cotesto monte, la strada s’avvicina assai presso al Volturno, poi volge ad oriente e scende finalmente dal lato della Scafa di Formicola, incrociandosi coll’altra che giunge alla Scala di Gradino e di S. Leucio. Le alture del monte Tifato formano una catena da scirocco a maestro con alti e scoscesi fianchi di roccia, i quali più in basso si molano in pendenze sempre più dolci e più produttive, specialmente dal lato occidentale, dove insensibilmente vanno a finire nella coltivata pianura di Terra di Lavoro. La satana del monte ‘(‘italo è iulierarocnle circondala alle sue falde da strade; e sono, ad oriente la strada di S. Leucio a Gradino; a po¬nente quella di Santa Maria a Sant’Angelo; a settentrione il prolungamento di quasi’ ultima sino alla Scafa di Fw¬mieola lungo il Volturno; finalmente a mezzodi la strada maestra di Caserta a Santa Maria. Sul versante aellealrio¬nate del monte Tifala, di fronte alla Scafa di Formicola, è il vesto bosco di S. Vita
La strada di Santa Maria a Capua, magnifica e ben custodita, va quasi drittamente da scirocco verso maestro; pren¬desi questa uscendo da Santa Maria dalle due vGlte della porta di Capua, rimarchevole monumento antico, alla sinistra del quale si appoggiano muri che possono essere accomodati per la difesa; mentre a destra, nella direzione dell’anG¬tealro, trovasi una fossa dalla quale si può ugualmente cavare partito.
La strada di Santa Maria a Capua è scavala in diverse località; di modo che non è facile cosa di giungere, di colà, a destra o a sinistra sul terreno che la costeggia; essa scorre da primo presso alla chiesa ed al cimitero di S. Ago¬stino lasciandolo a sinistra, poi presso una fornace di mattoni (a destra), poscia tra un vasto convento di cappuc¬cini (a sinistra) e l’osteria V tritasti (a destra). Oltre a quel luogo non trovansi più che alcune masserie, nelle cui co¬struzioni è adoperato poco materiale da fabbrica, e capanne di raion valore, talune a destra ed altre a sinistra. Mentre fino colà da ambo i lati della strada la campagna è coperta di alberi, ora piantati fitti ora radi, ma íb media a una dozzina di passi l’uno dall’altro, di guisa che non rìnvengonsi se non che pochi tratti scoperti, queste piantagioni cessano improvvisamente a {ti00 passi dalla stazione di Capua, e si entra nella spianala della fortezza, sulla quab a destra sorge la cappella di S. Lazzaro. In coteslo luogo staccasi dalla strada principale un sentiero che mena a San¬t’Angalo ed a Scafa di Formicola. La ferrovia, che all’altezza della porta di Capua in Santa Maria rimane un migliaio di passi a sinistra della strada, alla stazione di Capua se le avvicina circa a 700 metri, e corre poscia parallela cos essa. In tutto cotesto paese [fin quasi sotto Capua, la ferrovia è posta in un’alta ghiaiata; riè trovasi al livello del terreno se non oltrepassalo il convento de ‘Cappuccini. Precisamente al luogo in cui la ferrovia s’ approssima ioten¬mente alla strada, nasce altra strada che per S. Tammaro e Averla conduce in Napoli. $ questa la più corta via di comunicazione tra Capua e la capitale. Tra S. Tammaro ed Averla, attraversa il canale profondamente scavato nel suolo, dei Regia Lagni, che può fornire una buonissima linea di difesa. Un’altra strada che mena pure da Capua ad Averla, volge da primo verso la Foresta a ponente, poi al mezzodi attraversa la foresta ed il castello di Carditello; passa quindi pe’ Regii Lagni e raggiunge la strada precedente poco distante ad Averla dal lato settentrionale¬
La strada di Capua per Santa Maria, Caserta, Maddaloni a Noia, può essere considerata come il limite a libeccio del territorio montagnoso sulla sinistra riva del Volturno; al mezzodi e ad occidente di questa linea di demareaaione tutto è piano. Ora, beochè i garibaldini non fossero, per difetto di artiglieria e di cavalleria, per nulla esclusi dal potere approfittare del terreno piano, allcsochè questo è assai coperto e impedito, é facile intendere che dovevano preferire po’ loro siti, e pel terreno delle loro imprese la vicinanza de’ monti. Ma siccome la più breve linea di opo¬razione da Capua per Napoli, in caso che i Napoletani avessero ripresa l’offensiva, passa precisamente per la pianura e per meridio¬nale • intanto ché i garibaldini stavano a greco sulla più lunga, risulta che le posizioni dell’esercito nate erano posizioni di fianco relativamente alla prima di queste due linee. Averla soltanto costituiva per essa un punta
importante di osservazione; e difallo spalleggiati da questa città, si poteva con una schiera ai Regii Lagni ritardare la marcia dell’inimico, in caso che riprendesse l’offensiva da quella parte verso Napoli, -fino a che il grosso dell’aer¬cito avesse tempo di accorrere dalle alture dé•5anla Maria e di Caserta.
