La dottrina del bene comune in S. Tommaso d’Aquino, una filosofia
L’abbazia di Fossanova è uno dei più insigni monumenti italiani. La si fa risalire a Federico I, nel 1187, consacrata nel 1208. La fama dell’abbazia è legata, oltre che alla sua architettura gotica, al teologo e filosofo S. Tommaso d’Aquino, che vi morì, dicesi di veleno fattogli propinare dal re di Napoli, Carlo I d’Angiò. Il Dottore della Chiesa, in viaggio per Lione, per il Concilio, inviatovi dal papa, giunse nell’abbazia nel febbraio del 1274, proveniente dal castello di Maenza, dove si era fermato presso la contessa di Ceccano, Francesca, figlia di suo fratello Filippo, sofferente ed affaticato dal male.
Nella foresteria dell’abbazia, da ammirare la cella dell’aquinate, che fu trasformata, nel Seicento, in cappella, sul cui altare barocco si trova un grande bassorilievo berniniano, che rappresenta S. Tommaso d’Aquino nel suo letto di morte, nell’atto di commentare un testo sacro.
Una lastra del pavimento del tempio reca ancora impresse alcune impronte ed una scritta ammonitrice: “Pedate del mulo di S. Tommaso d’Aquino”.
Il parigino Jean-Jacques Bouchard, abate e dottore in “utroque”, visitò, nel Seicento, Priverno e la chiesa di S. Tommaso, ammirando il cenotàfio innalzato in onore del santo (1225-1274), uno dei più brillanti rappresentanti della “Scolastica”, grande movimento, tipicamente medioevale. Il cenotàfio conteneva, come reliquia, un frammento della vera tomba, ma sul quale S. Tommaso d’Aquino era rappresentato “come un bambino in fasce, con un sole d’oro sul petto e un’aquila al di sotto della tomba”. Il Bouchard si fece condurre, attraverso una foresta di querce molto ben coltivata, posta presso il rosso castello di S. Martino, a Fossanova, nell’abbazia gotico-cistercense, un miracolo dell’architettura, costruita secondo i dettami di San Bernardo, un luogo intemporale, ma molto suggestivo, un edificio in perfetto stile borgognone sotto il cielo italiano, in cui si può cogliere un’essenzialità nordica, un ascesi portentosa, un’apoteosi tangibile della spiritualità dei monaci. Egli dovette prestare attenzione alle fattorie, le “grance”, edifici che oggi scompaiono, che, però, nel XII e XIII secolo, nei loro limiti medioevali, costituivano delle aziende economiche valide, perché lo spazio agrario era pianificato e sfruttato razionalmente dai cistercensi.
Nella navata mediana, in corrispondenza della settima campata, si vedono due orme di mula impresse sul pavimento di marmo bianco, con l’iscrizione “pedate del mulo di S. Tommaso d’Aquino”. Come riporta il già citato Jean-Jacques Bouchard, “il monaco disse ad Oreste che quando si facevano i funerali di S. Tommaso d’Aquino la sua mula scappò dalla stalla e venne in chiesa fino a quel luogo, dove, avendo fatto un gran salto, impresse sul marmo con le zampe posteriori queste vestigia che durano fino ad oggi, e sono incavate perlomeno un dito avanti nella pietra. A lato dell’altare maggiore e sotto un altare la vera tomba di S. Tommaso, che è una scultura di marmo bianca all’antica: essa è rotta ad un angolo ed è questo pezzo che è a Piperno.”
Il domenicano Tommaso, che insegnò teologia in molte università europee, tra cui Colonia, dove elaborò appunto la sua celebre teoria della “guerra giusta”, è da considerarsi il maggior filosofo cattolico, che, durante buona parte della sua vita, ha dedicato tutte le sue energie alla predicazione, alla riflessione e alla scrittura, percorrendo migliaia di chilometri a piedi, per andare dove erano richiesti i suoi talenti di predicatore e di studioso. Di certo doveva trattarsi di sovraumane energie, se si pensa che, in meno di cinquant’anni di esistenza e senza word processor, questo meridionale di origine normanna, gloria di Roccasecca, dove gli è stata eretta una statua alta nove metri, è riuscito a scrivere più di otto milioni e mezzo di parole, molte delle quali di ottima filosofia e teologia, il cui pensiero è stato assunto come pensiero ufficiale dell’Ordine domenicano, ritenuto corrispondere, in maniera esatta e perfetta, a “la struttura fondamentale della realtà”.
