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La medicina omeopatica nel Regno delle Due Sicilie

Posted by on Feb 27, 2017

La medicina omeopatica nel Regno delle Due Sicilie

 I primi veri studi clinici sull’omeopatia – termine composto dai vocaboli greci ómoios (simile) e pàthos (malattia) – furono condotti precocemente ed, alquanto sorprendentemente, alcuni di essi ebbero luogo in Italia. Infatti, la medicina omeopatica fu introdotta per la prima volta a Napoli nel 1821, soprattutto grazie agli studi ed all’opera del dottor Francesco Romani (abruzzese, nato il 24 settembre 1769 a Vasto d’Aimone, in provincia di Chieti e morto a Napoli il 24 novembre 1852), medico di Corte del re Ferdinando I di Borbone (1751-1825). Questo fatto è annoverato fra i moltissimi primati (se ne contano più di cento) raggiunti nel Regno delle Due Sicilie durante il governo borbonico (1734-1860).

L’omeopatia è una medicina naturale che basa la sua azione su due principi fondamentali: la similitudine e le dosi infinitesimali; i rimedi, in essa più frequentemente utilizzati, provengono dai tre regni della natura: animale, vegetale e minerale. Il fondatore dell’omeopatia Samuel Hahnemann (1755-1843), nell’esercitare la professione di farmacista e medico, verso la fine del settecento, fece un’osservazione importante: eseguendo studi sull’uso della corteccia di china per le febbri malariche, scoprì che l’intossicazione o le controindicazioni da uso prolungato della corteccia di china provocavano disturbi simili a quelli per i quali erano somministrati, vale a dire che una sostanza, utile al trattamento di una determinata malattia, poteva anche causarla. Ne dedusse pertanto che una sostanza, in funzione della sua dose, sarebbe capace di provocare in un individuo sano determinati sintomi e di eliminare, al tempo stesso, sintomi simili in un individuo malato.

L’omeopatia evidenzia parallelismi considerevoli con la vaccinoterapia: «Similia Similibus Curantur». Il principio della similitudine che ispirò l’omeopatia significa quindi che la malattia deve essere curata con una malattia simile, indotta dal rimedio di omeopatia. Questa «malattia virtuale», provocata dal rimedio omeopatico, risveglia una reazione nell’organismo malato, inducendolo a superare la vera malattia. Il rimedio di omeopatia, secondo quanto si evince dagli studi di Hahnemann, stimola le capacità biologiche dell’organismo malato ed aumenta la risposta del sistema immunitario. Il principio dell’omeopatia può essere così enunciato: «Ogni sostanza farmacologica attiva capace di provocare, a dose ponderale nell’individuo sano, determinati sintomi, può anche eliminare sintomi simili nell’individuo malato, a condizione di essere utilizzata a debole dose».

Storicamente, l’omeopatia venne portata nel Regno delle Due Sicilie dai medici dell’esercito austriaco, chiamato in aiuto da Ferdinando I di Borbone per sedare i moti carbonari del 1820-1821.

Al seguito delle truppe austriache operavano, infatti, molti medici militari seguaci di Samuel Hahnemann, precursore di tale pratica sanitaria, poiché in Austria era possibile professarla apertamente, tanto che anche Carlo Filippo, Principe di Schwartzemberger e Feld-Maresciallo austriaco, si curava omeopaticamente ed era stato paziente dello stesso Hahnemann. Ci furono quindi iniziali scambi di «cortesie scientifiche», durante le quali il generale barone Koller regalò all’Accademia Reale di Napoli i volumi di Hahnemann, l’«Organon e la Materia Pura». L’Ufficiale medico dottor Alberto de Schoemberg, fu inviato poi presso Hahnemann, a Koeten, per apprendere la teoria e la pratica omeopatica. Di queste lezioni ne diede esposizione presso l’Accademia borbonica e pubblicò «Il sistema medico del dottor Samuel Hahnemann esposto alla Reale Accademia di Napoli».

Favorita dai Borbone, monarchi illuminati ed intellettualmente aperti verso ogni forma di progresso culturale, scientifico e tecnologico, l’omeopatia si diffuse, non solo in tutto il Regno napoletano, ma anche nello Stato Pontificio, dove il Papa Gregorio XVI (1765-1846) ne autorizzò lo studio e la pratica.

Particolari testimonianze dei fatti si trovano nelle notizie autobiografiche del dottor Francesco Romani, nel volume «Elogio storico di Samuello Alemanno» (un elogio al genio di Samuel Hahnemann), pubblicato a Napoli nel 1845, nonché nei due «Discorsi sulla Omeopatia» contenuti nei poderosi volumi della «Pura Dottrina delle Medicine», editi a Napoli nel 1825-28. Quest’ultimo lavoro di Romani rappresenta la prima volgarizzazione italiana dell’originale tedesco della «Materia Medica Pura», cioè la raccolta dei sintomi fisici e psichici delle sperimentazioni di Hahnemann su se stesso e sui propri allievi, pubblicata a Dresda in sei volumi, dal 1811 al 1821. Romani scrisse che la prima conoscenza del «Sistema Terapeutico Omeopatico» gli venne nel 1821 dal noto medico svizzero Ody di Friburgo, che a Napoli gli lesse, traducendoli dal tedesco al francese, i passi più importanti dell’«Organon dell’Arte di Guarire» di Samuel Hahnemann, testo fondamentale dell’omeopata. Poche settimane dopo, l’ufficiale medico bosniaco Necker di Melnik, grande fautore dell’omeopatia, gli curò una malattia che durava da nove anni e per la quale i medici allopati nulla erano riusciti a fare di buono. Il Necker aprì a Napoli un ambulatorio omeopatico ed ebbe talmente successo che formò dei proseliti tra i medici napoletani. Ma il dottor Romani fu il più attivo di tutti, insegnò ad altri colleghi, guarì la moglie del dottor De Guidi, un medico italiano che esercitava a Lione, convertendolo all’omeopatia, che fu così esportata in Francia. Il De Guidi, a sua volta, guarì il dottor Mure che introdusse l’omeopatia a Malta, in Sicilia, in Brasile, in Egitto, nel Sudan.