S. Tammaro è situato poco meno di tre chilometri a libeccio di Santa Maria, e congiungesi a questa citai con due strade parallele strette ma in buono alalo. Un sentiero conduce direttamente alla Foresta, e un altro pare vi mette capo girando al mezzodi pel castello di Cardilello.
Tutte le mosse offensive de’ garibaldini dovevano necessariamente cominciare da un passaggio sulla destra riva dei Volturno o sopra o sotto Capua: diamo dunque uno sguardo alla oonGguraziooe di cotesto fiume. Ik qual tao Pw«tono da Capua due strade, una verso oriente, l’altra verso settentrione. Quella orientale attraversa dapprima una valla pianura, si ravvicina al Volturno alla Scafa di TriGisco, e continua sino alla Stata di Formicola rinserrala alla riva del fiume dalle colline di Gerusalemme , conlraRorli del monte Pioppitella ; in coleslo luogo se ne allontana nuova¬mente fino a 3 mila piedi, e monta lungo le coste delle colline di Piana fino alla città di Cajazzo, situata sulla loro sommità circa a tb chilometri da Capua. A poco più di un chilometro salto Cajazzo questa strada s’incrocia coll’al¬tra che vien da Gradino sulla sponda sinistra e varca il fiume alla Scafa di Cajazzo. Da un’altra parte, vicino alla Scala di Formicola, staccasi un’altra strada che mena ad oriente del monte Pioppitella nella valle del torrente di Triglia, influente del Volturno, attraversando prima la pianura delle fagianaie reali per metter capo al villaggio di Formicola in cima alla valle dello stesso nome, discosto dalla Scafa e dal Volturno circa 8 chilometri. Parallela alla strada di Formicola parte da Cajazzo la strada d’Alite, che sprofonda dal lato selleolrionale, dall’alto delle male di Cajazzo, in una valle laterale a quella del Yu[turno, la segue sino alla sua ealremita, varca il fiume là dove ei corro da ponente ad oriente, e giunge ad Alite, situala sulla sponda sinistra alquanto discosto dalla riva; dopo coleslo luogo la strada volge verso ponente, varca una seconda volta il Volturno, passa alle falde delle alture di Vairano e btarzanello, e raggiunge in vicinanza di Gajanetla la strada maestra di Venalo. Innanzi ch’essa giunga al Volturno, da coleslo strada di Gajaazo ad Alife ai parte una strada che mena a Baja dal tale di occidente.
Partendo da Capua, la seconda strada principale sulla -riva destra, volgente verso settentrione, è quella di Venafro sino a Calvi, dieci chilometri e mezzo da Capua. Casa piega alquanto verso occidente, ma pascia al di là di quella piccola città va driflameote a settentrione. Vicino a Capua essa attraversa un paese piano, lasciando a destra, a circa i chilometri, le alture di Gerusalemme, intantochè da sinistra la pianura slendesi fino al mare. Ma tra non mollo le alture del monte Pioppitella se le avvicinano maggiormente, e tra Li Mattini e Calvi essa è incassata tra le colline di SParanise a sinistra e la catena del Pizzo S. Salvatore a destra; dopo catasta località, da sinistra e quasi sempre fiancheggiata dalle colline che separano il bacino del Garigliano da quello del Volturno, mentreehé a destra oltre il Vairano ed il Marzanello, ha la pianura de! Volturno. Da Venafro essa mena ad Isernia.
Le alture di Piana, sulle cui roccia sorge Cajazzo, alla loro estremità orientale, saura una stretta catena che va da occidente ad oriente, formano il limite settentrionale della tagianaia reale, che scorgesi in lolla la sua estensione, dove la permette la radezza degli alberi, dalle eminenze di Gradillo e del parco di S. Leucio sulla opposta sponda del Voi¬turno. La catena del Pizzo S. Salvatore, più alla delle precedenti, è a 6 chilometri più a settentrione, e va ugual¬mente da occidente ad oriente; la sua estremità occidentale è press’a poco allo stesso meridiano dell’estremità occi¬dentale della catena di Piana. Una terza, che fiancheggia la strada di Baia, si stende da monte Scopello nella direzione da scirocco a maestro, fino al monte Pozzillo ed al Pizzo del Monaco. La sua estremità a scirocco, monte Scopello, è allo stesso grado di latitudine della catena del Pizzo S. Salvatore; il breve spazio che separa i loro ultimi conlrat¬forli dalla parte orientale è coperto dall’Era, sagliente occidentale del monte Prololoro. Le due catene di Pizzo S. Sal¬vatore e di Baja formano insieme un U o un ferro di cavallo aperto a maestro, inchiudendo la valle di Santa Croce. Lo spazio tra il ferro di cavallo e la catena di Piana è ripieno di eminenze poco alte, boschive; altra volta servivano alle caccia reali ; alea sono chiuse, ad occidente, dal monte Firato, che chiude in pari tempo la valle di Formicola dal lato orientale, mentrechè questa b chiusa ad occidente dalla catena di Pioppitella, che si stacca verso il’mezxodi da quella di Pizzo S. Salvatore. II villaggio di Formicola è situato alla falda meridionale di queal’ultimo monte, e tosi la valle é serrata da tre parli da colline ed aperta soltanto dalla parte meridionale verso il Volturno.