Dante Alighieri volle, in assoluto rispetto, il “Doctor Angelicus”, forse la testa pensante più importante dell’intera storia umana, nel quarto cielo del sole. La Fede solida del suo secolo permise a Tommaso di andare senza dubbio molto lontano. La grande angoscia che tormentava gli spiriti superiori dei filosofi, del destino e della felicità, aveva sollevato enormi problemi di comprensione e di interpretazione. Tommaso d’Aquino pretende che la sola conoscenza razionale può liberarcene, con la promessa di una vita al di là della morte… In una parola, il filosofo e santo roccaseccano afferma che una risposta puramente razionalista può essere loro apportata.
Possibile dire che le tesi teologico-politiche del “Doctor Angelicus”, oltre che originali, sono tuttora attuali nei suoi presupposti e nelle sue conclusioni. Esse, facendo leva sul concetto del rispetto della libertà e della dignità umana, rappresentano, come sostenne padre Raimondo Spiazzi, oltre trent’anni fa, nel libro “San Tommaso d’Aquino”. per le edizioni Nardini, “un pilastro fondamentale dell’antropologia di San Tommaso, e, in particolare, della sua dottrina sociale”, sempre tesa, quest’ultima, verso il bene comune, che è il motivo centrale della dottrina tomistica della società, per il semplice motivo che il “Bene vivere” significa, per il grande Maestro, vivere secondo virtù.
Da quest’opera emerge, sulla base di una narrazione documentata della sua esistenza, tutta la personalità di Tommaso, tutta la sua statura d’uomo; “uomo superiore, signore di razza, fine e vigoroso nell’intelligenza, profondamente buono di animo (“il buon fra Tommaso” lo definisce Dante), cordiale nel tratto, umanissimo nella conversazione, delicato e gentile nei rapporti con gli altri, lineare nel pensiero, inflessibile nel rigore logico ma superiore sempre al gioco delle astrazioni e delle schermaglie dialettiche, serenamente pacifico nel possesso e nella asserzione della verità. Si direbbe che quella sua personalità, storicamente lontana, agisce in noi mediante la sua opera, in cui ha impresso il segno di sè e in cui perennemente rivive a contatto con ogni intelligenza capace di aprirsi al dialogo”.
Lungi dall’essere una forma di discorso fra gli altri. il tomismo è ritrenuto corrispondere, in maniera esatta e perfetta, a “la struttura fondamentale della realtà”.
Nella “Summa contra Gentiles”, la seconda, grande “Summa”, S. Toimmaso d’Aquino (1225-1274) confuta gli “errori” dei “gentili”-ebrei, musulmani, pagani ed eretici di ogni risma e dà alla fede l’occasione di approfondire l’intelligenza che essa ha di se stessa, con, come centro di gravità, una discussione appassionata con i filosofi ebraici ed arabi, che fa di questa “Summa” una grande festa del pensiero.
Il bravo Tommaso d’Aquino insegnò teologia in molte università europee, tra cui Colonia, dove elaborò appunto la sua celebre teoria della “guerra giusta”. Essa si infischiava del suo insegnamento, secondo il quale la ricerca della pace divina giustifica tutte le crociate, dal momento che “il Diavolo è Dio tale che gli esseri perversi lo comprendono a torto…”.
In senso etimologico, il discorso in difesa, l’arringa dell’avvocato, l’ “apologos” in greco, via l’ “apologia” in latino ecclesiastico, penetra in francese alla fine del XV secolo con le prime brezze dell’umanesimo rinascente. Ed è così che l’Apologia, l’apologetica, designa correntemente, dal XVII secolo, ogni opera, ogni studio consacrato alla difesa della religione cristiana.