Nella capitale del Regno delle Due Sicilie gli aiuti per la diffusione dell’omeopatia non mancarono ed il re Francesco I di Borbone (1777-1830) permise che, per un esperimento, si aprisse una clinica omeopatica nell’ospedale militare della Trinità Maggiore, della quale Romani fu condirettore. Diventato personaggio di spicco della città, Romani fu invitato al castello del conte di Shrewsbury in Inghilterra, introducendo così l’omeopatia anche a Londra. Da quel momento in poi il dottor Romani approfondirà e continuerà ad applicare e diffondere il nuovo metodo nel Regno borbonico insieme ai suoi due amici: il dottor Giuseppe Mauro di Palermo e il dottor Cosmo Maria De Horatiis (1771-1850), medico privato nientemeno che dello stesso re Francesco I.

Con l’approvazione e l’appoggio del sovrano, Cosmo Maria de Horatiis effettuò, nel 1828 e nel 1829, due sperimentazioni cliniche presso l’ospedale della Trinità dei Pellegrini e ritenne che i suoi studi confermassero la superiorità dell’omeopatia nei confronti della medicina convenzionale, anche se mai rinnegò completamente quest’ultima. Pubblicò un lavoro intitolato «Saggio di Clinica Omeopatica», dove descriveva 180 casi da lui guariti. Altre sperimentazioni furono però boicottate dai medici allopatici (nihil sub sole novi, n.d.r.), tanto è vero che costoro andavano affermando che i malati curati con l’omeopatia fossero tutti morti. A questo punto, lo stesso re Francesco I si recò in ospedale e constatò invece che i malati erano guariti. Ormai, però, le false affermazioni avevano fatto presa sul popolo, che usò sempre meno l’omeopatia.

La maggior diffusione dell’omeopatia in Italia si ebbe fra il 1830 ed il 1860, con punte massime intorno al 1840 quando pare che circa 500 medici si dedicassero a tale pratica; nel 1863 (dopo la c.d. unità d’Italia, n.d.r.) si ridurranno ad appena 184, con 14 farmacisti, 2 ospedali, 5 dispensari, 4 giornali, 2 accademie ed associazioni. Nel 1844 venne fondata a Palermo anche un’«Accademia Omeopatica», laddove i medici ottennero dal re Ferdinando II di Borbone (1810-1859), che già si curava con questa Medicina, l’autorizzazione a riunirsi in corpo accademico, cioè ad insegnare la loro competenza.

La Regia Accademia Omeopatica Palermitana fu il primo Istituto di insegnamento omeopatico d’Europa ed il secondo del mondo, atteso che il dottor Constantin Hering (1800-1880) – comunque membro della Accademia Palermitana – l’anno prima aveva iniziato le sue lezioni ufficiali a Filadelfia.

L’Accademia Omeopatica fu tuttavia ostacolata con ogni mezzo dalla feroce opposizione dell’«Accademia Reale delle Scienze», ma, quantunque la medicina ufficiale perseverasse nell’avversarla, essa conserverà sempre la protezione della casa borbonica, favorevole all’omeopatia per tradizione familiare. L’omeopatia continuò quindi a svilupparsi con nuovi proseliti, nuove riviste e nuovi dispensari. Per due volte si distinse nella cura del colera che sconvolse Napoli, mettendo in luce l’abilità e la preparazione dei validi omeopati della città, e proprio nella città partenopea si trova anche la prima e più antica farmacia omeopatica, fondata nel 1896 e tuttora ivi esistente in piazza Dante.

La causa di una successiva diminuzione dell’interesse per l’omeopatia fu dovuta alle scoperte di Pasteur e di Koch sulle tossine e sull’immunizzazione (vaccinoterapia e sieroterapia), materie di più immediata comprensione anche per la gente comune. Essendo il microbo la causa della malattia, basta ucciderlo con un farmaco per vincerla, malattia intesa sempre come qualcosa d’esterno a noi e non come frutto della nostra disarmonia interiore. Pasteur, alla fine della sua carriera, espresse l’opinione che «le microbe n’est rien, c’est le terrain qui est tout», vale a dire «il microbo conta poco, il terreno è tutto». Pasteur non rinnegava la sua vita di studioso e le sue scoperte, voleva semplicemente ammonire che il microbo è di secondaria importanza, poiché la malattia si manifesta solo quando il microbo trova il terreno adatto per svilupparsi.

Tuttavia, la filosofia del «curare senza nuocere» è oggigiorno in costante ascesa ed attualmente nella sola Campania si contano circa 500 medici che si interessano di omeopatia e che la utilizzano in integrazione, o alternandola alla medicina allopatica. Negli ultimi decenni, poi, si è avuto un rinnovato sviluppo dell’omeopatia, soprattutto per due motivi: il primo grazie alla scoperta dell’atomo e dell’energia nucleare, che spiega che l’imponderabile non è più un’astrazione, ma una realtà; il secondo a causa del grande aumento delle malattie iatrogene, causate dall’uso indiscriminato dei farmaci chimici. Nessuna sostanza chimica è innocua all’organismo umano. Per questo, medici e malati, che sono disillusi da promesse non mantenute di nuovi rimedi sempre più forti, si rivolgono a terapie dolci che rispettano la psiche e il soma dell’individuo.

 

Telese Terme, gennaio 2016.

 dott. Ubaldo Sterlicchio

 

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