Irrorai di toglierci dal paese situato ad oriente della strada di Venato, sono da menzionare ancora due strade importarli: la prima conduce da Alite a Piedimonte, situato alle falde dei monti del Malese, che ud limito tra la Terra di Lavoro e la provincia di Molise a Monlemilello si elevano sino 6400 piedi ; da Piedimonte la strada volge a scirocco, da un lato verso Solopaca, dall’altro verso Benevento; e già abbiamo parlato di quella che mena da Solopaca a Maddaloni per Ducenta e Valle. La seconda strada chedvogliamo accennare, partendo dalla Scala di For¬micola, lungo il versante occidentale dal monte Pioppitella stiravano le pendici di questo, giunge per Bellona, Vi¬aolaccio, Pasturano, Partignano e Pigoalaro al villaggio di Calvi. Dal Volturno sino a Pignalaro calcata strada è quasi continuamente incassata fino alla profondità di 7 a 10 piedi, e qualche volta anche più; di modo che una colonna vi può marciare senza esporsi ad essere nullamenle scoperta da lungi; per contrario sarebbe assai facile ad un vlgilagla avversaria d’annichilarvi una colonna infognatasi in quel modo, alteeochè non rinvengonsi che pochi luoghi da dove si possa uscire da quella strada profonda. Quest’ è d’altronde up carattere proprio di tutte le strada tracciate a traverso la parte montuosa di quelle contrade, dove se ne trovano per lunghissimi tratti profondamente ineasaak.
Dopo di avere dato uno sguardo al fiume dal lato orientale della strada di Venafro, guardiamo al suo lato occi¬dentale. A 6 chilometri appena dal ponte di Capua s’imbocca la strada di Roma, che dapprima é vòlta verso mae¬stro e poscia direttamente ad occidevle; essa scorre a mezzodì delle colline di Sparanise, che dalla strada si prolungavo sino a Calvi ; poscia tra Convola e Sessa è stretta a settentrione dalle alture della catena di Santa Croce, che empiono lo spazio tra il Garigliano e la strada di Venatro, e al mezzodi dal monte delle Brecciole. Vicino a Scesa ente velia valle del Garigliano, varca cotesto fiume, raggiunge Mola di Gaeta, dove sì biforca per condurre, a memodi alla for¬tezza di Gaeta, e a libeccio a Roma passando per Fondi e Terracina.
A settentrione di Calvi, vicino all’osteria della Ton•icella, un’altra vivila parallela a quella di cui abbiamo parlati si separa dalla strada di Venatro e conduce a Teano sui monti di Santa Croce. Teano si ricongiunge di nuovo con quella strada per mezzo di un’altra che la va a raggiungere più a settentrione inferiormente alle alture di Vainoo e Marzanello, vicino all’osteria della Catena. In questo medesimo luogo s’imbocca la strada che conduce a Roma Per S. Germano e Frosinone.
Per ultimo ci rimane a indicare una strada ohe si separa da quella di Roma innanzi che questa raggiunga le Il’ ture di Sparanise, e che, a traverso la pianura, mena a libeccio verso la riva del mare a Mondragone; di colà raro sulla sinistra del Volturno a Cancello, tocca Arnone, poscia i Regii Lagni vicino a Torre del Monaco, passa a circa 7 chilometri a ponente di Aversi, e giunge direttamente a Napoli. Le soldatesche regie, se non avesser mancalo di risolutezza per qual si fosse audace impresa, potevano operare altresì su questa linea contro Napoli, e non é da cre¬derai che ciò non fosse stato cosa fastidiosa per l’esercito meridionale, il quale da un lato doveva col grosso delle sue gemi star sulle alture e nelle immediate loro vicinanze pel motivo indicato, e che d’altronde non poteva molto dukndars< con Monde m causa della sua debolezza numerica.
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Ricerche effettuate dal Prof.Renato Rinaldi
fonte pontelandolfonews.it