Dite “Apologia”, ma che, in questo vertice della cristianità latina, può ben minacciare la religione cristiana, i pagani respinti in “tundre” e in “taighe”, gli ebrei, il cui statuto si degrada dalle crociate (XII secolo), e i musulmani…ma si incrocia il ferro.
I Padri greci e latini e i concili fondatori hanno insegnato a dialogare con, semplifichiamo, la moneta di Platone.
Aristotele, l’allievo del maestro, era passato di moda. E il giudaismo alessandrino, nella linea della traduzione dei Settanta (la Bibbia in greco), con il filosofo ebreo Filone d’Alessandria, esponente del sincretismo filosofico-religioso, aveva aperto la via alla teologia cristiana. Poiché non si legge più il greco ad Ovest, si è tributari di S. Agostino, vescovo di Ippona, l’attuale Bona in Algeria, e del filosofo neoplatonico Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, autore del celebre libro “De consolatione Philosophiae”, ricordato da Dante Alighieri nel canto X del “Paradiso” (vv. 124-129).
L’apice autentico, un momento smarrito, del pensiero antico sotto la sua forma enciclopedica, almeno per tutto il tempo del divino Platone e dei neoplatonici, non è Aristotele, quel singolare plurale?
Il procedimento di S. Tommaso d’Aquino non va senza rischio. La Fede solida del suo secolo gli permise di andare senza dubbio troppo lontano. La grande angoscia che tormentava gli spiriti superiori dei filosofi, del destino e della felicità aveva sollevato enormi problemi di comprensione e di interpretazione. Tommaso d’Aquino pretende che la sola conoscenza razionale può liberarcene, con la promessa di una vita al di là della morte…In una parola, il filosofo e santo roccaseccano afferma che una risposta puramente razionalista può essere loro apportata.
Possiamo dire che le tesi teologico-politiche del “Doctor Angelicus”, oltre che originali, sono tuttora attuali nei suoi presupposti e nelle sue conclusioni. Esse, facendo leva sul concetto del rispetto della libertà e della dignità umana, rappresentano, come sostenne padre Raimondo Spiazzi, oltre trent’anni fa, nel libro “San Tommaso d’Aquino”, per le edizioni Nardini, “un pilastro fondamentale dell’antropologia di San Tommaso, e, in particolare, della sua dottrina sociale”, sempre tesa, quest’ultima, verso il bene comune, che è il motivo centrale della dottrina tomistica della società, per il semplice motivo che il “Bene vivere” significa, per il grande Maestro, vivere secondo virtù.
Da quest’opera emerge, sulla base di una narrazione documentata della sua esistenza, tutta la personalità di Tommaso, tutta la sua statura d’uomo; “uomo superiore, signore di razza, fine e vigoroso nell’intelligenza, profondamente buono di animo ( “il buon fra Tommaso” lo definisce Dante), cordiale nel tratto, umanissimo nella conversazione, delicato e gentile nei rapporti con gli altri, lineare nel pensiero, inflessibile nel rigore logico ma superiore sempre al gioco delle astrazioni e delle schermaglie dialettiche, serenamente pacifico nel possesso e nella asserzione della verità. Si direbbe che quella sua personalità, storicamente lontana, agisce in noi mediante la sua opera, in cui ha impresso il segno di sè e in cui perennemente rivive a contatto con ogni intelligenza capace di aprirsi al dialogo”.
Accessibile ed umano anche dinanzi al dolore: “Era straordinariamente sensibile al dolore, e perciò si turbava per una minima lesione organica”, asserisce Guglielmo di Tocco.
Concludiamo col dire che in S. Tommaso d’Aquino il messaggio cristiano trova in Dio il punto più alto di ogni realizzazione autenticamente umana. Questo è il senso più profondo della dottrina tomistica. Tale la lezione, tramite cui dovranno passare tutti coloro che vogliano cimentarsi con le problematiche sociali e politiche di ispirazione cristiano-cattolica.